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Gli "infiniti mondi" di Giordano Bruno

di Umberto Galimberti - 20/09/2006



Ce n'era abbastanza per tagliargli la lingua e bruciarlo vivo a Roma
in Campo de' Fiori il 17 febbraio del 1600. Aveva anticipato troppo i
tempi, aveva detto verita' che solo oggi noi sentiamo familiari. Aveva
messo in discussione la centralita' dell'uomo nell'universo, si era
spinto a negare la trascendenza di Dio. Dubitava che lo sguardo
matematico degli scienziati fosse quello idoneo a comprendere la
natura, e che lo sguardo teologico dei preti avvicinasse a Dio.

Leggeva la filosofia in chiave comica e la commedia in chiave
filosofica per relativizzare tutte le verita' che pretendono
l'assolutezza. Ai preti, a cui assegnava solo il compito di garantire
l'ordine sociale con gli strumenti della fede, preferiva i maghi
impegnati a reperire le costanti della natura (i vincoli) e quindi la
sua conoscenza. Denunciava le violenze del cristianesimo perpetrate in
America Latina dal quel "pirata" che era, a suo parere, Cristoforo
Colombo, il quale barattava battesimi con oro e argento. Ce n'era
abbastanza per tagliargli la lingua e bruciarlo vivo. Sto parlando di
Giordano Bruno (1548-1600) di cui, in occasione dell'anno bruniano, la
Utet ha editato le Opere italiane in due volumi per complessive 1856
pagine, gia' apparse in Francia da Les Belles Lettres e in procinto di
essere tradotte in tedesco, spagnolo, svedese, rumeno, giapponese e
cinese. L'edizione italiana, che si avvale degli studi di Giovanni
Aquilecchia, maestro per cinquant'anni
 di studi bruniani, e' stata curata da Nuccio Ordine, autore di una
magistrale, e per me entusiasmante, Introduzione di 200 pagine, che
sono parte di un piu' ampio saggio che, col titolo: La soglia
dell'ombra.

Letteratura, filosofia e pittura in Giordano Bruno, e' stato
pubblicato da Marsilio in Italia e da Les Belles Lettres in Francia.
La prima opera in lingua italiana di Bruno e' una commedia: Il
candelaio, pubblicato a Parigi nel 1582. Ad essa seguirono sei
dialoghi filosofici pubblicati a Londra tra il 1584 e il 1585. La
commedia Il candelaio non fu' ospitata dalla raccolta delle opere di
Bruno curata da Giovanni Gentile, perche' non ritenuta un'opera
filosofica. In realta' Gentile non aveva capito che l'intento di Bruno
era di destabilizzare i generi letterari e dimostrare che si poteva
parlare comicamente di filosofia e filosoficamente della commedia, per
relativizzare tutte le verita' credute assolute, a partire dall'ordine
cosmologico allora ipotizzato, che fungeva da supporto teologico per
affermare la centralita' dell'uomo nell'universo e la sua destinazione
celeste.

Bruno, che rifiutava la concezione geocentrica di Tolomeo, vuole
liberare la terra dalla falsa immobilita' e dai falsi principi di una
filosofia teologizzante che, ponendo l'uomo al centro dell'universo ne
fa il "dominatore e il possessore del mondo" come qualche anno dopo
dira' Cartesio. Ma a Bruno non basta superare Tolomeo, cosa che aveva
gia' fatto Copernico e dopo di lui Galileo e Cartesio. Bruno vuole
superare anche l'eliocentrismo copernicano perche', pur avendo ammesso
la centralita' del sole rispetto alla centralita' della terra,
Copernico, a parere di Bruno, rimaneva ancorato a una cosmologia
tradizionale, chiusa e delimitata, senza approdare a un universo
infinito, senza centro e senza limiti, popolato da innumerevoli mondi
e difficilmente conciliabile con le esigenze della "ragione
calculatoria" tanto cara agli scienziati del suo tempo. Cosi' dicendo,
Bruno si pone contro sia gli scienziati che ritengono la natura
indagabile solo con strumenti matematici, sia i
 teologi che vedono sconvolta l'architettura dell'universo, secondo la
quale Dio ha creato un mondo finito, con al centro l'uomo, dominatore
della natura e al contempo cosi' bisognoso di salvezza da richiedere
la discesa in terra del figlio di Dio.

Questa presa di posizione su entrambi i fronti consente a Bruno di
smascherare quella sotterranea parentela che, al di la' delle dispute,
lega la tradizione cristiana all'agnosticismo scientifico. L'una e
l'altro infatti condividono la persuasione che l'uomo, disponendo
dell'anima come vuole la religione o della facolta' razionale come
vuole la scienza e', tra gli enti di natura, l'ente privilegiato che
puo' sottomettere a se' tutte le cose. A questa enfatizzazione
cartesiana del soggetto (Ego cogito) preparata dalla tradizione
giudaico-cristiana (per la quale l'uomo e' immagine di Dio e quindi
nel diritto di dominare su tutte le cose), Giordano Bruno contrappone
un percorso radicalmente diverso da quello che caratterizzera' per
secoli il pensiero europeo. Non il primato dell'uomo, ma il primato
degli equilibri sempre instabili e sempre da ricostruire tra tutti gli
enti di natura che, al di fuori di ogni scala gerarchica, godono tutti
di pari dignita', perche' la piu'
 minuscola pulce e' al centro dell'universo allo stesso titolo della
piu' luminosa delle stelle.

Spezzare l'ordine gerarchico significa distruggere la scala dei valori
che faceva da sfondo sia alla visione teologica sia a quella
scientifica del mondo che, a parere di Bruno vanno sostituite dalla
visione magica che non e' potere sulla natura, ma scoperta dei vincoli
con cui tutte le cose si incatenano, secondo il modello eracliteo
dell'invisibile armonia". Per questa concezione filosofica, antitetica
sia alla scienza matematica che si alimenta della progettualita'
umana, sia alla religione che, se da un lato subordina l'uomo a Dio,
non esita a considerarlo, fin dal giorno della sua cacciata dal
paradiso terrestre, dominatore di tutte le cose, Giordano Bruno fu
trascurato dagli scienziati del suo tempo che stavano inaugurando il
sentiero che sara' poi percorso dal pensiero occidentale, e bruciato
vivo a Roma, in Campo de' Fiori, dalla Chiesa che allora, per dire la
sua, disponeva di metodi piu' spicci.

Ma oggi che il potere dell'uomo sulla natura inquieta l'uomo stesso,
perche' il suo potere di "fare" e' enormemente superiore al suo potere
di "prevedere" e di "governare" la propria storia, forse e' opportuno
un ritorno al pensiero di Bruno, per scorgervi, oltre all'anticipatore
degli "infiniti mondi" contro il geocentrismo del suo tempo, colui
che, proprio in forza degli "infiniti mondi" dubita che l'uomo possa
essere pensato come il centro dell'universo e quindi in diritto di
disporne secondo i modesti e al tempo stesso terribili schemi della
sua acritica progettualita', perche' alla legge del Tutto, a cui si
volgeva la magia bruniana, impone la legge dell'uomo (occidentale) sul
Tutto.

Ma chi e' l'uomo per Giordano Bruno? Con un'anticipazione che potremmo
dire "darwiniana" l'uomo, al pari di tutti gli animali, e' deciso
dalla sua conformazione corporea, e la sua superiorita' non e' dovuta
tanto all'anima, alla ragione, alla mente, ma alla forma del suo
corpo. A differenza del primate piU' evoluto, l'uomo infatti ha la
mano libera nel cammino, e cio' consente a tutto il suo corpo di
liberarsi nella manipolazione del mondo. Questa manipolazione si
chiama "lavoro", in cui e' la specificita' dell'uomo e la sua
differenza dall'animale, per cui non Adamo nel paradiso terrestre che
oziava nella piu' assoluta incoscienza di se', ma Adamo dopo il
peccato originale che assume su di se' la "condanna" del lavoro (che a
parere di Bruno e' l'unica condizione per costruire cultura e
civilta') e' la vera immagine dell'uomo.

Non piu' impiegata come utensile la mano, che due secoli dopo Bruno,
Kant definira': "il cervello esterno dell'uomo", e' capace di gesti
espressivi che sono negati agli animali, perche' questi non disponendo
di una mano libera, si trovano nell'impossibilita' di esplorare il
mondo, con tutte le conseguenze comportamentali e cognitive che, una
volta acquisite grazie all'uso della mano, verranno messe in conto
all'anima. Se non disponesse di una mano libera infatti, scrive Bruno:
"L'uomo in luogo di camminare serperebbe, in luogo d'edificarsi
palaggio si caverebbe un pertuggio, e non gli converrebbe la stanza,
ma la buca". Nonostante questo depotenziamento dell'origine dell'uomo,
piu' parente dell'animale che di Dio, Giordano Bruno e' un grande
umanista che non cade nell'errore in cui, due secoli dopo, sono caduti
gli illuministi che, come vuole la denuncia di Rousseau: "Confondono
l'uomo di natura con gli uomini che hanno sotto gli occhi. Sanno assai
bene cos'e' un borghese
 di Londra e di Parigi, ma non sapranno mai cos'e' un uomo".

Di qui la condanna di Bruno ne La cena de le ceneri contro la
spedizione di Cristoforo Colombo, contro una "conquista mascherata da
scoperta". Le popolazioni ameroinde, scrive Bruno, avevano una loro
cultura, una loro lingua, una loro religione. Avevano insomma il
diritto di vivere in pace secondo le loro leggi e i loro costumi. Ma
la brama spregiudicata del profitto ha trasformato presunti marinai
animati dal desiderio di conoscenza in vili pirati assetati di oro e
argento che sulle loro navi, scrive Bruno ne Lo spaccio de la bestia
trionfante, imbarcarono: "L'abominevole Avarizia, con la vile e
precipitosa Mercatura, col disperato Piratismo, Predazione, Inganno,
Usura e altre scelerate serve, ministre e circostanti di costoro".
Bruno aveva capito che non basta celebrare l'uomo, come nell'eta'
umanistica si faceva, per conoscere l'uomo. E non si puo' conoscere
l'uomo se lo si pensa, come vuole la religione e la scienza "padrone e
dominatore del mondo". Meglio una filosofia
 che lo riconosce negli "infiniti mondi" e cosi' lo relativizza,
armonizzandolo con tutti gli enti di natura, su cui l'uomo non puo'
esercitare il suo incontrastato dominio, ma di cui deve prendersi
semplicemente cura. Perche' la sorte dell'uomo non e' disgiunta dalla
sorte dell'altro uomo e neppure dagli enti di natura, come l'acqua,
l'aria, gli animali, le piante, la terra, verso cui, soprattutto oggi,
abbiamo dei doveri che nessuna morale, ad eccezione di quella
bruniana, ha finora contemplato.