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Il ritorno del clero

di Costanzo Preve* - 20/07/2016

Il ritorno del clero

Fonte: Italicum

 

 

 

I preti non sono più il clero della globalizzazione.

Una proposta terminologica esplicita

 

Il clero oggi non è più composto dai preti. Questa affermazione, apparentemente paradossale, non appare più tale se appena la si sottopone ad un ragionamento di tipo storico e filosofico. Nelle società precapitalistiche, ed in particolare in quelle di tipo feudale e signorili, in cui il legame sociale complessivo era esterno al processo del lavoro sociale ed alla sua divisione, ma doveva essere simbolicamente "ricomposto" attraverso un orizzonte trascendente, il clero era effettivamente composto di sacerdoti, custodi del sacro, e mediatori fra l'aldilà e l'aldiquà. Nella società capitalistica le cose cambiano, perché il legame sociale è interno al processo del lavoro sociale ed alla sua divisione, l'economia si autonomizza liberandosi da ogni precedente incorporazione nei legami familiari, tribali, politici e religiosi, e la custodia del sacro diventa un'attività come le altre, una specializzazione professionale che tocca soltanto un segmento parziale del legame sociale. La legittimazione da trascendente diventa immanente al mondo dell'economia feticizzata (la "risposta dei mercati", ecc.), e l'immanenza assume la veste delle leggi destinali e necessarie dell'economia politica. All'incenso del prete succede l'odore del tabacco della pipa dell'economista.

Nei primi stadi del capitalismo, quando i residui precapitalistici nel costume, nella cultura popolare e nell'immaginario sociale sono ancora determinati (e così è stato per l'intero Ottocento e per gran parte del Novecento), il clero religioso mantiene una certa dominanza nella legittimazione del legame sociale. Questa dominanza è ovviamente contestata dalla cultura illuministica, positivistica, laica ed anticlericale, basata sul culto del progresso e della scienza, ma per circa un secolo e mezzo questa cultura ha dovuto scontrarsi in campo aperto con la cultura religiosa dichiarata organizzata. Questo titanico e tragicomico scontro ideologico fra sacerdoti del Progresso immanente e sacerdoti della Tradizione trascendente fa ormai parte di un passato irrevocabilmente trascorso. La legittimazione clericale ha una certa importanza nel garantire l'adattamento disciplinare dei contadini alla nuova vita di fabbrica e nel separare settori importanti di piccola borghesia intellettuale dai nuovi movimenti radicali e socialisti ai matrice tardo ottocentesca. Ma nell'odierno capitalismo avanzato postborghese tutto questo si esaurisce. I preti vengono ricacciati in un ruolo del tutto ausiliario, marginale e subalterno. Diventano specialisti del disagio, professionisti della carità, tecnici dell'emarginazione. Questo processo, che indica una loro sconfitta strategica, ha due aspetti, uno prevalentemente teorico ed uno prevalentemente pratico.

L'aspetto prevalentemente teorico può essere compreso se analizziamo le caratteristiche di una nuova crescente "religiosità senza Dio" (secondo la correttissima ed illuminante impostazione della studiosa francese Florence Beaugé). Non si tratta soltanto della nota tendenza all'abbandono della pratica religiosa normale in favore di una religione fai-da-te, normale ricaduta della solitudine urbana e del nuovo ceto medio single che comunica via Internet. Si tratta di qualcosa di diverso. Le indagini di sociologia della religione hanno accertato in tutto l'Occidente che mentre declina fortemente e visibilmente la credenza in Dio, invece non declina, ed in alcuni casi aumenta la credenza in un vago aldilà, nella metempsicosi, e più generalmente in una forma di forza soprannaturale indeterminata, di tipo comunque energetico, panteistico e vitalistico. Sarebbe però errato pensare che si tratti di una rivincita postuma della religione panteistica e neoplatonica di Giordano Bruno contro il teismo personalistico della Controriforma. Non è assolutamente così. Il panteismo rinascimentale era una forma di razionalismo filosofico, ed il suo indubbio "animismo" era subordinato a questo razionalismo. Il mistero sta evidentemente altrove.

Facciamo un'ipotesi provvisoria. La funzione di legittimazione del clero era evidentemente legata (a parte I'elemento economico prima segnalato del legame produttivo esterno alla riproduzione sociale) ad una struttura simbolica di tipo esplicitamente patriarcale. Dio, in sostanza, era un Uomo. Solo in quanto uomo, anzi Uomo, poteva garantire il rapporto di disciplina e di legittimazione delle norme morali e sociali. In proposito, ha ragione Pierre Bourdieu contro i suoi critici recenti "politicamente corretti" e del tutto fuori bersaglio. Ma sono stati i preti stessi, ed i teologi suicidi in preda a mode culturali postmoderne, che hanno cominciato a dire che Dio non è solo un Uomo, ma è anche una Donna, che certe volte è uomo e certe volte è donna. Quando è severo è uomo, quando è misericordioso è donna. In questo modo, Dio diventa simbolicamente un Ermafrodito, ed è impossibile a mio avviso credere seriamente in un Ermafrodito. Dal momento però che il politicamente corretto non ha meccanismi di autoregolazione ed autolimitazione, ma il suo meccanismo distruttivo è incontrollato, è questione di tempo prima che qualche teologo pazzo proponga seriamente un Gay cosmico o una Lesbica Interstellare. Ma tutta la riflessione psicoanalitica (e l'ateo e positivista Freud per primo) ci dice che nessun super Io sociale, neppure minimo e marcusianamente liberalizzato, può essere costituito abolendo integralmente ogni ruolo paterno, sia pure simbolizzato in modo rigorosamente trascendente. Ma l'attuale capitalismo finanziario postborghese non si legittima più attraverso l'imposizione di norme autoritarie di tipo paterno, ma attraverso dei meccanismi di "seduzione" in termini di ruoli economici, di prestigio, di denaro e di potere. Il clero religioso è sempre patriarcale, anche quando è di sesso fèmminile (suore, monache ecc.). La caduta del patriarcato è dunque legata ad una religiosità senza Dio.

Vi è però un secondo aspetto del problema. Nella fase di transizione storica dal precapitalismo ai primi stadi del capitalismo il clero religioso pur mantenendo un atteggiamento di ostilità verso l'ideologia borghese laica e positivistica, ha invece assunto un atteggiamento positivo verso la nuova disciplina di fabbrica capitalistica,  mediandone il consenso nei confronti dei ceti popolari urbanizzati e sradicati. Oggi il consenso alla disciplina di fabbrica non è più ottenuto nel vecchio modo, ed in ogni caso la verticale caduta statistica degli occupati nell'agricoltura e nell'industria pone nuovi problemi di adattamento flessibile al lavoro in particolare nel cosiddetto terziario. Ma il terziario flessibile non richiede più mediazioni simboliche patriarcali su basi trascendenti. Il clero non serve più dunque alle oligarchie finanziarie transnazionali che dominano il pianeta su basi di mediazione disciplinare. Ma esso può servire sempre di più per gestire gli esclusi e l'esclusione i marginali la marginalizzazione. E può servire in modo inestimabile, sia per la secolare esperienza organizzativa in materia, sia per il fatto che mette a disposizione una risorsa tipicamente gratuita e no profit come la fede, la carità e l'attenzione verso gli umili, che il capitalismo non deve pagare, ma di cui può per ora disporre gratuitamente, come l'acqua e l'aria, sia infine per la necessaria integrazione del volontariato a causa dello smantellamento dei sistemi di welfare e di stato sociale, sempre più difficili da finanziare con le tasse in un'epoca di inaudita concentrazione di disponibilità liquide di capitali. Tuttavia, questo non è più un clero.

Si tratta di una funzione specialistica che non è più rivolta alla Nuova Nobiltà (che continua a chiamare i preti solo in rapporto ad avvenute analisi mediche, radiografie, diagnosi preoccupanti eccetera), non è più rivolta al Nuovo Clero giornalistico ed universitario, incredibile concentrazione sociologica di senzadio, non è più maggioritariamente rivolta alla Classe Media Globale ed alla Classe Flessibile, e si concentra quasi esclusivamente sulla Classe Esclusa. Ma un clero così settoriale non è più un clero.

Ed infatti i preti non sono più il clero. Il clero è composto dalle due categorie che analizzeremo nei prossimi due paragrafi.

 

Il clero giornalistico secolare, settore primario della nuova mediazione simbolica

 

Il clero giornalistico secolare ha il compito di organizzare una rappresentazione quotidiana profana, il cui scopo è quello di simulare la sacralità del dominio della Nuova Nobiltà finanziaria transnazionale ultracapitalistica e postborghese. II clero sacerdotale organizzava sacre rappresentazioni, ma il rovesciamento della trascendenza in immanenza nella funzione ideologica della legittimazione sociale complessiva comporta la trasformazione del sacro in profano. Il clero giornalistico secolare è organizzato in una chiesa invisibile, o meglio ultravisibile che definiremo circo mediatico. Il circo mediatico non ha più praticamente nessun rapporto con le forme precedenti di giornalismo, così come I'attuale università non ha più rapporti con le forme universitarie precedenti (come analizzeremo nel prossimo paragrafo). Le forme precedenti di giornalismo facevano parte di ciò che un tempo era correttamente chiamato "opinione pubblica ". Ma il circo mediatico non ha più un rapporto diretto e razionale con l'opinione pubblica. Come ha a suo tempo documentato Habermas nel suo capolavoro giovanile sulla storia e la critica dell'opinione pubblica (l'unico bel libro mai pubblicato da Habermas nella sua decennale attività confusionaria), l'opinione pubblica fu sempre minoritaria, elitaria borghese, classista e limitata (e non poteva essere diversamente, visto che la sua funzione è sempre stata quella di delegittimare culturalmente sia il tradizionalismo nobiliare che il sovversivismo popolare), ma almeno vi era nell'opinione pubblica una sorta di sovranità della ragione discorsiva e della critica argomentativa. In una parola, della "razionalità borghese". Con lo sviluppo inarrestabile della sottomissione reale dell'identità borghese al meccanismo anonimo della riproduzione capitalistica (ben compreso da Adorno, che non è peraltro mai riuscito a farlo capire al suo allievo confusionario Habermas) la razionalità della vecchia opinione pubblica si rovescia in circo mediatico permanente. Tutto ciò sotto gli occhi di tutti. Più avanti faremo i due casi dell'apoteosi profana di Lady Diana nel 1997 e del processo mediatico a Clinton per il caso della stagista Monica Levinsky nel 1998 e la sommaria analisi di questi due casi mi costringerà a chiarire meglio che cosa significa esattamente "circo mediatico" e soprattutto in che senso sia un clero. Prima di passare a questa analisi, però, c'è un punto preliminare che deve essere assolutamente chiarito.

Così come i membri del clero religioso medioevale, che erano al servizio della struttura nobiliare e feudale della società fingevano di essere al servizio esclusivo di lebbrosi, mendicanti e poveracci, cui lavavano anche i piedi polverosi almeno una volta all'anno, nello stesso modo i membri del circo mediatico, il fedele clero della Nobiltà finanziaria transnazionale, fingono di essere al servizio esclusivo dell'opinione pubblica, o meglio della "gente", lo sterminato pubblico dei lettori ed ancor più dei telespettatori. Del resto, non c'è circo mediatico senza il dominio del mezzo audiovisivo. I semplici giornali stampati non possono dare luogo ad un circo mediatico. La "gente", e, detto in linguaggio alla Tocqueville, lo stadio evolutivo superiore "democratico" dell'anello precedente, l' "opinione pubblica", che era l'anello evolutivo inferiore "liberale". Il passaggio dall'opinione pubblica liberale alla gente democratica è la condizione sociale necessaria per una affermazione chiara e visibile del circo mediatico. Questo passaggio, però, viene mistificato dal circo mediatico nel modo che cercherò sommariamente di spiegare.

I gradi superiori del circo mediatico sono composti da opinionisti cosmopoliti e poliglotti che lasciano capire che, se fosse per loro, si ascolterebbe solo Beethoven si leggerebbe solo Hegel, sorseggiando un buon whisky scozzese, e si vedrebbero solo films culturali tedeschi con sottotitoli in polacco. Purtroppo la massa rozza, la gente moderna avida di scandalismo, sesso, violenza, miti ed altre deplorevoli porcherie plebee, non consente di realizzare questo ideale culturale. Questa plebe composta di milioni di persone si interessa purtroppo solamente ai rapporti sessuali di Lady Diana e del presidente Clinton, che il circo mediatico per questa ragione è costretto a riprodurre continuamente ed ossessivamente. Insomma, sarà triste ammetterlo, ma l'offerta deve adeguarsi alla domanda. Questo, condito in mille salse, è l'alibi permanente del circo mediatico.

Ed invece non è così. Il circo mediatico finge di essere al servizio della domanda, ed invece costruisce e determina l'offerta. Il circo mediatico organizza lo spettacolo profano, la cui sacralizzazione laica ed immanente è prodotta esclusivamente da questa capillare organizzazione. È questo il punto teorico essenziale, che a suo tempo Debord ed i primi situazionisti compresero in modo abbastanza completo e soddisfacente, anche se intorbidarono questa geniale comprensione con l'aggiunta di inutili stupidaggini anarchiche e surrealistiche di tipo identitario, con la conseguenza di vedere le loro mirabili scoperte annegate nella pappa culturale eclettica della cosiddetta "estrema sinistra". Lo spettacolo deve essere organizzato per potersi trasfigurare da profano a sacro. È il circo mediatico a santificare la plumbea profanità immanente della vita quotidiana nell'ipercapitalismo di tipo postborghese. La borghesia organizzava spettacoli limitati e parziali, liberali e non democratici, elitari e non popolari. Essa organizzava la cosiddetta "opinione pubblica", non lo spettacolo mediatico globale e senza confini. Solo l'ipercapitalismo postborghese può organizzare spettacoli mediatici globali, e per questo, e solo per questo, i giornalisti sono diventati il settore strategico del suo Clero di legittimazione.

Questo problema è convergente, anche se distinto, da un altro problema parallelo emerso negli ultimi decenni. È ormai chiaro a tutti che due categorie disperate e non elette da nessuno, i giudici ed i giornalisti, tengono sotto ricatto permanente la categoria dei politici di professione, che sono pur sempre democraticamente eletti, anche se con sempre minore partecipazione elettorale. Il golpe militare (di tipo fascista, di destra) è stato ormai integralmente sostituito dal golpe giudiziario (di tipo giustizialista di centro-sinistra). È evidente che questo processo, che da circa un decennio si sta svolgendo a livello mondiale, e non è pertanto riducibile a particolarità tipiche della provincia italiana della sua tangentopoli e delle sue mani pulite, è fondamentalmente rivolto ad un restringimento degli spazi democratici di sovranità popolare, anche se si presenta come una virtuosa operazione di moralizzazione della vita politica.

In generale giudici e giornalisti lavorano in tandem, i giornalisti organizzano lo spettacolo giudiziario (penso alla ossessiva ripetizione televisiva della "salivazione" di Forlani come rituale pubblico di ludibrio giuridico-mediatico). Detto questo, è bene però non confondere i due fenomeni, e tornare al funzionamento del circo mediatico, di cui faremo per ragioni di spazio soltanto due esempi, scegliendoli però fra i due più sintomatici.

Iniziamo dall'apoteosi giornalistica di Lady Diana morta in un incidente d'auto nel 1997. Oggi più che mai, lo spettacolo mortuario e lo spettacolo porno sono i punti alti dello spettacolo globale. Nel caso di Lady Diana lo spettacolo mortuario, ripetuto dal circo mediatico ad ogni morte di attore, cantautore, divo, eccetera, poteva unirsi ad altri elementi succosissimi, come un possibile complotto dei servizi segreti, l'ubriachezza dell'autista, il magnate arabo che i suoi luridi petrodollari non solo tocca la donna bianca, ma penetra anche la principessa, i figlioletti orfani, il noioso marito Carlo con la sua amante segreta cavallina, ecc. Non sono però questi succosi particolari l'essenza dell'apoteosi di Lady Diana, e neppure l'interminabile ripetizione della scena per cui i ricchi non sono felici, in quanto ciò che rende veramente felici non sono i soldi, anche se sono tanti, ma è l'amore. Chi si concentra su questi particolari finirà con il ricavarne che sono le eterne masse plebee, ignoranti ma sognatrici, distratte ma presenzialiste, che impongono ai poveri media la santificazione dei loro idoli. Ma non è così. Il circo mediatico ha usato il caso di Lady Diana per una prova di forza vinta, sostanzialmente, con I'establishment conservatore, nobiliare e soprattutto vetero-borghese britannico per imporre i propri gusti, la propria visione del mondo, la propria centralità, il proprio potere prescrittivo sul costume. Ed ecco la povera regina d'Inghilterra che si mostra "aperta ai nuovi costumi", cioè mediatica e volgare, il povero principotto Carlo che è costretto ad uscire dai suoi musei di architettura per cominciare "a fare le cose che fanno tutti". Persino la casa reale inglese, baluardo mondiale del compromesso culturale vittoriano fra nobiltà e veteroborghesia, deve "democratizzarsi", giocare con i computers, fare pagliacci con le scolaresche. E questo avviene perché le oligarchie finanziarie transnazionali non tollerano più "nicchie aristocratiche" e reucci che non siano al 100% mediatizzabili in tempo reale. Lo spettacolo non deve avere limiti, e comunque i limiti li decide sovranamente il circo mediatico, e solo lui.

Il caso di Clinton, il presidente americano messo nei guai dalle rivelazioni sessuali della stagista Monica Levinski, è stato il culmine del circo mediatico del 1998. Anche in questo caso, l'ipocrisia dei mediocrati è stata incredibile: aiuto, noi vorremmo parlare di cose serie, fame nel mondo, ondate migratorie, punizioni dei cattivi mondiali, eccetera, ma purtroppo la plebe televisiva sovrana vuole sapere solo se il sesso orale c'è o non c'è stato, quante volte, figliolo, se la macchia di sperma era autentica o no, se Hillary c'è rimasta male, perdonerà il bambolone, o gliela farà pagare dopo la scadenza del mandato, eccetera!! Che peccato! Che peccato!

Sepolcri imbiancati. Il circo mediatico americano, con l'appoggio dei suoi scherani prezzolati, gli istituti di sondaggio, ha aperto una prova di forza con il potere politico. Sbaglia chi vede solo l'aspetto, pur presente, della battaglia politica dei repubblicani contro i democratici, cioè del "complotto politico". Questo complotto politico, ammesso che ci sia, è reso possibile esclusivamente dal primato del circo mediatico. Sbaglia anche chi ci vede un ennesimo episodio dell'eterna lotta fra destra e sinistra, il procuratore Starr di destra contro il presidente Clinton. Se si comincia a ritenere un servizietto di sesso orale frettoloso e senza amore fra un potente immaturo ed una ragazza ambiziosa qualcosa di "politico" o quanto meno di rilevante per la politica ciò è dovuto anche alla cultura del "privato è politico", per cui uno spezzone impazzito del femminismo fondamentalista si è unito al tradizionalismo biblico e sessuofobico del conservatorismo protestante americano. Se il privato è tutto politico la conseguenza logica è che tutto il privato e politico.

Alla maggioranza degli osservatori è sfuggito un particolare. Al principio Clinton sembrava volesse scegliere la linea del "sono affari miei, non riguardano nessun altro". Ma il circo mediatico ha scatenato gli istituti di sondaggio che hanno mostrato maggioranze virtuali di deploratori imperdonabili. Allora Clinton ha scelto la strada del pentimento moralistico della sottomissione servile alle richieste dei media (chiedi perdono!) ed allora, ma solo allora, i sondaggi sono risaliti. E comunque i sondaggi salgono e scendono esclusivamente sulla base manipolata degli inputs ideologici che fornisce il circo mediatico. Ciò che conta è dunque la riaffermazione della sua sovranità.

Lo spettacolo porno, insieme con lo spettacolo mortuario, è certo la fase suprema dello spettacolo globale. Ma questo è soltanto il punto di vista della distribuzione e del consumo, e non quello della produzione. Chi non studia il nuovo clero giornalistico dal punto di vista della produzione di realtà manipolata e di costituzione amministrata dell'immaginario sociale, e si perde nell'infinito caleidoscopio dello spettacolo sportivo, mortuario e porno non capisce affatto l'essenziale, e continuerà a pensare che il clero sia composto ancora da pretini e pretoni.

 

Il clero universitario regolare, settore secondario della nuova mediazione simbolica

 

Sebbene il circo mediatico diffonda il mito della creazione dal nulla della cultura attraverso il magico interagire della Grande Rete Mondiale o di Internet ed attribuisca pertanto alla comunicazione in quanto tale un potere creativo delle forme di interazione umana, per il momento i contenuti culturali sono ancora elaborati altrove, fondamentalmente dalla comunità universitaria. Il circo mediatico è più importante della comunità universitaria, perché dà e toglie la parola a chi vuole, e controlla dunque i flussi comunicativi fondamentali. E' però nella comunità universitaria mondiale che vengono elaborate per ora le forme culturali, nella forma della frammentazione e della scomposizione sistematica dell'intero sociale. Più esattamente, il circo mediatico effettua la saturazione comunicativa di ciò che è stato prima elaborato nella forma della frammentazione produttiva. La saturazione comunicativa e la frammentazione produttiva dei messaggi sono dunque i due concetti fondamentali da acquisire.

Ricapitoliamo il primo punto, peraltro già discusso nel paragrafo precedente. II Clero giornalistico non esercita la sua funzione di mediazione culturale con l'impedimento dei messaggi avversi, ma solo con la saturazione dei propri. Nel Medioevo non c'era un circo mediatico, non c'erano giornali, non c'era la radio, non c'erano le cassette, non c'era la televisione, e pertanto il primo eretico che capitava nel paesello a predicare nella piazza principale era messo sullo stesso piano del prete che pure aveva alle spalle la grande struttura gerarchica della Chiesa. Era dunque necessario per impedire la comunicazione del suo messaggio con I'Inquisizione, i roghi e le tenaglie roventi. Oggi questi metodi sono assolutamente inutili,  perché basta mandare diecimila volte il messaggio consentito e solo dieci volte il messaggio non consentito (per di più "isolandolo" come opinione bizzarramente un po' folle in una tavola rotonda di disputatori vocianti tenuti a freno da un giornalista "professionalizzato") per ottenere l'emarginazione e l'isolamento, e dunque la neutralizzazione, del messaggio sgradito. Le opinioni di Noam Chomsky sul funzionamento ideologico del circo mediatico americano vanno in onda dieci volte (nella sezione detta in inglese lunatic fringe, cioè delle frange estremistiche un po' folli), mentre le opinioni normali vanno in onda centomila volte.

L'effetto di isolamento è ottenuto senza bisogno di usare le tenaglie roventi, non con l'impedimento, ma con la saturazione. Passiamo ora al secondo punto. Il circo mediatico satura i mezzi di comunicazione di massa con contenuti culturali che vengono ancora elaborati in comunità universitarie indipendenti. In proposito, bisogna distinguere accuratamente fra due diverse fasi storiche di sviluppo delle università moderne, che corrispondono alle due fasi di sottomissione formale e poi di sottomissione reale della borghesia a capitalismo. Questa distinzione è assolutamente essenziale.

Nella fase di sottomissione formale della borghesia al capitalismo, durata dalla fine del Settecento agli ultimi decenni del Novecento, l'università è fondamentalmente statale e non aziendale. Non intendo qui usare il termine "statale" in senso stretto, perché mi è noto che esistono da lungo tempo università private, che sono peraltro la regola nella tradizione anglosassone e degli Stati Uniti. Intendo parlare del modello europeo di università che ha trovato in Hegel un teorico insuperabile, un modello esportato poi anche in Asia, Africa, Medio oriente ed America latina. In questo modello la borghesia, unificata territorialmente ed economicamente dallo stato moderno costituzionale, si definisce culturalmente mediante la scuola secondaria superiore ma soprattutto l'università. I programmi, il loro svolgimento, il valore legale del titolo di studio, eccetera, sono determinati dall'intervento statale (ho detto statale, non direttamente governativo), che presuppone una sorta di unità del sapere e di totalità espressiva dei contenuti degna di ricevere una sanzione ufficiale di validità.

È un errore ridurre questo grande fenomeno alle categorie di "statalismo" opposto al "liberalismo". Si tratta di uno statalismo assolutamente liberale (ancora una volta, Hegel ed il modello prussiano di università sono assolutamente esemplari), perché in questo caso lo "stato" è prima di tutto un'istanza etica unificante. La divisione frammentata delle discipline è una conseguenza inevitabile della scienza moderna, ma questa frammentazione è idealmente ricomposta in una più alta unità etica del significato culturale. Questo modello di università è gradualmente superato nell'attuale epoca di sottomissione reale della borghesia al capitalismo. Dal modello statale si passa al modello aziendale per il semplice fatto che l'impresa diventa l'unica unità, socio-politica cui si attribuisce ancora una validità universalistica. In proposito, quando i mezzibusti televisivi lottizzati che parlano attraverso il circo mediatico si riferiscono solennemente alla cosiddetta "azienda Italia", ed insistono sul fatto che appunto l'Italia, prima di essere un territorio, una comunità o una nazione è innanzitutto un'azienda si ha qui una possibile comprensione immediata, riservata ovviamente solo a coloro che vogliono comprenderla del monoteismo rigoroso del pensiero unico postborghese ed ultracapitalistico. Non avrai altro Dio al di fuori di me; non avrai altra forma sociale legittima al di fuori dell'azienda.

Nell'attuale modello aziendale i titoli, le lauree ed i master sono integralmente ricondotti alla sovranità del mercato. Le facoltà scientifiche, assolutamente necessarie ai processi di innovazione tecnologica, permettono di risparmiare somme ingentissime sui costi di ricerca, scaricandoli parzialmente sul sistema tributario generale. Le facoltà umanistiche, nel generale crollo dei valori culturali precedenti, esplodono in mille frammenti soprattutto attraverso la sostituzione delle vecchie facoltà di lettere e filosofia nelle "nuove" facoltà schizzate tipo DAMS o scienze della comunicazione, che uniscono l'organizzazione dello spettacolo all'apologia della creazione mediatica dei significati culturali. Il passaggio italiano dell'egemonia culturale da intellettuali del tipo Benedetto Croce ad intellettuali del tipo Umberto Eco fa capire immediatamente, a chi abbia una sufficiente comprensione intuitiva dei fatti culturali, il passaggio fra i due tipi di università.

Queste università postborghesi, modellate sull'impronta dell' azienda, producono un sapere multicolore, di tipo estremamente frammentato. L'enfasi sulla forma e le strutture a discapito dei contenuti è l'involucro del livellamento della qualità e della assoluta omogeneizzazione "democratica" (nel senso di Tocqueville) di ogni forma espressiva. Le strutture sono infatti simili nella Divina Commedia e nella Vispa Teresa in Stendhal ed in Susanna Tamaro, in Manzoni ed in Baricco. Se il mercato è sovrano, i giochi a quiz sono equiparati ad Omero nella fecondazione (assistita) dell'immaginario popolare. Gli studenti con l'orecchino ed il piercing sono convinti quotidianamente dai loro stessi moderni insegnanti di essere mille volte più avanzati dei loro bisnonni in barba e baffi virilmente ben curati. E solo i più intelligenti di loro si spingono fino ad immaginare che forse i loro bisnipoti riusciranno a reagire in modo ancora a noi del tutto ignoto, a questa coazione forzata ad essere a tutti i costi "contemporanei".

La sinergia fra la frammentazione produttiva dei contenuti simbolici e culturali e la saturazione mediatica nella loro comunicazione è dunque oggi la forma dominante dell'esistenza del Clero. Mi sono soffermato abbastanza a lungo su questa nozione, pur consapevole del pericolo di poter annoiare il lettore con la martellante insistenza su questi concetti, perché il gioco valeva la candela. E adesso, ma solo adesso possiamo tornare ad un'impostazione più "tradizionale" della vecchia questione dei cosiddetti "intellettuali", ed in particolare di quella specifica forma europea che è stato l'intellettuale  "impegnato".

 * da "Il ritorno del clero", Petite Plaisance 2016