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Fertilityday?

di Daniele Scalea - 01/09/2016

Fertilityday?

Fonte: Daniele Scalea

L'iniziativa è criticabile sotto diversi punti di vista (a cominciare dal nome: quando gli Italiani riscopriranno un po' d'amor proprio?) ma, come spesso accade, chi fa cagnara lo fa da posizioni indifendibi:
- prime ci sono le vetero-femministe, ferme a battaglie ottocentesche, secondo cui è offensivo che una campagna del Ministero della Salute parli del corpo delle donne. Seguendo la loro linea di ragionamento, bisognerebbe evitare pure la sensibilizzazione sul pap test o l'autopalpazione al seno, perché "utero e seni sono miei e me li gestisco io". La fertilità è anche un problema medico, tant'è vero che ginecologi ed endocrinologi plaudono all'iniziativa. A chi non interessa il tema, può ignorarlo senza imporre però l'ignoranza a tutte le altre donne;
- secondi abbiamo quei psicotici che hanno deciso di focalizzare la loro monomania sull'antifascismo, e così qualsiasi cosa accada attorno a loro cercano di collegarla al fascismo e ripudiarla indignati. Campagna statale sulla fertilità? Tiriamo fuori le vecchie foto sulle famiglie numerose in camicia nera. Questa è gente che volentieri raderebbe al suolo l'Eur o reinonderebbe l'Agro Pontino, convinta che ciò faccia di loro gli eredi della Resistenza;
- terzi vengono i preti laici del politicamente corretto, quelli che vedono bestemmie alla loro neoreligione ovunque. Qualsiasi cosa si dica, c'è sempre qualcuno che potrebbe essere offeso e, perciò, nulla va detto. E' la linea scelta dal papa laico di questa religione, ossia Saviano. Visto che è uomo di lettere, dovrebbe leggersi un (davvero) grande romanziere come Bradbury, che in "Fahrenheit 451" denunciava con decenni d'anticipo come il politicamente corretto potesse portare alla censura generalizzata.
Per fortuna ci sono anche critici intelligenti, e sono quelli che notano come sia inutile questo genere di campagna se non coniugata a interventi sulle politiche economiche e del lavoro. Se il lavoro è poco e precario, dunque il reddito scarso e incerto, per molti non è una scelta ma una necessità il non generare figli.
Questa è parte della risposta al perché l'intero Piano Nazionale della Fertilità sia concettualmente sbagliato. Perché:
a) la natalità non è solo un problema sanitario e culturale, ma anche e soprattutto economico;
b) il rapporto tra economia e demografia è più complesso di quello descritto in raffazzonati studi economicisti, il cui unico orizzonte è fornire manodopera a basso costo per frenare la crescita salariale (e chi la vede più dagli anni '80?!) e l'inflazione.
Gli attuali livelli di disoccupazione e sottoccupazione, il reddito reale retrocesso a quello di trent'anni fa, l'emergenza abitativa dovuta ai prezzi folli di case e affitti, il dissestro idrogeologico sono tutti spie di una realtà triste ma che è ora di riconoscere: e cioè che l'Italia è sovrapopolata. All'attuale livello di risorse, produttività e ripartizione, l'Italia è piena. Non servono né nuove nascite, né nuovi flussi immigratori.
Il calo delle nascite è, più ancora che un fatto culturale, la naturale (istintiva e inconscia) reazione collettiva al sovrapopolamento. Come è storicamente da secoli, i popoli europei (a differenza di quelli d'altre parti del mondo) sono più inclini ad autolimitare la natalità per mantenere inalterata la ricchezza pro capite, piuttosto che procreare al massimo possibile riducendo però il benessere individuale. Queste dinamiche si riscontrano almeno dalla prima Età Moderna.
Ecco dunque: anziché mirare alla promozione della natalità fine a sé stessa, lo Stato italiano necessiterebbe d'una seria riflessione sulle future strategie di sviluppo e, dunque, anche demografiche. La via alla maggiore natalità non è vantaggiosa in tutte le situazioni; ma perché sia possibile e benefica deve venir dietro a più importanti interventi:
a) una migliore ripartizione delle ricchezze nazionali, che vanno sempre più concentrandosi in un ceto ristretto;
b) una nuova politica industriale e investimenti in ambito tecnologico, per favorire la produttività e lo sfruttamento di risorse oggi inutilizzate.
Se ciò non è possibile (in primis perché le regole europee, improntate a un malinteso social-darwinismo, impediscono tutto ciò), tanto vale abbandonarsi alle leggi di natura, permettere il calo demografico dell'Italia e lasciare che sia questo a ridare spazi e opportunità alla successiva generazione.