La convivialità
di Ivan Illich - 02/10/2006
L'analisi dell'apparato educativo di ogni società fondata sull'espansione del modo di produzione industriale mi ha aperto la strada alla scoperta dei limiti non-ecologici di questa espansione. Sono arrivato a convincermi che la sovrapproduzione industriale di un servizio ha, inevitabilmente, effetti secondari non meno catastrofici e distruttivi della sovrapproduzione di un bene di consumo. Bisogna prender coscienza al più presto che i limiti da porre allo sviluppo devono riguardare tanto i beni quanto i servizi, prodotti industrialmente.
Per analizzare il rapporto tra l'uomo e il suo strumento, propongo qui il concetto di equilibrio multidimensionale della vita umana. In ognuna delle sue dimensioni, questo equilibrio corrisponde a una certa scala naturale. Occorre determinare con chiarezza queste scale e riconoscere le soglie che delimitano il campo della sopravvivenza umana. La società, una volta raggiunto lo stadio avanzato della produzione di massa, produce la propria distruzione. La natura viene snaturata. Sradicato, castrato nella sua creatività, l'uomo è rinserrato nella propria capsula individuale.
Vorrei che questo saggio contribuisse alla formulazione di una tale teoria chiarendo almeno un punto: come esistano delle tecniche ipertrofiche nell'uso di energia o d'informazione, la cui stessa struttura ingenera rapporti di sfruttamento e di dominio nelle società che le adottano. Siamo talmente deformati dalle abitudini industriali che non osiamo più scrutare il campo del possibile, e l'idea di rinunciare alla produzione di massa di tutti gli articoli e servizi è per noi come un ritorno alle catene del passato o al mito del buon selvaggio. Ma se vogliamo ampliare il nostro angolo di visuale, adeguandolo alle dimensioni della realtà, dobbiamo ammettere che non esiste un unico modo di utilizzare le scoperte scientifiche, ma per lo meno due, tra loro antinomici. C'è un uso della scoperta che conduce alla specializzazione dei compiti, alla istituzionalizzazione dei valori, alla centralizzazione del potere: l'uomo diviene l'accessorio della megamacchina. Ma c'è un secondo modo di mettere a frutto I'invenzione, che accresce il potere e il sapere di ognuno, consentendo a ognuno di esercitare la propria creatività senza per questo negare lo stesso spazio d'iniziativa e di produttività agli altri.
Se vogliamo poter dire qualcosa sul mondo futuro, disegnare i contorni di una società a venire che non sia iperindustriale, dobbiamo riconoscere l'esistenza di scale e limiti naturali. Esistono delle soglie che non si possono superare. La macchina non ha soppresso la schiavitù umana, ma le ha dato una diversa configurazione. Superato il limite, lo strumento da servitore diviene despota. Occorre individuare esattamente dove si trova, per ogni componente dell'equilibrio globale, questo limite critico. Chiamo società conviviale una società in cui lo strumento moderno sia utilizzabile dalla persona integrata con la collettività, e non riservato a un corpo di specialisti che lo controlla.
L'uomo che trova la propria gioia nell'impiego dello strumento conviviale io lo chiamo austero. Egli conosce ciò che lo spagnolo chiama la convivencialidad, vive in quella che il tedesco definisce Mitmenschlichkeit. L'austerità non significa infatti isolamento o chiusura in se stessi. Per Aristotele come per Tommaso d'Aquino, è il fondamento dell'amicizia. Trattando del gioco ordinato e creatore, Tommaso definisce l'austerità come una virtù che non esclude tutti i piaceri, ma soltanto quelli che degradano o ostacolano le relazioni personali. L'austerità fa parte di una virtù più fragile, che la supera e la include, ed è la gioia, l'eutrapelia, l'amicizia.
* Dall'introduzione di "La convivialità" di Ivan Illich [Mondadori]