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L’importante non è partecipare, ma vincere

di Enrico Galoppini - 21/08/2016

L’importante non è partecipare, ma vincere

Fonte: Il Discrimine

de-coubertin-olimpiadiNon sarà forse fatica sprecata, in giorni di cosiddette “Olimpiadi”, ricordare a quei pochi ancora in grado di darsi un minimo d’ordine interiore, che da sempre, in ogni gara e competizione, ciò che conta non è partecipare, bensì vincere.

Le Olimpiadi moderne – “ripescate” (ma sarebbe più corretto dire “reinterpretate” e “adattate” alla bisogna) nell’epoca del Progresso con la P maiuscola e il vento in poppa per inscenare la “fratellanza” delle Nazioni (quella cioè dell’omonima “Società”, antesignana dell’Onu) – hanno inscritto nel loro dna il motto del barone De Coubertin, per il quale, come tutti sanno, “l’importante è partecipare”.

Da qui l’attribuzione, ai piazzamenti primo, secondo e terzo, di medaglie coniate con metalli sempre meno nobili, messe al collo degli atleti da quegli stessi adepti della “fratellanza universale” incaricati di alimentare un ideale “democratico” nell’ambito dello sport.

Personalmente, non ho mai capito quale gusto ci fosse nel piazzarsi al secondo o al terzo posto, per non parlare delle classifiche che rendicontano di ogni singola prestazione, fino all’ultimo classificato.

L’ho sempre trovato patetico, dal sapore di contentino per chi, fondamentalmente, ha perso.

Podio-olimpicoTutt’al più si può comprendere la soddisfazione di un “outsider” candidato ad un’eliminazione precoce, e per giunta sotto la bandiera di un piccolo Paese, quando si aggiudica un buon piazzamento. Ma per il resto, per esempio quando un campione che punta al successo arriva secondo o terzo, o solo in finale, non si comprende quale gusto ci sia nel non aggiudicarsi l’alloro.

Ma è secondo questa mentalità che la stragrande maggioranza dei nostri contemporanei intende l’agonismo, inculcandone un’idea distorta fin da piccoli ai loro figli, i quali non devono mai preoccuparsi se non vincono o se non vince la loro squadra, perché “l’importante è partecipare”.

Ciò è oltretutto in contraddizione con tutto l’andazzo della nostra società, competitiva oltre ogni limite, e che infonde nella gioventù il messaggio sbagliato che o “sei qualcuno” (cioè uno con una “buona posizione”) o non sei nessuno. Ma sarebbe vano cercare una qualche coerenza nel mondo moderno, ovvero una “questione di principio” valida sempre e comunque: se nello sport vale la “partecipazione” perché tutti devono adeguarsi ad un atteggiamento di fondo “mediocre”, nella società (e dunque nel “mondo del lavoro”) vale la regola aurea del cosiddetto “capitalismo”, e cioè che vali solo se fai i soldi, perché quella del denaro è l’unica “élite” ammessa in quella che, piuttosto che democrazia, andrebbe chiamata oligarchia dei plutocrati.

bartoletti_vittoria_palio_lupaCon queste premesse, non stupisce affatto che il Palio di Siena, che è già di per sé un “mistero” per la mentalità “profana”, sia gravemente incompreso quando attribuisce onori e gloria solo a chi vince, col secondo che si prende pure la “purga” in quanto, essendo andato vicino alla vittoria, ma avendola solo ‘annusata’, è quello che esce peggio conciato dalla Carriera sul tufo. Quanto all’ordine d’arrivo, semplicemente non esiste, perché appena la prima piazzata passa al bandierino tutto il resto non conta più nulla e la pista è già invasa di contradaioli festanti o delusi per la sconfitta.

Onorare la contrada vittoriosa e basta, senza perdere tempo con inutili cerimonie dedicate al secondo, al terzo e giù giù fino al decimo (come molti sapranno, delle diciassette contrade ogni volta ne corrono solo dieci), non solo è altamente istruttivo per tutti, soprattutto i “cittini” (i bambini), ma è anche indicativo di quali siano le “linee di vetta” da seguire per ciascuno, dell’élite o del volgo, ricco o povero che sia, al fine di un corretto e sano orientamento spirituale.

La visione esattamente opposta a quella paliesca e tradizionale in genere, è quella “democratica”, per la quale tutti devono avere una pacca sulla spalla e una giustificazione della propria “mediocrità”. Da una parte la vittoria degli “eroi”, che assurgono anche solo per un giorno al rango più elevato e ad una vita superiore sia pure simbolica e tuttavia con qualche “effetto”; dall’altra la palude meotica di chi deve imporre a tutto e tutti il proprio insuccesso, barattandolo per ciò che non è e seminando quindi confusione riguardo a ciò che è, per sua propria natura, superiore (la vittoria) e inferiore (la sconfitta).