Dopo Turchia, Iran e Siria, la Russia conquista anche lo Yemen. La risposta Usa è alle porte?
di Mauro Bottarelli - 23/08/2016
Fonte: rischiocalcolato
Anch’io prima di rilanciare la notizia del piano di difesa civile del ministero dell’Interno tedesco ha fatto mille verifiche, perché mi sembrava inverosimile: invece non solo è tutto vero ma domani il governo ufficializzerà il progetto e il compassato ministro dell’Interno, Thomas De Maiziere. lo presenterà alla stampa da una delle centrali della Berliner Wasserbetriebe, la municipalizzata berlinese dell’acqua. Una circostanza che, unita all’invito a far scorta di oro blu, può portare a pensare a recenti minacce alla rete idrica: “Assolutamente no, la rete dell’acqua è solo una delle infrastrutture critiche individuate dal nuovo piano di Protezione civile, da cui la scelta di incontrare i media in quella sede”, ha risposto il portavoce del ministero, Johannes Dimroth.
E i due litri di acqua potabile al giorno per dieci giorni di cui ogni cittadino deve fare scorta? “Che un piano per le situazioni di emergenza preveda la costituzione di scorte ci sembra solo ragionevole”, ha ribattuto. In compenso, si sono scatenate polemiche politiche, visto che la sinistra d’opposizione, Die Linke, ha attaccato la Merkel, accusandola di fomentare paura tra la cittadinanza: “Presentando sempre nuovi piani, il governo potrebbe spaventare la gente e spingerla ad acquisti da panico”, ha attaccato il vice-segretario del partito Dietmar Bartsch dalle colonne del Rheinische Post. E, segnando nettamente la differenza tra le sinistre europee, lo stesso Bartsch ha detto che “si poteva evitare questo senso di paura quotidiano, bloccando la politica di porte aperte”.
Insomma, la Germania sta davvero presentando l’aggiornamento del suo piano per le emergenze nazionali per la prima volta dal 1995, di fatto lasciando intendere un rischio terroristico che non si ritiene possa svanire in tempi brevi ma, anzi, che potrebbe aumentare di intensità, se l’Isis dovesse spostare il suo teatro principale di azione in Europa dopo le cadute in Siria, Iraq e Libia.
Certo, l’ipotesi di un piano emergenziale per la conversione della valuta e il ritorno al marco che getti momentaneamente nel caos il Paese non si può escludere ma io ritengo che siano proprio gli accadimenti esteri a determinare i rischi nel nostro Continente. E sabato, nel silenzio generale dei media, è accaduto qualcosa di geopoliticamente enorme. Dopo aver ricucito con la Turchia e aver ottenuto basi aeree dall’Iran per colpire l’Isis in Siria, la Russia ha centrato un altro risultato di primo piano nella sua strategia mediorientale di influenza: l’ex presidente yemenita, Abdullah Saleh, ha detto che il nuovo consiglio di governo del Paese, di fatto sciita e anti-saudita, “potrebbe lavorare con la Russia per combattere il terrorismo, anche permettendo a Mosca di utilizzare le nostre basi militari e i nostri porti. Siamo pronti a offrirli alla Federazione Russa”, ha dichiarato nel corso di un’intervista a Sanaa.
E la cosa che ingigantisce la portata della decisione è il fatto che lo stesso Saleh, prima di essere deposto da proteste di massa nel 2011, fomentate dal Dipartimento di Stato nell’insieme delle cosiddette “primavere arabe”, era proprio un alleato degli Usa nell’ambito della lotta al terrorismo. Ora. la stessa persona offre a Mosca l’accesso a basi aeree e porti. E nel riportare la notizia, la Reuters ha dovuto ammettere che i funzionari del partito guidato da Saleh guidano un consiglio politico che ormai controlla la gran parte del Paese insieme ai ribelli del movimento Houthi, finanziati e supportati dall’Iran.
Ma ancora più interessante per inquadrare i nuovi equilibri che si stanno instaurando nell’area, è il fatto che la proposta di Saleh a Mosca sia stata avanzata solo 48 ore dopo che che il Pentagono aveva ritirato dall’Arabia Saudita il personale che lavorava in coordinamento con la campagna di Ryad in Yemen, oltre ad aver ridotto drasticamente il numero di personale impiegato in quella missione altrove. Ora sono soltanto cinque i militari Usa assegnati a tempo pieno alla “Joint Combined Planning Cell”, unità creata lo scorso hanno per coordinare il supporto statunitense con operazioni come il rifornimento in aria dei caccia e una limitata cooperazione nell’intelligence, ha confermato il luogotenente, Ian McConnaughey, portavoce della Marina statunitense in Bahrain.
La Russia, invece, è l’unico grande attore globale a mantenere un presenza diplomatica in Yemen, tanto che nel 2015 Mosca si astenne quando il Consiglio di sicurezza dell’Onu votò una risoluazione per imporre l’embargo sulle armi ai ribelli Houthi. In 16 mesi di guerra, sono oltre 6500 le persone uccise nel quasi silenzio generale del mondo. Inoltre, i rapoorti tra Russia e Yemen sono decennali e fino alla caduta dell’Unione Sovietica, migliaia di consulenti militari e addestratori sovietici operavano nel Sud del Paese, un tempo indipendente e di fatto satellite sovietico, denominato Repubblica popolare dello Yemen del Sud. E che la situazione nel Paese sia a un potenziale punto di svolta lo mostra questo video
che documenta la manifestazione popolare di massa tenutasi sabato scorso a Sanaa in supporto del consiglio di governo e dei ribelli Houthi: di più, il movimento di Saleh ha annunciato in quella occasione la formazione di un nuovo governo nell’arco di poche settimane. La RAI, dando velocissimamente notizia della manifestazione, ha parlato di poche migliaia di persone. Immediatamente, in risposta alla prova di forza degli Houthi, gli ambasciatori del gruppo del G18, quello che supporta i patetici colloqui di pace avanzati dall’Onu, hanno emesso un comunicato in cui condannavano “azioni incostituzionali e unilaterali a Sanaa”.
Poco cambia, in sostanza: il messaggio all’Arabia Saudita, principale sponsor del terrorismo salafita e wahabita al mondo, è stato inviato: dietro lo Yemen, ora c’è la Russia. La quale, dopo aver aumentato la presenza militare in Siria e Iran, ora vede la Turchia aprire all’ipotesi di utilizzo addirittura della base aerea Usa di Incirlik, da dove gli Stati Uniti intendono infatti spostare le armi strategiche e le testate nucleari e anche lo strategico Yemen offre le sue infrastrutture. Il tutto, soltanto a una settimana dalla decisione della Cina di fornire aiuto e addestramento militare al governo di Assad, di fatto sigillando un patto con Mosca a difesa di Damasco e del suo governo legittimo contro ribelli più o meno moderati e l’Isis.
L’intera regione vede l’influenza russa crescere a dismisura e traballare pericolosamente l’asse sunnita, con l’Arabia Saudita di fatto nel mirino di Mosca: quanto potrà Washington attendere, prima di intervenire? Tanto più che, come ci mostra la cartina,
lo Yemen sta di fronte allo strategico Djibouti dove si trova la altrettanto strategica base militare Usa di Camp Lemonier, bastione nel Golfo di Aden e a controllo del chokepoint petrolifero di Bab el Mandeb. Il fatto che la Cina sia in trattativa con il governo del Djibouti per aprire essa stessa una base militare è già motivo di nervosismo negli Usa, uno Yemen filo-russo sarebbe inaccettabile e da contrastare con ogni mezzo. Ma, se accadrà, non sarà certo confronto diretto, bensì il solito proxy del terrore per mettere l’Europa ulteriormente contro Mosca e polarizzare lo scontro. La Germania, con il suo piano di emergenza, forse sembra già aver messo in conto tutto. Anche perché, fino alla caduta del muro di Berlino, è stata teatro principale della Guerra Fredda e ora potrebbe diventare il campo di battaglia della versione 2.0.