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Putin sfida Shell, Exxon e Total

di Astrit Dakli - 21/09/2006

 
Bloccato per «motivi ecologici» lo sfruttamento dei giacimenti di Sakhalin. Gazprom pigliatutto?

Dopo mesi di manovre e tentennamenti, il governo russo ha deciso lunedì di sferrare il suo primo serio attacco alle multinazionali occidentali dell'energia. Mettendo in atto una mossa annunciata già da un paio di settimane, l'Agenzia statale per l'ambiente ha revocato il permesso di continuare i lavori alla Royal Dutch-Shell, che sta completando la messa in sfruttamento del gigantesco campo gas-petrolifero offshore Sakhalin-2, al largo della grande isola russa nel Pacifico. Dopo la revoca, ogni nuovo lavoro o anche ogni nuovo stanziamento di fondi verranno considerati reati penali; resta così congelato e infruttuoso un investimento di circa 20 miliardi di dollari che Shell, insieme alla giapponese Matsui, sostiene di aver finora effettuato nel progetto Sakhalin-2.

Anche se attesa - gruppi ambientalisti avevano già da mesi denunciato i danni legati al progetto, e il mese scorso Mosca aveva mostrato una inedita sensibilità sull'argomento - la notizia ha avuto un effetto deflagrante: i governi di Londra e Tokyo hanno minacciato una crisi nei rapporti con Mosca, la stampa internazionale ha sparato grandi titoli sulla politica energetica sempre più aggressiva e «politicamente orientata» del Cremlino, mentre la multinazionale anglo-olandese ha reagito sostenendo che quest'azione «compromette il clima per gli investimenti stranieri in Russia» (quello di Shell è il più grande singolo investimento straniero mai effettuato in Russia). E le sue azioni hanno perso il 2%.

Appare comunque abbastanza chiaro che la mossa del governo rappresenta soprattutto una fortissima pressione su Shell perché accetti l'ingresso a condizioni favorevoli del monopolio russo Gazprom nella società che ha i diritti di sfruttamento di Sakhalin-2. E, indirettamente, anche una pressione su altri due giganti dell'energia, l'americana Exxon e la francese Total, per rinegoziare gli accordi di sfruttamento (Sakhalin-1) che hanno nella stessa regione.

La vicenda è molto complessa. Shell, Exxon e Total hanno concluso nel 1993 - nel momento in cui la Russia era più debole e letteralmente «in saldo» - vantaggiosi accordi per lo sfruttamento delle risorse di gas e petrolio al largo di Sakhalin: in base agli accordi esse avrebbero pagato le spese di messa in sfruttamento recuperandole poi con l'esportazione dei prodotti; allo stato russo doveva andare una quota minore della produzione, una volta ammortizzati gli investimenti. Di fatto, questi accordi sono rimasti gli unici a dare a compagnie straniere la proprietà su risorse energetiche russe. Col tempo, con l'irrobustimento dell'economia russa e con la crescita vertiginosa dei prezzi dell'energia, il Cremlino ha visto con sempre maggior fastidio questi accordi - pur approvati dal parlamento - e ha cercato di modificarli, essenzialmente con l'acquisto di quote di capitale delle società sfruttatrici da parte dei due colossi energetici di stato, Gazprom e Rosneft.

Forti della loro enorme potenza internazionale, Exxon e Shell hanno fatto per molto tempo orecchie da mercante , proseguendo con gli investimenti e la realizzazione dei progetti Sakhalin-1 e Sakhalin-2. Di più, hanno portato avanti progetti di trasporto e commercializzazione del petrolio e del gas verso il Giappone, la Cina, la Corea del Sud e gli Stati uniti, con pipelines, porti speciali, impianti di liquefazione del gas: pestando così i piedi - e in modo assai pesante - a Gazprom in casa sua.
Ora sembra si sia giunti a una svolta: il blocco «ambientale» delle attività di Shell è accompagnato da sempre più alti ostacoli posti a Exxon (che ha iniziato solo questo mese a pompare petrolio da Sakhalin-1). Contemporaneamente Gazprom (è notizia di ieri) sta acquistando le quote dei tre partner russi di Bp in un'altra grande impresa petrolifera, la Tnk-Bp che ha grossi giacimenti in Siberia: in vista evidentemente di una piena presa di controllo sull'azienda, cui il governo ha vietato di esportare petrolio in Cina.

In definitiva, se finora Gazprom aveva marciato verso il controllo del mercato mondiale del gas prendendosela con piccoli governi e aziende straniere «minori» (dobbiamo ancora vedere quali saranno i contenuti del nuovo accordo annunciato con l'Eni) adesso sembra iniziata l'offensiva maggiore, «a carro armato», anche contro le superpotenze energetiche euro-americane. Sarà interessante vedere come va a finire.