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Non c’è “Fertility Day” che tenga se siete sterili nell’anima

di Adriano Scianca - 01/09/2016

Non c’è “Fertility Day” che tenga se siete sterili nell’anima

Fonte: Primatonazionale

Verrebbe quasi da difenderli, solo per il fatto di averci provato. La prima campagna governativa da tempi immemori che prova ad affrontare il tema non esattamente secondario della nostra estinzione demografica è stata subissata di critiche. Alcune sono sensate, altre sono solo sbrocchi ormonali. Diciamo che almeno ci si è cominciati a porre il problema, che non è poco. Per risolverlo, ripassate quando al governo ci saranno meno cialtroni.

Il primo problema della campagna per il Fertility Day è… il Fertility Day. C’è da capirli, del resto, sono abituati ad affrontare problemi inesistenti, a cui in effetti ci si approccia così: c’è un’emergenza farlocca, un problema che non esiste, che in realtà è solo una nube gassosa di parole e tweet sagaci, tipo l’omofobia; per farvi fronte basta allora inventare una giornata apposita con nome in inglese e mettere altre parole nella nube di parole e tutto va a posto. Con la realtà, però, questa cosa non funziona, ma loro sono disabituati ad avere a che fare con la realtà. L’emergenza demografica è realtà, purtroppo per loro. E comunque, se anche ci si dovesse limitare a indire un Fertility Day e a fare la relativa campagna pubblicitaria, si poteva pensare a qualcosa di più ironico e provocatorio, tipo lo spot andato in onda in Danimarca. Ma questo è impossibile, perché da noi di questi temi si occupano solo i bigotti tristi.

Certo non ha torto chi ha invitato il governo ad occuparsi più degli asili e delle tutele alla maternità che dell’orologio biologico delle donne: uno Stato sociale degno di questo nome aiuterebbe la demografia più di qualsiasi campagna. È verissimo, ma diciamola tutta, non è questo il motivo dello scandalo. La desertificazione delle tutele ha certo trasformato la procreazione in una specie di atto eroico, il che è folle, per carità, ma il motivo per cui non facciamo più figli è culturale. È un problema che la campagna della Lorenzin non affronta di certo, ma che in qualche modo sfiora, generando così reazioni isteriche molto significative. C’è stata, infatti, un’ondata di individualismo tardo-femminista sull’intangibilità del “corpo delle donne”, come se la procreazione fosse un fatto meramente individuale rispetto al quale la collettività deve fare un passo indietro. È proprio questa incomprensione del carattere sociale (verrebbe da dire “comunitario”, se esistesse ancora una comunità) del generare figli che crea quel clima di narcisismo che castra ogni velleità creativa e generativa. Fare figli è un atto di responsabilità verso il proprio popolo. Ma questo non possono capirlo né quelli al governo (il cui slogan “la fertilità è un bene comune” va visto come un felice lapsus), né chi li contesta, perché entrambi non sanno cosa sia un popolo né una responsabilità.

Del resto c’è praticamente sovrapponibilità totale tra chi si indigna per questa campagna e chi vanta le virtù dell’immigrazione di massa in quanto gli immigrati apporterebbero un beneficio demografico all’Italia. Per credere che sia in atto una sostituzione di popolo, a questo punto, non serve essere complottisti, basta fare due più due. E non è un caso che, per bollare d’infamia la goffa, inutile, ma in fondo innocente propaganda del governo in molti abbiano tirato in ballo il fascismo: non c’entra nulla, ma per larga parte della società contemporanea ogni preoccupazione demografica è già di per sé fascista. Il che vuol dire che gli antifascisti si mettono da soli dietro la bandiera della sterilità, dell’estinzione, del nulla. E almeno in questo hanno tutte le ragioni del mondo.