Paesaggio e Globalizzazione
di Luigi Plos - 31/08/2016
Fonte: Luigi Plos
La delocalizzazione di tutti gli asset di valore in Italia procede spedita, favorita dalla legislazione della UE e dalla gabbia dell’euro, nell’inconsapevolezza degli italiani e nell’inettitudine/complicità della nostra classe dirigente.
C’è però un asset che difficilmente può essere delocalizzato: il paesaggio italiano.
Parliamo del paesaggio che affascinò Stendhal, Lawrence, Goethe e tanti altri scrittori e che fu immortalato da Ettore Roesler Franz e da molti altri pittori.
Questo territorio è stato reso vivo per millenni dagli uomini che lo hanno abitato.
In esso troviamo i segni dell’organizzazione territoriale antica delle diverse civiltà, in cui sempre l’uomo è intervenuto per viverci meglio, integrando elementi antropici nella natura.
Appena fuori Roma c’è una mirabile fusione di opere dell’uomo e della natura che va a comporre il paesaggio, soprattutto agrario, che fin dal tempo degli etruschi non solo utilità ma anche bellezza.
Un paesaggio dove per lunghissimo tempo le attività produttive sono state sostenibili, sono state salvaguardate le risorse e la diversità biologica, ed è stata creata la miscellanea unica e famosa nel mondo, che risponde al nome di made in Italy.
Dove, per inciso, sono state messe in piedi attività come l’arsenale di Venezia, che è stato per alcuni secoli la più grande filiera industriale della Terra, e poi attività come la lavorazione della ceramica nella zona di Civita Castellana e quella dell’alabastro a Volterra.
Questi due distretti produttivi ebbero origine addirittura con gli etruschi, che 2.500 anni fa crearono queste filiere di valore e a chilometro zero, con utilizzo di materie prime di qualità reperibili in loco quali tufi, argille e pozzolane.
Questi distretti (e ci sono centinaia di esempi in Italia), dove grazie al know how tramandato e perfezionato attraverso decine di generazioni, vengono prodotte rinomate ceramiche e alabastri che compendiano migliaia di anni di storia e di cultura, potrebbero essere, che so, patrimonio dell’UNESCO.
Ma, invece di essere tutelati, questi distretti produttivi (e la situazione è identica nel resto d’Italia) sono stati così martoriati da tasse, studi di settore, norme della UE volte ad aumentare la “concorrenza” (ma che concorrenza possono avere prodotti unici al mondo, frutto di migliaia di anni di genio?) che, dopo millenni di esistenza, sono stati in pochi anni annientati, surclassati da produzioni di bassa qualità e basso costo, giunte da nazioni dove la manodopera è più sfruttata e le tasse sono più basse, e danneggiati dai rigidi regolamenti imposti dalla UE, volti a danneggiare le piccole aziende per favorire le grandi aziende transnazionali.
Con la nostra classe dirigente che ha accettato supinamente questo smantellamento, portando a un progressivo impoverimento del nostro paese.
L’Italia, una volta perse queste competenze millenarie e disgregate le relative filiere e maestranze, anche quando si romperà l’infernale meccanismo Euro più UE, e potrebbe essere, sulla carta, libera di ricominciare a produrre prodotti di pregio, difficilmente potrà farlo nuovamente.
Nel frattempo? Grandi convegni fatti da Invitalia, dove relatori strapagati si parlano addosso, illustrando fantastici progetti per rimettere in moto l’Italia, che non possono e non vogliono fare.
Intanto noi cittadini crediamo di avvantaggiarci dalla globalizzazione, prima causa di questo sfacelo, e ce ne andiamo felici a Berlino, spendendo come se andassimo in Toscana.
Tanto, nel prezzo del biglietto aereo, lautamente sovvenzionato dagli stati, non è conteggiato il danno all’ambiente causato dall’aereo stesso, né è conteggiata la perdita di valore a livello turistico di paesaggi unici al mondo come per esempio quello toscano, e la distruzione dei distretti produttivi.
Nulla di personale contro Berlino (contro Francoforte e la sede della banca centrale europea si però!).
Però a questo porta la globalizzazione: a massificare i gusti, a comparare Berlino alla Toscana. E questo paragone è semplice dove la popolazione non ha più un legame con il proprio territorio.
Perché non essere invece provinciali nel vero senso del termine? Perché non fare qualche volta viaggi a chilometro zero? E, anche meglio, perché non organizzare gite scolastiche a chilometro zero?
La Tuscia non è di certo inferiore come suggestioni e bellezza a Berlino, o a Parigi; e si possono portare i ragazzi alla scoperta delle bellezze vicino Roma, far assaporare loro le sensazioni impagabili che si provano conoscendo in modo approfondito il nostro territorio (che, ripeto, non ha pari al mondo per le sue peculiarità) e far loro comprendere che il nostro passato è il carburante del nostro futuro.
Riassumendo, il paesaggio incornicia l’intero patrimonio storico, artistico, culturale, monumentale, ovvero gli asset che nessun altro paese ha, che ci hanno lasciato i nostri antenati; esso è l’archivio della nostra storia e può e deve essere decifrato da chi ne possiede la chiave culturale. E mettere il paesaggio al centro di tutto ci permette di contrastare la crescita illimitata e di capire che la qualità delle nostre vite non è legata ai redditi e ai consumi, ma alla qualità dell’ambiente dove viviamo noi e dove vivranno i nostri figli.
In copertina: Torre Fiora – presso Monterotondo. A pochi chilometri da Roma.