Non è guerra religiosa
di Roberto Zavaglia - 04/10/2006
Come sono lontani i tempi in cui se, nell’analizzare le ragioni di un conflitto, si citavano differenze culturali o, addirittura, religiose, si veniva guardati con commiserazione dagli intellettuali o pseudotali, lesti a squadernare i loro compendi di materialismo storico. La guerra civile in Irlanda del Nord? Ma quali cattolici e protestanti, solo con l’evoluzione del conflitto di classe si può capirne qualcosa. Così ragionavano gli uomini di cultura, non solo marxisti, a proposito di ogni dissidio fra comunità o Stati. Meno di trent’anni dopo, una consistente parte degli intellettuali occidentali, di frequente le stesse persone, ha rovesciato i propri canoni di interpretazione. Il conflitto di civiltà ha decisamente soppiantato la lotta di classe.
Occidente cristiano e Islam sarebbero destinati, nella lettura più moderata, a un’incomprensione perenne, a meno che fra i musulmani non prevalgano i cosiddetti moderati. Per neo e teocon, esportatori di democrazia, sostenitori dell’umanitarismo militare e liberali a prova di bomba non solo metaforica, l’unica prospettiva, invece, è lo scontro militare. Le reazioni del mondo islamico al discorso del Papa a Ratisbona hanno quindi provocato un diluvio di “io ve l’avevo detto”. Adesso, non più a un conflitto di civiltà saremmo prossimi, ma, tout court, a una vera guerra di religione. Il futuro è un ritorno al Sedicesimo secolo con in più l’incubo nucleare. Esageriamo, ma non tanto a giudicare dagli editoriali letti in questi giorni sull’ “Occidente in pericolo”. Eppure, le proteste degli islamici non sono state poi così terrificanti come le si vorrebbe dipingere. Le manifestazioni di piazza erano quasi sempre poco affollate, mentre dalle autentiche autorità religiose sono arrivate condanne ma anche critiche ragionate e aperte al dialogo. I media si sono inventati le minacce di morte a Benedetto Sedicesimo dell’immancabile Al Qaeda, ma poi si è scoperto che il sanguinoso messaggio proveniva da un blog in inglese, regolarmente ospitato da un server negli Usa.
Non vogliamo, però, evitare di prendere in considerazione la ”suscettibilità” di cui ha dato prova una parte del mondo islamico. Oltre alle parole sferzanti, ci sono stati alcuni incendi di chiese ed è forse a causa di questa tensione che un’eroica suora italiana ci ha rimesso la vita. Troppi musulmani si sono dimostrati intolleranti ai rilievi del Papa, sentendosi offesi anche quando hanno evitato di palesarlo vistosamente. A parte le motivazioni inerenti all’identità religiosa islamica, che lasciamo a chi più di noi si intende di questioni teologiche, tali fatti mettono ancora una volta in evidenza la frustrazione culturale in cui versano le popolazioni islamiche. Questo stato d’animo nei confronti dell’Occidente ha radici nell’Ottocento, quando, con la colonizzazione, le masse arabe misurarono improvvisamente la propria inferiorità tecnica, militare ed economica. Oggi, quel trauma mai del tutto superato si rinfocola a causa delle guerre condotte dagli Usa e della sempre irrisolta questione palestinese. L’esca religiosa serve anche a manifestare un’ostilità che nasce da questioni politiche ed economiche.
Non è vero, comunque, che il Papa non abbia mosso critiche all’Islam. Il suo discorso è consistito anche nella rivendicazione della superiorità del cattolicesimo sulle altre religioni, in quanto solo credo “razionale” e quindi meno esposto al fanatismo e alla tentazione della violenza verso gli “infedeli”. A dire la verità, ci sembra che tale supremazia, motivata dall’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero filosofico greco, fosse sottolineata nei confronti, oltre dell’Islam, anche del giudaismo a del protestantesimo, ritenute religioni fondate su un’adesione troppo letterale (fondamentalista?) ai testi sacri. Ovviamente, gli atei devoti alla Giuliano Ferrara, fraterni amici di ebrei e protestanti, hanno glissato su questo aspetto. A Ratisbona ha parlato non tanto il pontefice Benedetto quanto il filosofo Ratzinger. Ciò è risultato maggiormente indigesto per i musulmani i quali, forse, avrebbero accettato più di buon grado una dichiarazione di superiorità ovvia se proveniente ex cathedra, piuttosto che un’analisi critica di un intellettuale il quale è, però, pur sempre il capo di un’altra religione.
Sta di fatto che il Papa, come in questi tempi di ecumenismo da molto non avveniva, ha scelto di comparare religioni diverse per affermare il primato di quella di cui è sovrano. Riteniamo che abbia tutto il diritto di farlo e nessuno glielo possa contestare se non con argomenti della stessa natura. Un infelice e poco chiarito riferimento alle aspre parole di un imperatore bizantino, però, ha conferito un lieve tono offensivo al suo discorso, che è stato poi amplificato dalle sintesi dei giornalisti i quali, per la maggioranza incapaci di districarsi in una prolusione tanto complessa, hanno ridotto il tutto a un “attacco al jihadismo violento dell’Islam”. Il pretesto è stato acchiappato al volo dagli estremisti del campo occidentale come di quello musulmano, i quali vorrebbero rivestire di un velo religioso divisioni e conflitti che, invece, sono di natura essenzialmente politica.
Il tentativo evidente da parte degli ultrà occidentalisti è di arruolare il Papa nella guerra contro gli “Stati canaglia”. La previsione, valida anche come auspicio, è che la secolare saggezza del sacro soglio trionfi su questa trama, affinché i già difficili rapporti tra due mondi distanti non abbiano a peggiorare disastrosamente.