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Ricucire la scissione fra la morale e i costumi è la sola via per ritrovare pace ed equilibrio

di Francesco Lamendola - 05/08/2016

Ricucire la scissione fra la morale e i costumi è la sola via per ritrovare pace ed equilibrio

Fonte: Il Corriere delle regioni

 

 L’uomo moderno è angosciato; l’uomo moderno è impotente; l’uomo moderno è infelice: per trovare una possibile via d’uscita da un tale vicolo cieco, è indispensabile capire donde abbiamo tratto origine la sua angoscia, la sua impotenza e la sua infelicità. Ebbene, non crediamo di andare molto lontano dal vero, indicando tale origine nella scissione, sempre più grave, e della quale l’uomo moderno non è più nemmeno consapevole, fra la sua morale e i suoi costumi.

Si prenda il caso del gerarca nazista, del “medico” di Auschwitz, che usa i prigionieri come altrettante cavie umane per i suoi diabolici esperimenti, o dell’aguzzino SS che ordina di fucilare donne e bambini in un villaggio russo appena conquistato. A casa, probabilmente, è un marito per bene, forse un padre esemplare; nella vita civile, un lavoratore onesto e coscienzioso; e non è nemmeno escluso che ami gli animali, che non si dimentichi mai di controllare che vi sia il mangime nella vaschetta del suo canarino, o di portare il suo cane da passeggio a fare il suo giretto quotidiano fino al parco più vicino, per correre e saltare liberamente, divertendosi a lanciargli degli oggetti che lui deve riprendere e portargli fra i denti. Insomma: nulla, o quasi nulla, nelle sue abitudini di vita, lascerebbe sospettare che si tratti d’un uomo capace di perseguitare a morte i suoi simili, senza provare alcun rimorso, semplicemente eseguendo gli ordini dei superiori. Che cosa si deduce da tutto ciò? Che in molti uomini moderni si è verificata una completa scissione tra la sfera della morale e quella dei costumi; che esiste un abisso incolmabile fra ciò che essi ritengono moralmente giusto o sbagliato, e ciò che appartiene alla sfera pratica della loro vita.

Fino a qualche tempo esisteva una stretta sinergia fra le due sfere. I costumi di una società erano, press’a poco, l’insieme delle norme e dei comportamenti morali universalmente accettati; e i membri della società si sforzavano di comportarsi secondo il codice morale riconosciuto. Se qualcuno trasgrediva, diveniva oggetto di riprovazione e di censura, e, anche se sfuggiva alla legge degli uomini, veniva socialmente emarginato. Un po’ alla volta, però, le cose sono cambiate. Da quando la morale laica si è sostituita a quella religiosa, la società ha rivisto molte delle sue convinzioni e delle sue antiche certezze, e ha elaborato un nuovo codice etico, basato non sui bisogni della vita e sulla necessità di soddisfarli e proteggerli, ma su delle “idee” astratte, pescate, prevalentemente, nel gran calderone dei “diritti, più o meno universali, più o meno originari e imprescrittibili. Non è più giusto quel che è moralmente giusto, ma quel che la mentalità moderna giudica che sia tale, eliminando ogni riferimento al peccato, alla trascendenza, alla legge divina, e proclamando la liceità degli istinti, i quali, vendo dalla “natura”, devono essere buoni, visto che la anche natura lo è.

Quest’ultima affermazione non viene dimostrata, ma data per auto-evidente: lo ha detto Rousseau, lo hanno detto i philosophes del XVIII secolo, e, alla fine, l’idea si è radicata nel nostro immaginario collettivo, anche se nessuno si è mai preso la briga di argomentarla e di provarla. I costumi, di conseguenza, sono stati radicalmente modificati: non sono più essi che devono adeguarsi alla morale, ma la morale che deve adeguarsi ai costumi. Ma può anche darsi il caso che le questioni morali non siano più nemmeno percepite come tali, dal momento che tutto si ridice a soddisfazione di bisogni, sì, ma non reali e necessari, bensì sempre più artificiali. Una donna che vuole diventare madre a 65 anni, o un uomo che vuol diventare padre a 73 anni, non ritengono di dover affrontare una questione di carattere morale, ma solo di carattere tecnico e giuridico. L’importante è trovare un laboratorio che pratichi la fecondazione eterologa, ed un magistrato che consenta loro quella operazione. Per il resto, non immaginano neppure che sia un problema: se desiderano quel figlio, evidentemente è perché lo amano; e dunque, chi potrebbe essere tanto cattivo da voler mettere loro i bastoni fra le ruote? Ecco un esempio di come la morale scompare e si scioglie nel costume: fra qualche decennio, tale sarà divenuto il costume normale, e di casi del genere non si parlerà nemmeno, perché saranno diventati la regola.

Prendiamo un altro caso, ancora più quotidiano, e, in apparenza, più semplice e banale. Una donna, felicemente sposata e con figli già grandicelli, esce di casa in una calda giornata d’estate: e, siccome fa davvero caldo, si veste il minimo indispensabile; per essere più precisi, si sveste secondo il suo talento, aggiungendo, al fatto pratico di sentirsi fresca, il sottile piacere della seduzione, per far vedere a tutti che è ancora bella, desiderabile, eccetera, nonostante l’età non più giovanissima. Insomma, se ne va per la strada acconciata e truccata in maniera provocante. Non pensa, però, di far niente di strano, meno ancora di far qualcosa di poco bello o di poco pulito: la signora difficilmente ammetterebbe di essersi abbigliata a quel modo per stuzzicare il prossimo; preferisce raccontare a se stessa un’altra verità (o mezza verità), e cioè che desidera piacersi, sentirsi bene col suo corpo, cosa che ha l’apparenza di una maggiore “innocenza”. E poi, si sa, il corpo di ciascuno è una sua proprietà, della quale può disporre liberamente, senza dover rendere conto agli altri. Qualcuno si sentirà provocato, turbato? Peggio per lui: è affar suo; non è cosa che riguardi la nostra giovanile e simpatica signora. Una volta si diceva che certi comportamenti erano “poco seri”, che erano da “civetta”, e che non si addicevano alle persone dopo che avessero passato i quarant’anni; ma oggi, con l’allungamento della vita media e, soprattutto con il dilagare delle filosofie edoniste, del narcisismo, del principio del carpe diem (inteso in senso alquanto grossolano), nessuno dice o pensa più nulla del genere: la donna sta semplicemente esercitando i suoi diritti, primo dei quali è il diritto a disporre di sé, a sentirsi viva, a piacersi, a sentirsi a proprio agio con ciò che indossa e su come lo indossa; insomma, a farsi norma e misura delle proprie scelte. Nessun principio superiore: nessuna morale in senso tradizionale, nessun punto di vista che si collochi al di sopra dei contrastanti desideri e delle passioni soggettive di ciascuno. Del resto, è probabile che il marito di quella signora non solo non provi imbarazzo, ma sia lusingato di veder sua moglie che se ne va in giro in abbigliamento provocante: gode al pensiero del desiderio e dell’invidia che gli altri uomini proveranno; e persino i suoi figli, forse, saranno fieri della loro mamma, “libera” ed “emancipata”. A riprova del fatto che i costumi hanno completamente assorbito e cancellato la morale.

Se si è arrivati a questo, è, lo ripetiamo, perché la morale, a un certo punto, si è ideologizzata, si è distaccata dalle cose, dalla vita: è divenuta un fatto di testa, una pretesa dei filosofi, un imperativo categorico kantiano. Ma Kant non ha mai saputo spiegare quel suo: Tu devi; per cui non vi è da meravigliarsi se il Tu devi si è completamente rovesciato e prescrive alle persone, oggi, di comportarsi in maniera pressoché opposta a come si comportavano i loro genitori e i loro nonni. Scissione fra morale e costumi, astrattezza della morale, banalizzazione dei costumi: nella società di massa, anche i costumi si sono massificati, e hanno digerito la morale come il coccodrillo digerisce la preda che ha catturato sulla riva del fiume.

Dell’esistenza di una tale scissione era profondamente convinto Marcel De Corte, il grande pensatore controcorrente, cattolico e antimoderno, e pertanto - oggi ancor più che non lo fosse al suo tempo - politicamente scorretto, addirittura impresentabile; e, infatti, non lo si presenta mai, e la stessa cultura cattolica pare che se ne vergogni, a tal punto ne ha rimosso e cancellato perfino il ricordo. La sua riflessione su questo argomento ha raggiunto vertici di profondità e di finezza, ed è degna di stare al pari delle pagine più alte dei maggiori moralisti e psicologi di tutti i tempi.

Ci piace riportare qui il passaggio centrale del suo ragionamento, svolto in un libro dedicato al suo amico Gustav Thibon, noto come il “filosofo contadino”, il quale, per primo, aveva intuito come la radice del male risieda nel divorzio fra morale e costumi, verificatasi nella civiltà europea a partire dall’illuminismo (da: Marcel De Corte, Incarnazione dell’uomo. Psicologia dei costumi contemporanei (titolo originale: Incarnation de l’homme. Psychologie des moeurs contemporaines, Paris, Librairie de Médicis, 1942; Bruxelles, Editions Universitaires, 1944; traduzione dal francese di Giuliana Ferrari Sborgi, Cremona, Morcelliana Editrice, 1949, pp. 69; 71-73):

 

Non vi è fenomeno più angoscioso della CRESCENTE SEPARAZIONE a cui assistiamo dal XVIII secolo TRA LA MORALITÀ E I COSTUMI dell’uomo. Questa tesi, che prendiamo in prestito a Gustavo Thibon, ci dà la chiave di tutti i problemi antropologici di oggi.[…]

Ci dà proprio un senso di pena rappresentarci questo stato di scisma profondo che progressivamente invade tutti i generi di attività di cui l’uomo è capace, il quale solva con una traccia indelebile, gli aspetti così complessi e svariati della condotta umana che si usano riassumere col termine di CIVILTÀ. Noi sentiamo, con una certezza spaventosa, che nell’uomo c’è “qualche cosa” di guasto, che “nulla marcia più”, che stiamo toccando il fondo di un gorgo oscuro cosparso dei rottami di un mondo infranto; sperimentiamo fino alla nausea ed in un subisso di equivoci, LA DISGIUNZIONE, FATALE PER L’ESSENZA UMANA, DELL’INTELLETTUALE E DEL VITALE; l’energia dello spirito e quella della vita si ergono quali idoli famelici a cui si offrono, apertamente o in segreto, dei sacrifici sanguinosi; ma non riusiamo più a dominare, con uno sguardo limpido, gli avvenimenti spettacolosi che trascinano il mondo da vari secoli, e che lanciano nelle direzioni più diverse il brulicame umano un balia del disordine. Si può appellarsi alle ragioni più evidenti per spiegare questa universale metamorfosi e questa totale impotenza: non ve n’è alcuna che colpisca nel segno più della SCISSIONE TRA LA MORALE ED I COSTUMI. E noi non ce ne accorgiamo! Non ce ne accorgiamo, PERCHÉ LA VIVIAMO, perché è diventato lo stato abituale dell’uomo di oggi e perché, separando il pensiero dalla vita, essa ci impedisce quel ritorno al sano apprezzamento dei fatti che solo l’unità vissuta di morale e costumi può permettere! Di qui deriva la debolezza, l’inerzia e l’animosità – poiché ogni animosità fine a se stessa è destinata ad impoverirsi e a irrigidirsi – dei giudizi espressi circa la situazione attuale dell’uomo: siamo incapaci di GIUDICARE l’umanità contemporanea, perché l’etica che adottiamo si è staccata dalle necessità vitali di ogni genere che normalmente ci costringono, e perché a loro volta gli imperativi della vita concreta, privati della loro legislazione razionale, indeboliti e deformati, si sono corrotti senza rimedio. Teniamo in mani i principi dell’ordine, della giustizia, della coscienza, della libertà ecc., li impugniamo anche tutti i momenti, ma abbiamo la sensazione confusa di quanto siano tenui, fragili ed inconsistenti per saper tener dietro alla concretezza dell’azione. I tentativi di razionalizzazione, in campo morale e sociale, succedutisi da due o tre secoli, da un capo all’altro del pianeta, con l’ipocrisia della parola o con la brutalità del terrore, hanno dimostrato storicamente e senza dubbio in modo definitivo che un’etica, la quale si sua staccata dalle necessità della vita, è afflitta da paralisi e falsità. In modo parallelo anche le necessitò della vita che un tempo erano spontaneamente accettate, si sono deteriorate, deviate o stroncate; niente si effettua più per spontaneo scaturimento, e, naturalmente, con una incoscienza spaventosa se non il male, e nel suo grado più animalescamente basso: né la vita, né il pensiero, né i costumi, né la morale ci possono oggi fornire un criterio di azione: un movimento di oscillazione pendolare fa ondeggiare l’uomo moderno da una moralità malsicura a dei costumi che non hanno consistenza, e questo essere impoverito, decaduto, crede di poter ritrovare la purezza umana perduta, fermando questa oscillazione con la soppressione di uno dei due poli di attrazione: la vita si esalta uccidendo lo spirito, lo spirito si innalza soffocando la vita! L’uomo così è arrivato ai nostri giorni allo stato di povertà FRANTUMATA che egli camuffa sotto il termine di rinascimento e ricchezza umana!

La condotta quotidiana dell’uomo moderno ci offre una immagine sorprendente della sua posizione: da una parte la moralità, dall’altra i costumi non arrivano più a congiungersi in una unità vivente. Ecco un onesto borghese tormentato di continuo dalle idee di libertà, uguaglianza, fraternità sognare una splendida Salento [?] dove, sotto l’effetto di un magico razionalismo, regnerebbe la trinità del vero, del bello e del bene, e dove, con il trionfo delle sue concezioni politiche, essendo appianati tutti i conflitti sociali, il popolo ormai felice, liberato da ogni costrizione, seguirebbe placidamente la strada maestra di una media moralità. Ma per incosciente debolezza, rifiuta il peso di tirare su bambini; se è funzionario, e con la stessa incoscienza, eseguisce il suo compito assai meno per il bene della comunità che non per la ricompensa che ne deriva, e che accresce i suoi agi; le preoccupazioni per la collettività non oltrepassano in lui i limiti della famiglia, o del circolo politico a cui appartiene; è generoso fintanto che lo spettacolo della sofferenza ferisca la sua delicata sensibilità; un simile tipo d’uomo è oggi esteso ad un numero infinito di esemplari. Si potrebbero far variare le idee di cui si diletta, sostituirle con altre anche opposte. Il suo atteggiamento concreto non varierebbe molto. Possiede una morale ideologica qualsiasi che però non scende più in giù del suo cervello; la sua etica è tanto più pura, quanto più è incapace di prender corpo nella sua vita particolare; possiede dei costumi, ma tentennanti, già in rovina, nei quali sussiste solo ciò che comunemente si chiama integrità personale e che non va più in su della sua vita vile ed egoista.

 

Che altro aggiungere ad una analisi così precisa, così chiara e lungimirante? Certo, ai tempi di De Corte erano ancora inimmaginabili tutta una serie di pratiche, di “diritti”, di sentenze dei tribunali e di leggi approvate democraticamente dai parlamenti, che calpestano secoli e secoli di morale e di buoni costumi, e rivoltano come un guanto tutto ciò che la società credeva di sapere a proposito del bene e del male. Si direbbe che la pratica, oggi, comandi alla legge morale e che, se un certo numero di persone fa una certa cosa, quella cosa diventa automaticamente lecita. Non è un grande progresso rispetto ai tempi del nazismo, quando gli ordini superiori facevano sentire moralmente giustificato colui che agiva in maniera contraria alla legge morale e ai buoni costumi. Oggi a dettar legge non è più il potere tirannico di un certo regime politico, ma il potere, altrettanto tirannico, ma più insidioso, perché abilmente dissimulato, della stampa, del cinema, della pubblicità, e, in definitiva, della opinione pubblica: concetto bislacco che equivale al nulla, perché l’opinione pubblica non è che l’umore, instabile e disordinato, di una folla anonima, deresponsabilizzata e manipolata intellettualmente da oscuri poteri finanziari.

Esiste una sola via che potrebbe consentirci di ritrovare la pace dell’anima e l’equilibrio che abbiamo perduto: quella che va nella direzione di ricucire lo strappo apertosi tra la sfera della morale e quella dei costumi. In altre parole bisogna tornare al primato della morale: ma non di una morale astratta, ideologica, fondata sui “diritti” individualistici ed egoistici dell’uomo, ma quella che nasce dalla volontà di soddisfare i bisogni effettivi del singolo, armonizzandoli, il più possibile, con il bene dell’intera società, o, perlomeno, evitando di creare un dissidio tra le due sfere, una insanabile contrapposizione tra quella del privato e quella del pubblico. Pertanto, si tratta di tornare ai bisogni autentici delle persone, separandoli nettamene da ciò che è capriccio o, peggio, vizio, e di tornare ad insegnare alle nuove generazioni il rispetto di un codice etico al quale i costumi e i comportamenti devono, per quanto possibile, inchinarsi e uniformarsi.

O cercheremo di fare questo, oppure sarà il caos.

Sospettiamo, però, fortemente che vi siano dei lucidi strateghi del caos, i quali, dietro la maschera delle buone intenzioni e del rispetto verso i “diritti” e gli “istinti naturali” dell’individuo, vogliono sospingere l’intera società lungo la china inarrestabile dell’auto-distruzione…