Superare l'economia per riprenderci la vita
di Serge Latouche - 09/09/2016
Fonte: La Repubblica
ESISTE una forma diversa di coesistenza che non coincida, come nel mondo globalizzato, con la dimensione economica? È possibile «uscire dall'economia» in nome di un paradigma migliore di quello basato su produzione e consumo senza limiti, sfruttamento del pianeta, profitti esorbitanti per pochi, poteri occulti transnazionali che sfuggono al controllo democratico? Si può, in una parola, passare da una società dell'«avere », frammentata e individualista, ad una «comunità» di persone riconciliate con valori come la gratuità, la solidarietà, l'equità, la spiritualità? Fra chi è convinto di sì c'è Serge Latouche, economista, filosofo e sociologo francese, teorico della «decrescita felice», invitato dal Fondo Arturo Paoli e della Fondazione Banca del Monte di Lucca a concludere il 1° festival di Economia e spiritualità al via da domani a Lucca (fino al 12 settembre, Auditorium San Romano, ingresso libero, info: www.tuttovita.it), organizzato da I ricostruttori nella preghiera con il sostegno del Comune e dell'arcidiocesi. E in cui economisti e filosofi, storici e ambientalisti, scrittori e leader religiosi, si confronteranno su ecologia spirituale e etica in azienda, dono e altruismo, economia e spiritualità.
Professor Latouche, per superare il conflitto fra economia e vita concreta delle persone, connaturato alla società globale, lei propone di «uscire dall'economia». In che senso?
«Si tratta di superare l'economia così come l'ha intesa la modernità, cioè come metodo per far denaro senza limiti, e che in quanto tale sta distruggendo l'umanità, anziché emanciparla come era avvenuto in origine. Oggi assistiamo al trionfo del massimo profitto e della mercificazione totale, corpi e menti compresi, a un massacro globale, definito concorrenza, che io chiamo della «libera volpe in libero pollaio », con i diversi popoli con i ruoli di volta in volta invertiti, vedi l'Europa che massacra la Grecia e poi viene massacrata dalla Cina».
E scardinare un sistema così pervasivo non è un'utopia? Ecuador e Bolivia ci hanno provato, ma senza grandi risultati.
«Il vero dramma è la colonizzazione dell'immaginario, l'economicizzazione della mente, indotte da questo sistema. È ovvio che ormai un paese da solo non possa cambiare le cose. D'altra parte, uscire dall'economia non può essere un processo rivoluzionario, traumatico, o calato dall'alto, ma il risultato di una evoluzione lenta e costante, dal basso, verso una nuova mentalità, che nel tempo sia in grado di cambiare davvero il mondo. I gruppi di acquisto solidale, per esempio, la condivisione locale di beni e servizi, sono piccoli gesti che stanno già incidendo nella vita delle persone, e cambiando la loro testa».
Lo stile di vita che cambia il mondo: un segno di sfiducia nella politica?
«Non si può negare che una piccola presa di coscienza si stia diffondendo nelle politiche dei paesi, per esempio, per quanto riguarda l'emergenza ecologica. Ma ecco quel che succede: che si cerca di risolvere il problema in se stesso, senza considerare che la sua origine è, di nuovo, iscritta nel sistema della crescita, e che solo modificandolo alla radice può cambiare qualcosa anche nell'ambiente. Renzi, Hollande, e tutti gli altri, vanno a i summit sul clima, sì, ma non si chiedono se per caso non sia l'economia la vera responsabile dei disastri ecologici. Il fatto è che vogliono la botte piena e la moglie ubriaca, e così non risolvono niente. Anche la progressiva erosione dello Stato sociale nelle socialdemocrazie è stato un esempio del fallimento di politiche che si sono rifiutate di superare alla radice la logica capitalista, accontentandosi di compromessi».
C'è chi coglie in queste sue considerazioni un fondamentale pessimismo sulla reale possibilità di cambiare le cose. È così?
«Diciamo, con Gramsci, che cerco di superarlo con l'ottimismo della ragione. O, con Woody Allen, che la differenza fra un pessimista e un ottimista è che il primo conosce meglio la materia… In effetti, più lavoro sui problemi ecologici, più il collasso mi sembra inevitabile. E tuttavia, sono convinto che anche dopo un collasso, o proprio dopo un collasso, l'umanità possa risorgere. Il fatto è che dobbiamo ancora toccare il fondo, e non sappiamo quando succederà».
A proposito di Europa: cosa cambiare, in una prospettiva di decrescita?
«Dovrebbe trasformarsi in un'Europa delle regioni e delle province, una confederazione di piccole realtà locali, inserite nella cornice politica e culturale, ma non economica, dell'Unione. L'uniformità economica di realtà troppo diverse è sempre pericolosa».
a cura di MARIA CRISTINA CARRATÙ