Vento di follia o svolta storica?
di Franco Cardini - 02/08/2016
Fonte: Franco Cardini
Ormai il quadro del delitto che ha insanguinato una serena chiesetta normanna e che si è concluso con un bagno di sangue nel quale sono periti anche i due assassini comincia a comporsi: e bisogna dire che, sotto la crosta della “banalità del male” (la frustrazione e la mitomania di un giovanissimo guerrigliero mancato in Siria che ha esercitato su degli innocenti la sua frustrazione) , emerge un panorama più frastagliato e inquietante, una densa zona d’ombra tra fanatismo politico-religioso, disturbo mentale e “socializzazione del malessere”.
I ragazzi assassini erano armati di sole armi bianche. Scelta obbligata per mancanza di mezzi, di esperienza e di conoscenze adatte, per “terrorismo-fai-da-te”, o volontà mimetico-rituale che ha preso a modello i “tagliatori di teste” del califfo e al tempo stesso ha stravolto, in una specie di macabro rituale, il gesto con il quale Abramo nella Bibbia si accinge a compiere al volontà di Dio?
Lo scenario nel quale il fatto di sangue è avvenuto, la chiesa, è di per se stesso un simbolo centrale, ma non così facilmente decodificabile come potrebbe sembrare. Gesto di odio anticristiano, teso a colpire più l’edificio sacro che non lo stesso ministro ucciso? Le vecchie cronache parlano di eventi del genere, perfino di massacri collettivi come i saraceni uccisi a migliaia nelle moschee di Gerusalemme dai crociati nel 1099 o i cristiani macellati dai turchi a Otranto nel 1480. Ma si tratta sempre di eventi “a caldo”. Qui sembra di trovarsi dinanzi a un’esecuzione dietro la quale si coglie un tipo di odio diverso, “a freddo”, dotato di una forte valenza simbolica: e gli esempi che salgono alla mente sono quelli di san Tommaso Becket alla fine del XII secolo o dell’arcivescovo Oscar Romero nel Salvador del1980: entrambi uccisi nell’atto supremo dell’adempimento del loro sacro ministero da assassini (e da mandanti) che li giudicavano indegni della funzione che coprivano. Il diciannovenne francese musulmano che per mesi cova l’idea di uccidere un prete cristiano, e ne parla agli amici all’uscita dalla moschea, e loro non lo prendono sul serio, ha tutta l’aria del Sacrificatore Supremo, che si arroga la sacra funzione di lavare col sangue l’offesa a Dio costituito dalla falsa cerimonia religiosa officiata da un vecchio indegno, servitore di una falsa legge divina.
Quel gesto potrebbe avere un valore rivoluzionario? Siamo dinanzi a una nuova scelta strategico-simbolica dei fedeli del califfo che, mentre il Daesh agonizza come potenza territoriale nel Vicino Oriente, potrebbe ora scegliere come nuovo oggetto delle gesta dei suoi “soldati” non più strade, piazze o locali di ritrovo, bensì direttamente i simboli del “falso” credo cristiano, conferendo alla sua guerra un carattere più decisamente religioso, visto che troppi osservatori continuano a contestare proprio tale carattere? O siamo dinanzi alla trovata autonoma di qualche jihadista occidentale, che magari spera che i cristiani rispondano per le rime per avviare una spirale della vendetta? O si è semplicemente giunti al punto maniacale di saldatura tra la follìa fanatica dei jihadisti e la follìa personale di qualche “guerrigliero immaginario”?
E’ forse presto per dirlo. Intanto, la risposta saggia da fornire dinanzi a tutto questo non sta certo nella “spietatezza” auspicata demagogicamente da Sarkozy: che non significa nulla. La verità è che dinanzi a quest’epidemia di violenza, che rischia di saldarsi con una psicosi mimetica dalle proporzioni difficili a immaginarsi, non si può rispondere che con un metodo: il confronto non recriminatorio, non criminalizzante, ma aperto e leale con le comunità musulmane. Sono esse per prime a doversi esprimere con chiarezza a favore della convivenza e della collaborazione fra tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Rispondiamo con la preghiera nelle chiese e nelle moschee, con la manifestazione di reciproca fiducia e amicizia per le strade e sulle piazze. Fiducia e amicizia che partano dalla fine del disagio e delle discriminazioni, a cominciare da quelle nella scuola e nei posti di lavoro. Qualcuno di noi ha creduto di conoscer il volto crudele dell’Islam. Impariamo a conoscere quello vero di esso, e a mostrare ai musulmani quello che davvero è nostro, fatto di solidarietà e di comprensione. E’ una strada giusta, che richiede costanza e coraggio. Ma è la sola da percorrere.
Last but not least. Smascheriamo i complici del terrorismo jihadista che, tra noi, fanno il “lavoro sporco” del reclutamento delle forza per la guerriglia omicida. Non alludo agli imam che fanno proselitismo nelle carceri: loro sono dei “soldati politici”. Alludo ai figuri che da noi promuovono e diffondono tutti i mezzi per rendere impossibile il dialogo tra noi e le comunità musulmane. Ad esempio raccogliendo le firme contro la costruzione delle moschea. Una moschea è un luogo dove si fanno tante cose, ma soprattutto si prega. La nostra costituzione garantisce il diritto di libero culto a tutti i cittadini. Lo sapete o no che tra i musulmani ci sono moltissimi cittadini italiani, tra cui parecchi che sono italiani da più generazioni, come me e come voi, e che si sono convertiti? E a questi concittadini volete negare il diritto al culto? Non solo: negando un sacrosanto diritto, ci si fanno dei nemici. Chi non vuole che si costruiscano moschee lavora per regalare nuovi adepti al terrorismo islamista: semina vento per raccogliere una tempesta che si abbatterà anche su di lui. Ditegli di smettere.