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Il regno di Narciso

di Robert de Herte* (Alain de Benoist) - 28/09/2006


 
 
 

 
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“La società ha adottato, senza alcun limite e contro-potere, l’integralità dei valori femminili” stimava recentemente il pediatra Aldo Naouri. Di questa femminilizzazione testimoniano già il primato dell’economia sulla politica, della consumazione sulla produzione, della discussione sulla decisione, il declino dell’autorità a vantaggio del “dialogo”, ma anche l’ossessione della protezione dell’infanzia (e il sopravvalutare la parola del bambino), la messa in pubblica piazza dell’intimità e le confessioni intime della “tele-realtà”, la moda dell’”umanitario” e della carità mediatica, l’accento messo costantemente su problemi di sessualità, procreazione e salute, l’ossessione dell’apparenza, del voler-piacere, e della cura di sé (ma anche l’assimilazione della seduzione maschile alla manipolazione e alla “molestia”), la femminilizzazione di certe professioni (insegnanti, magistrati, psicologi, operatori sociali),…

….l’importanza dei mestieri della comunicazione e dei servizi, la diffusione di forme rotonde nell’industria, la sacralizzazione del matrimonio d’amore (un ossimoro), la moda dell’ideologia vittimistica, la moltiplicazione delle “unità di sostegno psicologico”, lo sviluppo del mercato dell’emozionale e della commiserazione, la nuova concezione della giustizia che fa di se stessa un mezzo, non più per giudicare in assoluta equità, ma per riconoscere il dolore delle vittime (per permettere loro di “fare il lutto” e di “ricostruirsi”), la moda dell’ecologia e delle “medicine naturali”, la generalizzazione dei valori di mercato, la divinizzazione della coppia e dei “problemi della coppia”, il gusto della “trasparenza” e della “mescolanza”, senza dimenticare il telefono cellulare come sostituto del cordone ombelicale, la sparizione progressiva del modo imperativo nel linguaggio corrente, e infine la globalizzazione in se stessa, che tende ad instaurare un mondo di flusso e riflusso, senza frontiere né punti di riferimento stabili, un mondo liquido e amniotico (la logica del Mare è anche quella della Madre).

Dopo la penosa “cultura rigida” degli anni trenta, questa femminilizzazione non è stata certo un fatto del tutto negativo. Ma quest’ultima volge ormai all’eccesso opposto. Più che essere sinonimo di svirilizzazione, essa sbocca sull’annullamento simbolico del ruolo del padre e sull’indistinguibilità dei ruoli sociali maschile/femminile.

La generalizzazione del salariato e l’evoluzione della società industriale fanno in modo che oggi gli uomini non hanno più tempo da consacrare ai loro figli. Il padre è stato poco a poco ridotto ad un ruolo economico e amministrativo. Trasformato in “papà”, tende a diventare un semplice sostegno affettivo e sentimentale, fornitore di beni di consumo ed esecutore delle volontà materne, oltre che un assistente social-domestico, aiuto-cucina, cambia-pannolini e spingi-carrelli.

Il padre simboleggia la Legge, referente oggettivo che si eleva sopra le soggettività familiari. Mentre la madre esprime prima di tutto gli affetti e i bisogni, il padre ha come ruolo quello di tagliare il legame fusionale tra il bambino e la madre. Istanza terza che fa uscire il bambino dall’onnipotenza infantile e narcisista, permette l’incontro di quest’ultimo con il suo contesto socio-storico, e gli consente di iscriversi in un mondo e in un’epoca. Egli assicura “la trasmissione dell’origine, del nome, dell’identità, dell’eredità culturale e del compito da perseguire” (Philippe Forget). Facendo il ponte tra la sfera familiare privata e la sfera pubblica, limitando il desiderio attraverso la Legge, si rivela percio’ indispensabile alla costruzione di sé. Ma ai giorni nostri, i padri tendono a diventare “delle madri come le altre”. “Vogliono anche loro essere portatori dell’Amore e non più soltanto della Legge” (Eric Zemmour). Il bambino senza padre ha una maggiore difficoltà d’accesso al mondo simbolico. In cerca di un benessere immediato che non deve confrontarsi alla Legge, il suo modo di essere diventa spontaneamente dipendenza dal prodotto di mercato.

Un’altra caratteristica della tarda modernità è l’indistinzione delle funzioni maschile e femminile, che fa dei genitori degli individui flottanti, persi nella confusione dei ruoli e nell’imbroglio dei punti di riferimento.

I sessi sono complementari e antagonisti, cio’ significa che si attirano e si combattono contemporaneamente. L’annullamento della differenza sessuale, ricercata nella speranza di pacificare le relazioni tra i sessi, sfocia nel far sparire tali relazioni. Confondendo identità sessuali (ce ne sono solo due) e orientamenti sessuali (ce ne possono essere diversi), la rivendicazione d’omogenitorialità (che toglie al bambino i mezzi per nominare i propri genitori e nega l’importanza della filiazione nella sua costruzione psichica) equivale a chiedere allo Stato di fabbricare leggi per validare i costumi, legalizzare una pulsione o dare una garanzia istituzionale al desiderio, cosa che non è il suo ruolo.

Paradossalmente, la privatizzazione della famiglia è andata di pari passo con l’invasione da parte dell’”apparato terapeutico” dei tecnici e degli esperti, consiglieri e psicologi. Tale “colonizzazione del mondo vissuto” dietro il pretesto di razionalizzare la vita quotidiana, ha rinforzato insieme la medicalizzazione dell’esistenza, la deresponsabilizzazione dei genitori, e le capacità di sorveglianza e di controllo disciplinare dello Stato. In una società considerata come in debito perpetuo nei confronti degli individui, in una repubblica che oscilla tra il memoriale e il compassionevole, lo Stato-Provvidenza, occupato alla gestione lacrimevole delle miserie sociali attraverso un clericato sanitario e di sicurezza, si è trasformato in Stato materno, igienista, distributore di messaggi di “sostegno” ad una società messa sotto serra. E’ questa società dominata dal matriarcato mercantile che s’indigna oggi del virilismo “arcaico” delle periferie e si meraviglia nel vedersi disprezzata.

Ma, tutto cio’ non è ovviamente che la forma esterna del fatto sociale, dietro il quale si dissimula la realtà delle disuguaglianze salariali e delle donne picchiate. La durezza, evacuata dal discorso pubblico, ritorna con più forza sullo sfondo, e la violenza sociale si scatena sotto l’orizzonte dell’impero del Bene. La femminilizzazione delle elite e il ruolo preso dalle donne nel mondo del lavoro non l’ha reso più affettuoso, più tollerante, più attento all’altro, ma soltanto più ipocrita. La sfera del lavoro salariato obbedisce più che mai alle sole leggi di mercato, il cui scopo è di accumulare all’infinito lucrosi ricavi da investimenti.
Il capitalismo, si sa, ha sempre incoraggiato le donne a lavorare allo scopo di esercitare una pressione al ribasso sullo stipendio degli uomini. Attualmente, l’80% dei 3,4 milioni di persone che lavorano in Francia per un salario inferiore al minimo contrattuale sono donne.

Ogni società tende a manifestare delle dinamiche psicologiche che si possono anche osservare a livello personale. Alla fine del XIX secolo regnava spesso l’isteria, all’inizio del XX secolo la paranoia. Nei paesi occidentali, la patologia più ricorrente oggi sembra essere un narcisismo civilizzazionale, che si traduce soprattutto attraverso un’infantilizzazione, un’esistenza immatura, un’ansietà che conduce spesso alla depressione. Ogni individuo si crede l’oggetto e la fine di tutto, la ricerca del Sé vince sul senso della differenza sessuale, il rapporto con il tempo si limita all’immediato. Il fantasma del narcisismo crea un fantasma d’auto-procreazione, in un mondo senza ricordi né promesse, dove passato e futuro sono allo stesso modo ribaltati su un perpetuo presente e dove ognuno prende se stesso per l’oggetto del proprio desiderio, pretendendo di sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni.

*sta per Alain de Benoist

Fonte:www.grece-fr.net/
Link:http://www.grece-fr.net/textes/_txtWeb.php?idArt=737
(Elementi n°121, estate 2006)

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANNASTEF

Immagine in alto: "La metamorfosi di Narciso", Salvador Dalì, 1937, olio su tela, cm 50x78, Tate Gallery, Londra (tratta dal sito: www.studiopsicologia.com/psicologia-se.php )