Clinton-Kaine: la strana coppia
di Giacomo Gabellini - 05/08/2016
Fonte: l'indro
Quello di Tim Kaine, il senatore della Virginia scelto da Hillary Clinton come proprio vice, è un nome su cui vale la pena prestare attenzione, in quanto suscettibile di indicare il sentiero che i democratici hanno intenzione di percorrere in caso di conquista della Casa Bianca. Fin dall’inizio dell’estate, quando ancora non era stata ufficializzata la sua nomina, Kaine si espresse senza mezzi termini a favore di una regolamentazione mirata del settore bancario, proporzionata cioè alle dimensioni degli istituti. È sostanzialmente questo il contenuto della lettera indirizzata lo scorso luglio ai vertici della Federal Reserve, della Federal Deposit Insurance Corp. e dell’Office of the Comptroller of the Currency, attraverso cui Kaine ed altri tre senatori democratici hanno illustrato la propria visione del sistema bancario ideale per gli Stati Uniti. L’obiettivo è quello di mettere a punto ed applicare un quadro normativo a parte per le «banche regionali che non condividono lo stesso profilo di rischio o la complessità degli istituti di rilevanza sistemica».
Amy Dudley, portavoce del neo-vice della Clinton, ha chiarito che «il senatore Kaine è un convinto sostenitore delle misure atte a disciplinare l’attività finanziaria, per evitare che le grandi banche che in passato hanno beneficiato delle falle del sistema per sconvolgere l’economia americana, danneggiando milioni di risparmiatori, possano ripetere gli stessi errori […]. Il regolamento più stringente dovrebbe essere applicato alle istituzioni più grandi e di maggiore importanza per la tenuta del sistema. Le cooperative di credito, le banche comunitarie e le banche regionali necessitano invece di normative più flessibili, in modo da far sì che questi attori siano nelle condizioni di apportare un efficiente sostegno all’economia reale». Si tratta di esternazioni in linea con quelle espresse in precedenza da Kaine stesso, che assieme ad altri 69 senatori aveva sottoscritto un’altra lettera attraverso cui si chiedeva a Richard Cordray, direttore del Consumer Financial Protection Bureau, di adoperarsi per «prevenire l’impatto negativo di sistemi normativi che limitino la capacità delle banche regionali e delle cooperative di credito di servire al meglio i consumatori». Se messe in pratica, le idee di Kaine assicurerebbero a queste istituzioni finanziarie di dimensioni più ridotte, con patrimoni fino a 10 miliardi di dollari, una struttura normativa più leggera rispetto a quella vigente alla vigilia della crisi finanziaria del 2007/2008. Alcuni addetti ai lavori hanno tuttavia fatto notare che sebbene la maggior parte delle piccole banche non abbia contribuito in maniera sensibile a gonfiare bolla dei mutui subprime, una parte consistente di tali istituti si è resa responsabile di una serie di violazioni delle norme a tutela dei consumatori che, pur non originando flessioni finanziarie di portata sistemica, hanno causato seri problemi alle famiglie vittime dei raggiri.
Alcuni osservatori hanno avanzato il sospetto che Kaine e il senatore Mark Warner, anch’egli senatore democratico della Virginia espressosi a favore dell’applicazione di una regolamentazioni diversificata del sistema bancario Usa, abbiano esercitato pressioni in questo senso a causa del forte interesse per il rafforzamento di Capital One, banca con sede a McLean (Virginia) di dimensioni più modeste rispetto a colossi del calibro di Jp Morgan Chase e Bank of America. L’ala liberal del Partito Democratico ha reagito invece in maniera furente alle iniziative del senatore della Virginia, mediante un comunicato in cui si legge che: «sollecitare l’adozione di norme tese a permettere alle banche di aggirare gli standard sulla liquidità e i vincoli imposti per proteggere gli interessi dei consumatori ed impedire alla grande finanza di distruggere nuovamente l’economia degli Stati Uniti dovrebbe risultare assai squalificante per ogni candidato alla vice-presidenza democratica».
Rilievi di questo tenore avevano indotto Hillary Clinton a inserire nell’elenco dei papabili alla vice-presidenza alcuni candidati liberal (tra cui spiccano i nomi dei senatori Elizabeth Warren, Sherrod Brown e Jeff Merkley) favorevoli al ripristino del Glass-Steagall Act (introdotto nel 1933 e abolito negli anni ’90 sotto l’amministrazione guidata da Bill Clinton), così da diffondere la sensazione che la leader dei democratici avrebbe tenuto in seria considerazione le preoccupazioni dei progressisti. La nomina di Kaine ha tuttavia sgomberato il campo da qualsiasi illusione, dal momento che il senatore della Virginia si era presentato fin dall’inizio come un convinto sostenitore sia della regolamentazione differenziata per il settore bancario che dei trattati di libero scambio con Europa (Ttip) e Asia-Pacifico (Tpp); tesi, quelle promosse da Kaine, tutte fortemente osteggiate dai liberal.
Lo stesso vice della Clinton si è rifiutato di firmare una lettera sottoscritta da altri 28 senatori e indirizzata al Consumer Financial Protection Bureau, in cui si richiedeva di varare un sostanziale giro di vite sull’erogazione dei cosiddetti ‘prestiti del giorno di paga’, vale a dire crediti generalmente inferiori ai 500 dollari che i contraenti sono vincolati a ripagare entro il primo giorno in cui viene versato il salario. Anche in questo caso, dunque, Kaine si è posto in netta controtendenza rispetto ad una nutrita frangia del suo stesso partito, allargando una frattura interna venuta prepotentemente a galla con la pubblicazione delle mail del National Democratic Committee da parte di Wikileaks da cui si evince una vera e propria operazione di boicottaggio del candidato Bernie Sanders orchestrata dall’establishment democratico. E mentre la Clinton accusava il Cremlino di essere il mandante dell’hackeraggio, Debbie Wassemrann Schultz presentava le proprie dimissioni da presidente del Partito Democratico, assumendosi così la responsabilità di una condotta indubbiamente non cristallina e su cui gli inquirenti potrebbero decidere di aprire un’inchiesta.
In tale quadro, l’incognita Tim Kaine potrebbe rivelarsi una vera e propria mina vagante per Hillary Clinton, come suggerito dai sondaggi che, per quanto scarsamente attendibili, danno il neo-isolazionista Trump come candidato momentaneamente favorito. In linea teorica, Hillary Clinton, con a sua rodata esperienza politica di alto livello, la sua popolarità, i suoi agganci altolocati presso Wall Street e il complesso militar-industriale,dovrebbe avere la strada spianata verso la presidenza, ma l’America profonda appare scarsamente ricettiva alla sua oratoria e gli ambienti progressisti sembrano identificare in lei l’immagine di un Paese conservatore ed incapace di rinnovarsi, specialmente per quanto riguarda il nevralgico settore della finanza.