Guerre permanenti ed effetti di ritorno
di Giancarlo Chetoni - 02/10/2006
Dopo l’aggressione al Libano di Israele la politica estera della Francia nel Vicino Oriente e nel Golfo Persico ha preso una decisa sterzata di cui è difficile valutare le conseguenze a lunga scadenza anche alla luce delle prossime elezioni per la presidenza della Repubblica nella primavera del 2007.
Nel frattempo va però registrato che Chirac, de Villepin e Blazy hanno opposto, per la prima volta, un fermo “no” a sanzioni contro l’Iran da votare al consiglio di sicurezza dell’Onu, schierandosi apertamente con Russia e Cina e contribuendo a isolare le posizioni sanzionatorie e belliciste di Usa e Gran Bretagna al Palazzo di Vetro contro Teheran.
In più Parigi firmerà con la Repubblica Islamica un nuovo accordo da 2.7 miliardi di dollari per lo sviluppo dei pozzi di estrazione e la costruzione degli impianti 17 e 18 dell’immenso giacimento di gas di South Pars con una potenzialità di fornitura di 80 miliardi di metri cubi di metano ogni 12 mesi per oltre 70 anni di scorte.
L’India dal canto suo ha confermato la sua partecipazione alla costruzione del gasdotto Teheran-Karachi- Dhely che Washington ha tentato con ogni mezzo di bloccare e finisce per indebolire la collaborazione politica e militare degli USA con Musharraf mentre mette sotto ghiaccio quella con il gigante del subcontinente asiatico. Altra novità.
Le fibrillazioni andate in scena alla Casa Bianca tra Musharraf e Karzai segnano il punto più basso dal 2001 della collaborazione tra il Pakistan da una parte e Kabul e Washington dall’altra nel momento in cui la guerriglia “pathsum” riesce a inchiodare sul terreno con crescenti perdite le forze Nato e quelle Usa tanto da costringere i comandi ISAF e “Enduring Fredoom” a chiedere con drammatica urgenza a Bruxelles l’invio di altri 2.500 militari in aggiunta ai 38.000 che stazionano in azione di contrasto ai taliban nelle province a sud, a ovest e a est dell’Afghanistan.
Appello clamorosamente caduto nel vuoto al consiglio generale della Nato per l’impossibilità dei Paesi aderenti di mobilitare altre forze da destinare a quel teatro di guerra, nonostante gli appelli alla “corresponsabilità” e all’impegno “solidale” dell’ambasciatrice USA.
Elemento che conferma le crescenti difficoltà degli Stati membri di giustificare alle rispettive opinioni pubbliche le motivazioni di un impegno sempre più gravoso in termini di perdite di personale e di costi e a prospettive zero di “pacificazione” e di esportazione della “democrazia” in un Paese lontano migliaia di chilometri dai loro interessi continentali che portano via, via in superficie le profonde divergenze di strategia politica tra Usa e Vecchia Europa dopo la caduta del Muro di Berlino. L’effetto pompato e cementante dell’11 settembre,
messo sotto attenta osservazione anche da “Report “, è svanito alla svelta sotto la spinta delle atrocità e dei delitti senza fine dell’unilateralismo con la baionetta tra i denti e l’elmetto di Klevar.
Il Governo Prodi si è tuttavia impegnato con gli USA a trasferire nelle province del sud dell’Afghanistan forti aliquote del contingente ISAF di stanza e Herat e Kabul per rafforzare il dispositivo di attacco della Nato.
Le agenzie di stampa Ansa, Agi e AdnKronos riportano a cadenza quotidiana notizie di attacchi aerei e via terra, con l’uccisione di decine di “combattenti pathsum”, lasciando - come scontato - fuori dal conto qualsiasi accenno alla brutalità dei bombardamenti su villaggi, anziani, donne e bambini che lo stato di guerra della Nato all’Afghanistan comporta.
Negli ultimi sei mesi, stando alle notizie di stampa, sarebbero stati “annientati” almeno 2.000 mujhaidin. Annientati, abbattuti, per bene che vada “eliminati”. E ‘il linguaggio dei media, della violenza settaria dell’Occidente con la lingua di fuori. Sfiatato, fuori di testa come gli assassini seriali.
La recrudescenza delle due ultime settimane degli attacchi “taliban” a Herat e a Kabul contro Reparti Consubin e Alpini sono una diretta conseguenza di questo impegno “negato” nei comunicati ufficiali del Comando Operativo Interforze e del ministero della Difesa ma applicato, di fatto, sul campo in flagrante violazione al decantato art. 11 della Costituzione.
Precisazioni che sentivamo di dover fare prima di ritornare alla politica “internazionale”.
Le dichiarazioni, senza precedenti, del premier di Karachi, davanti ai media internazionali sulle minacce ricevute dall’ex sottosegretario alla Difesa della prima Amministrazione Bush (di origine israelita) Richard Armitage di ridurre con attacchi aerei all’età della pietra il Pakistan se non si fosse schierato con gli USA nella lotta al “terrorismo” in Afghanistan avvalorano una crescente freddezza nei rapporti bilaterali tra Karachi e Washington. Evidentemente il ricorso alla forza non valeva soltanto per l’Afghanistan e l’Iraq.
Un altro segnale del progressivo distacco del Pakistan dagli USA è venuto dalla rivelazione di Musharraf sulle centinaia di milioni di dollari arrivati dalla CIA al suo Governo per la cattura di presunti affiliati ad “al Qaida” che in linguaggio cifrato lasciano intendere che il Pakistan sa molto sui legami che sono intercorsi tra Osama bin Laden e la Casa Bianca.
Un avvertimento a Washington finalizzato a evitare nuove, insostenibili pressioni dell’Amministrazione Bush su Karachi.
Elemento che rende più precaria e vulnerabile la posizione ormai sfilacciata, costosa e perdente degli Usa nell’Asia centrale nel tentativo fallimentare di accerchiamento della Russia a partire dal retroterra indipendentista “musulmano” innescato dall’implosione dell’URSS e dal disfacimento della CSI dell’era Eltsin.
Le cattive notizie per Bush e la Rice non finiscono qui. Il Cremlino annunciando l’intenzione di vendere “chiavi in mano” altre 40 centrali atomiche, entro i prossimi 10 anni, tra Golfo Persico, Asia centrale ed Estremo Oriente, ha ribadito l’intenzione di completare entro il 2007 il NPP (Nuclear Power Point) di Bushehr (una delle 30 province dell'Iran) fornendo le prime 80 tonnellate di uranio arricchito in barre a Teheran per la messa in marcia del suo reattore nucleare da 1.000 Megawatt. Alla luce di questi sviluppi il Dipartimento di Stato Usa è stato costretto ad ammorbidire le sue posizioni sul nucleare iraniano rimodellando l’out-out alla Repubblica Islamica “invitata” questa volta a sospendere per un periodo di tempo limitato, come dimostrazione di buona volontà, il processo di arricchimento negli impianti di Natanz e Isfahan.
Registriamo con profonda soddisfazione che il “Foglio” di Giuliano Ferrara e i media di casa nostra (?) hanno semplicemente espunto la notizia dalla cronaca nel disperato quanto inutile tentativo di rallentare i tempi del declino del partito amerikano in Italia.
Il carrozzone della Croce Rossa di Napolitano, Fassino e sodali di merende del “Bottegone”, dei truffatori finanziari, dei delinquenti di risma e, per ultimo, per quanto contano, i democratici di sinistra-centro-destra non servirà a un ficosecco.
Una decisione quella del Cremlino di importanza capitale che segna una rottura insanabile con Washington e apre la strada a una nuova definizione degli attuali rapporti di forze a livello planetario tra America del Nord e un crescente multilateralismo militare, economico e politico, del “cartello energetico” che fa capo a molti Paesi emergenti e alla Russia mentre la Cina prosegue il suo micidiale assalto industriale e finanziario agli USA e alla Banca centrale europea.
Ci fermiamo sugli aspetti di questa ultima decisione del Cremlino per valutarne a 360° importanza ed effetti di trascinamento.
Fornire all’Iran le prime decine di tonnellate di uranio arricchito da posizionare nel cuore del reattore ad acqua leggera di Bushehr significa che la Russia sta completando per Teheran lo schermo antimissile e antiaereo a protezione del suo Nuclear Power Point.
Uno schermo difensivo che Mosca giudica capace di sventare qualsiasi minaccia, presente e futura, da parte Usa e Israele di colpire, invalidare o distruggerne la cupola e la struttura.
Mosca non sottovaluta certo che un attacco aereo o missilistico a bersaglio su Bushehr possa implicare un’enorme fuoriuscita di radioattività dal reattore e la dispersione di isotopi radioattivi per milioni di kmq sull’intera area del Medio Oriente, del Golfo Persico e del Centro Asia che sarebbero veicolati dal vento e dalle tempeste di sabbia su quelle regioni e che finirebbero per raggiungere territori geograficamente lontani come Russia, Cina ed Europa.
La protezione di Bushehr, come di tutta l’industria di ricerca e militare dell’Iran, sta pertanto per essere completata con schieramenti di batterie missilistiche a lunga, media e corta portata giudicate dagli esperti internazionali come le più moderne e micidiali mai messe in postazione da un singolo Paese anche considerando la densità per kmq dei punti di fuoco.
Ne daremo una breve e sintetica descrizione. Ci sono oltre 4.500 missili dell’Iran con un raggio di azione che va da 500 mt a 300 chilometri e, con qualche imprecisione nei dati, altrettante batterie a tiro rapido asservite a radar pronte a coprire eventuali falle nel sistema di difesa principale. La precisione a bersaglio dei missili in dotazione all’Iran contro tutto quello che Usa o Israele possono far volare va da 0.70 a 0.98 per ogni lancio e copre altezze che vanno da + 10 a + 38.000 mt.
E’un muro che gli analisti Nato hanno giudicato, con estrema preoccupazione, del tutto insuperabile integrato com’è da uno schermo di allerta satellitare, e radar awacs capace di sopportare le misure di guerra elettronica dei potenziali aggressori.
Nel tentativo di controinformare su un’altra perla dell’imperialismo USA e dei suoi servi riportiamo sommariamente i numeri dei jet militari persi nel 1999 dalla Nato sulla Serbia:
61 ( ripetiamo sessantuno) tra F 15, F 16, Harrier, Mirage 2000 (2), F 117 (3) - l’aereo invisibile -, 7 elicotteri, 30 U.A.V , 238 missili cruise con una forza di difesa antiaerea modesta, a corto raggio e priva di mezzi sofisticatissimi come Thor M-1 M-2, Buk M-1 M-2, Sa 10 “grumble” pm 1-2 , Sa 12 Gladiator (V-2) in dotazione all’Iran.
Il Cremlino ha inoltre fornito alla Siria missili antiaerei spalleggiabili Sa 18, batterie a-a Pantyr, di postazioni a sei unità di S10 e aliquote non precisale di modernissimi missili terra-terra Iskander E (Alessandro Magno ) con un raggio d’azione dai 280 ai 320 km capaci di colpire l’intero territorio di Israele oltre a rafforzare l’aviazione militare di Damasco con la messa in linea di squadriglie del potente intercettore-cacciabombardiere Su 27 armato con missili aria-aria R77 con un raggio di azione di 120 km.
Anche se il numero degli S-300 e SA V-2 a disposizione dell’Iran non è conosciuto, gli Stati Uniti e nel caso Israele dovrebbero vedersela in caso di aggressione a Teheran con missili che hanno velocità di intercettazione di mach 10-11, in ogni caso da 5 a 12 volte superiori a quelle del loro migliori aerei di attacco come F 15-F 16, F 18, F 117, B 1, B-2 o “cruise missile” che possono essere peraltro distrutti in volo, per la presenza di testate esplosive di prossimità mai inferiori ai 150 kg, a distanze superiori dai 500 mt a 280 km.
I costosissimi e ancora inaffidabili F22 Raptor non sono riusciti a raggiungere un numero superiore alle 26-30 unità e quindi sono ininfluenti a modificare il quadro strategico-militare convenzionale.
Il che spiega, al di là dell’enorme influenza dell’Iran in Iraq, Afghanistan e Libano e Asia centrale, le ripetute minacce a vuoto di Washington e gli allarmi di Israele alla fantasmagorica comunità Internazionale sul pericolo nucleare e le minacce alla sua sopravvivenza spacciate dai media apolidi. Aggredire dovendo pagare un dazio di tutto rispetto suscita una forte irritazione. E’la prima volta che succede.
In Iraq il Baath, in Afghanistan i talibani del mullah Omar, in Libano Hizbollah, a Gaza e in Cisgiordania leBrigate Al Aqsa e Hamas hanno fatto capire, in condizioni di assoluta inferiorità numerica, tecnica e militare, dove si potrebbe andare a finire continuando nel solco brutale e agghiacciante delle guerre permanenti ai Popoli Liberi.
A documentazione peraltro della spigolosità degli ayatollah di Teheran si può agevolmente consultare www.defenceiran.net in relazione ai rischi che correrebbe la centrale nucleare di Dimona nel caso di qualche folle tentativo di premeditata aggressione area o missilistica di Usa e/o di Israele a Bushehr o contro altri impianti di ricerca e industriali dell’Iran.
Anche qui “uomini avvisati mezzi salvati” con o senza Onu, media, paperozzoli, crociatelle, gladiatori vecchi e nuovi e mezze calzette sugli strapuntini a dare una mano.