Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L’universo è morto. Evviva il multiverso

L’universo è morto. Evviva il multiverso

di Pietro Greco - 10/10/2006


Al fondo c’è la stringa. Una corda che vibra, producendo diverse armoniche. E la sua musica, una sinfonia cosmica in undici dimensioni, dà corpo e forma a elettroni e fotoni, quark e neutrini: a tutto quanto esiste nell’universo. Anzi, nel multiverso: l’insieme degli infiniti universi paralleli, compatibili - e forse necessari - alla sopravvivenza della «teoria di stringa» o «delle M-brane»: l’unica che sembra oggi in grado di realizzare il sogno di Albert Einstein e unificare in un unico quadro teorico l’intera fisica.
Che, da almeno ottant’anni, poggia su due grandi teorie. Una, la relatività generale, descrive il comportamento dell’universo a grande scala. L’altra, la meccanica quantistica, descrive il comportamento dell’universo a livello microscopico. La situazione è imbarazzante. Perché entrambe sono teorie molto precise. Ed entrambe ambiscono a definirsi generali e, quindi, «ultime». Eppure la relatività generale e la meccanica dei quanti risultano, tra loro, incompatibili. In otto decenni e più ogni tentativo di riconciliarle è naufragato. Cosa significa, tutto questo? Che forse la realtà sfugge a ogni possibilità di essere descritta in modo unitario? Che dobbiamo rassegnarci a visioni frammentate del mondo?
La gran parte dei fisici teorici non è disposta a rinunciare a una visione unitaria e coerente dell’universo. Anzi del cosmo: il «tutto armoniosamente ordinato» degli antichi Greci. Ed è per questo che, malgrado le frustrazioni di uno sforzo titanico tanto prolungato quanto finora vano, è ancora alla ricerca della teoria unica, della «teoria del tutto».
I «fisici delle stringhe» sono convinti di avere finalmente imbroccato la strada giusta. Grazie a due svolte decisive realizzate, rispettivamente, nel 1968 e nel 1995. La prima a opera di un italiano, Gabriele Veneziano, e di una sua brillante idea. Poniamo che la realtà ultima del mondo, sosteneva (e sostiene) il fisico teorico torinese in forza al Cern di Ginevra, non sia costituita da particelle puntiformi, ma da stringhe, da piccole corde, insomma da qualcosa di molto simile a lacci di scarpe infinitamente piccoli, che si estendono nello spazio a una dimensione. Applichiamo a queste stringhe le leggi della meccanica quantistica e vediamo cosa succede.
Beh, non senza meraviglia di Gabriele Veneziano, quelle stringhe iniziano a vibrare. A suonare, come corde di violino. E a ogni modo di vibrazione, a ogni nota di quelle corde di violino, corrisponde una particella o una forza della natura. La musica delle stringhe è la forza creatrice del mondo. E questa sinfonia è così rilassante da realizzare, finalmente, l’attesa riconciliazione tra relatività generale e meccanica quantistica. Tra micro e macro.
Tutto risolto, dunque? Niente affatto. Per almeno due motivi. I fisici teorici riescono a descrivere solo con equazioni approssimate l’universo delle stringhe. E, inoltre, nel corso degli anni sbocciano una, due, … cinque diverse teorie di stringa: troppe per poter salutare la «teoria ultima».
La nuova svolta avviene nel 1995, quando l’americano Ed Witten, in forze a quell’Istituto di Studi Avanzati di Princeton ove Albert Einstein spese oltre venti anni a cercare la «teoria del tutto», dimostra che le cinque teorie di stringa e un’altra teoria, quella della gravità quantistica, sono espressioni diverse di una medesima e più fondamentale teoria soggiacente: la teoria che egli battezza M-6. L’universo di M-6 ha undici dimensioni, dieci spaziali e una temporale, e in esso vibrano non solo corde unidimensionali, ma anche membrane o «brane» a due, a tre e a più dimensioni. L’universo elegante di M-6, per usare una fortunata definizione di Brian Greene, è una sinfonia suonata da un’orchestra a infinite dimensioni.
Ed Witten, che questa settimana sarà a Napoli per partecipare al convegno che si apre oggi al Centro Convegni Partenope dell’Università Federico II e per tenere giovedì prossimo una conferenza pubblica all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, è considerato non solo uno dei più grandi fisici teorici viventi. Ma viene collocato da Life nel novero dei sei americani più influenti della nostra epoca.
È dunque la sua melodia in M-6 la teoria finale? No. O almeno, non ancora. M-6 indica che forse i fisici hanno imbroccato la strada giusta verso la teoria in grado di fornirci una visione unitaria e coerente del mondo. Ma si tratta di una strada lunga e ancora tutta da percorrere. Non solo e non tanto perché la teoria, per quanto elegante e complessa, deve essere ancora rifinita. Ma anche e soprattutto perché M-6 non è stata ancora empiricamente verificata. Per questo alcuni sostengono che quello descritto da M-6 più che un universo fisico è un universo metafisico. E nella teoria di superstringa vedono più che una nuova fisica, una nuova metafisica.
In realtà la teoria che deve così tanto a Ed Witten potrebbe, in tempi relativamente brevi, trovare solidi appigli empirici. A patto che i nuovi acceleratori trovino, nei prossimi mesi, le cosiddette particelle «supersimmetriche» o che altri tipi di rivelatori riescano a individuare i componenti della materia oscura che, insieme all’energia oscura, sembra riempire la gran parte del nostro universo osservabile.
Il fatto è che la «teoria di stringa», ormai lo riconosce lo stesso Witten, non solo è compatibile ma sembra addirittura prevedere anche l’esistenza di un multiverso: un insieme rapidamente crescente di infiniti universi paralleli a quello in cui viviamo. Con tutti i paradossi, fisici e concettuali, che si trascina dietro il concetto di infinito (nell’universo accanto ci sarebbe una nostra copia identica che mena la nostra stessa esistenza salvo un dettaglio, e nell’universo vicino c’è un’altra copia ...).
Questa non è fisica, ma metafisica - sia pure altamente matematizzata - sostengono gli scettici. A Napoli in questi giorni avremo un’occasione irripetibile per verificare di persona come uno dei più grandi fisici teorici viventi difende la sua teoria e quella sua visione pitagorica del mondo. Anzi del multimondo.

CONCILIARE la fisica dell’infinitamente grande e quella dell’infinitamente piccolo porta alla conclusione che non esiste uno, ma tanti universi paralleli. A Napoli il fisico teorico Ed Witten cerca di spiegare perché
A NAPOLI SI PARLA DI «STRINGHE»

Si apre oggi presso il Centro Convegni Partenope dell’Università Federico II, il convegno «Costituents, Fundamental Forces and Symmetries of the Universe», organizzato dall’omonimo network europeo, insieme all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e al Dipartimento di Scienze Fisiche, che durerà fino a giovedì 13 ottobre. La discussione parte dalla «teoria della stringa». Una teoria dalla struttura matematica bella e complessa (si serve anche delle superfici introdotte dal geometra napoletano Pasquale Del Pezzo), ma molto controversa.
Al convegno interverranno fisici, provenienti dalle più importanti istituzioni del mondo. Tra loro, Edward Witten dell’Institute for Advanced Studies di Princeton. Il convegno farà il punto sui tentativi di comporre in un’unica visione le due teorie fondamentali dello scorso secolo, la relatività generale di Einstein, adatta a descrivere stelle galassie, ammassi di galassie, e la meccanica quantistica, adatta a descrivere atomi, nuclei, particelle subnucleari. Le domande sono: qual è la struttura dello spazio-tempo, sia quella delle quattro dimensioni spaziotemporali che percepiamo, sia delle dimensioni extra a noi nascoste? Ha più senso parlare di un unico universo o non piuttosto di un multiverso, di cui il nostro realizzerebbe una delle moltissime possibilità ammesse dalla teoria? E proprio a queste domande tenterà di rispondere Ed Witten, con una conferenza divulgativa. L’appuntamento è per venerdì 14 a palazzo di Cassano, nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.