I rom, un popolo che rifiuta lo stato
di Francesco Lamendola - 10/10/2006
Articolo pubblicato sul numero del 22 gennaio 1989, pag. 8, anno 69, del settimanale anarchico "Umanità Nova", giornale fondato nel 1920 da Errico Malatesta. È dedicato alla storia dei Rom, comunemente detti Zingari, originari dell'India nord-occidentale e giunti in Europa attraverso la Persia, il Caucaso e i Balcani. Esperti di astrologia e chiromanzia, furono richiesti, ma anche visti con sospetto per tali conoscenze e pratiche "occulte", sovente perseguitati e perfino (come in Romania) ridotti in schiavitù, fino all'internamento nei lager nazisti. Oggi sono stimati in circa 7-8 milioni, fra nomadi e sedentari; parlano una lingua di origine neo-ariana, suddivisa in vari dialetti e con imprestiti greci, arabi, iranici e slavi; la loro religione, pur essendo stata influenzata da quelle dei popoli con cui vennero a contatto (cristianesimo, islamismo) presenta affinità con quella pagana antica. Anche la loro musica risulta dalla fusione di elementi indiani ed europei e ha dato luogo a un vero e proprio genere: la "zingaresca", la cui caratteristica principale è la "scala gitana" (do, re bemolle, mi, fa, sol, la bemolle, si); il "canto jondo"; la "seguidillas" e la "zarabandas", forme di danza popolare. Gli Zingari si sono sempre segnalati come abilissimi strumentisti e, in particolare, come violinisti.
Abbiamo già avuto occasione di parlare di alcuni popoli senza Stato, o perché l'hanno perduto (es. gli Armeni), o perché non l'hanno mai avuto, come gli Eschimesi e, in genere, tutti quelli tribali (cfr. Umanità Nova del 4 dicembre 1988). Per alcuni di questi ultimi (oltre agli Eschimesi, si tratta dei Balti, dei Fuegini - oggi estinti -, dei Piaroa, dei Sakai), il geografo Silvio Zavatti aveva coniato l'espressione scientifica di "popoli miti", essendo caratterizzati da mancanza di violenza (cfr. S. Zavatti, Il misterioso popolo dei ghiacci, Milano, Longanesi, 1977, pp. 221-28). I popoli che hanno perduto il proprio Stato nazionale in seguito a drammatiche vicende storiche, hanno sempre lottato per cercare di ricostruirlo (come gli Ebrei); quelli a struttura tribale sono stati distrutti o forzati a una progressiva integrazione: così gli Amerindi negli Stati Uniti e nel Canada, i Maori nella Nuova Zelanda, ecc.
Ma c'è anche un caso, unico al mondo, di un popolo senza Stato, e che non ambisce affatto a ricostruirlo (anche perché non l'ha mai avuto). Si tratta dei Rom, che nella loro lingua significa semplicemente "uomini", meglio noti all'esterno come Zingari o Gitani. L'ignoranza che li circonda è tale, che molti benpensanti ignorano perfino che essi formano un popolo con una propria lingua nazionale, così come è diffusa la credenza che essi rapiscano i bambini dei paesi che attraversano nel corso dei loro spostamenti.
I Rom sono originari dell'India nord-occidentale, di dove si mossero intorno al V secolo d. C., in circostanze ancor oggi non ben chiarite dagli studiosi. È un fatto che, a quell'epoca, l'Indostan era sconvolto dalle invasioni degli Unni Bianchi o Eftaliti (cfr. Pierre Meile, Storia dell'India, Milano, Garzanti, 1963, p. 28), e forse in tali avvenimenti va individuata la causa della loro migrazione. Si spostarono, molto lentamente, attraverso il Medio Oriente: l'Iran, l'Armenia, l'Impero Bizantino, i Balcani.
Nel 1422, pare, entrarono in Italia; di qui, in Francia e nella Penisola Iberica; ai primi del XVI secolo raggiunsero le Isole Britanniche, la Scandinavia, la Polonia e la Russia.
La loro storia è una storia di persecuzioni ricorrenti, culminate nel tentativo di genocidio ad opera dei nazisti nel corso della seconda guerra mondiale. La politica verso di essi degli Stati da loro atrraversati oscillò sempre fra la repressione poliziesca e il tentativo di assimilarli mediante la costrizione alla sedentarietà. Ma anche in quei Paesi dove si riuscì a sedentarizzarli, come in Spagna nel 1700, essi non si integrarono affatto. Su di essi correvano dei pregiudizi superstiziosi e razzisti. Alcune "perle" di tale orientamento: il poeta persiano Firdusi: "Mai nessun lavacro potrà sbiancare il nero zingaro"; un pastore lituano nel 1787: "In ogni Stato ben ordinato gli Zingari sono come i vermi sul corpo di un animale." Elisabetta d'Inghilterra nel 1554 decretò la pena di morte per gli Zingari e per "coloro che abbiano o avranno consuetudine e brigata con gli (sic) Egiziani".
Per vivere praticano mestieri artigianali quali il cestaio, il calderaio; sono ottimi allevatori di cavalli; predicono il futuro, vendono amuleti; integrano i loro magri proventi col furto, ma non sempre e non dovunque. Si può anzi pensare che il furto divenga, fra loro, una pratica tanto più diffusa, quanto più si vanno esaurendo le basi economiche della loro società, con la scomparsa degli antichi mestieri artigianali e con l'avvento della società di massa, ove anche le loro abilità più specifiche (come la lettura dei tarocchi - da loro introdotti in Europa -, la chiromanzia, le prestazioni musicali nelle sagre di paese) non sono più richieste come un tempo. Una sola volta li sfiora la follia nazionalista, ed è quando il loro "re" Janusz Kwiek chiede a Mussolini di concedere loro uno Stato in Africa Orientale (richiesta che peraltro non sortisce alcun seguito); ma si tratta di un caso isolato.
I nazisti cominciano a perseguitarli subito dopo la loro ascesa al potere, nel gennaio del 1933, classificandoli come "razza anti-sociale". Nei campi di sterminio sono contraddistinti da un triangolo di stoffa nera o marrone, o anche dalla lettera "Z" cucita sull'abito. Vengono sfollati da Berlino, in massa, già nel 1936, per non turbare con la loro presenza di "negri d'Europa" il clima razziale "ariano"delle Olimpiadi. "In che modo sarebbe possibile far sì che questo popolo itinerante scompaia?", s'era chiesto il dottor Ritter - che, sia detto per inciso, dopo la guerra fu lasciato in pace e non venne tradotto al banco dei criminali di Norimberga. La risposta era semplice, nello stile hitleriano: con la "soluzione finale".
Nei campi di sterminio subirono sevizie incredibili, furono oggetto di esperimenti criminali da parte degli scienziati della morte, in particolare come cavie per una politica di sterilizzazione forzata. Rastrellamenti e deportazioni furono organizzati in tutti i paesi dell'Europa occupata. Una stima approssimativa del numero dei morti risulta dalle ricerche di Donald Kenrick e Grattan Puxon (Il destino degli Zingari, Milano, Rizzoli, 1975, p. 203), che qui riportiamo.
Paese Popolazione nel 1939 Decessi Fonte dei dati
Austria 11.200 6.500 Steinmetz
Belgio 600 500 stimato
Boemia 13.000 6.500 Horvathovà
Croazia 28.500 28.000 Uhlik
Estonia 1.000 1.000 stimato
Francia 40.000 15.000 Droit et Liberté
Germania 20.000 15.000 stimato
Olanda (Paesi Bassi) 500 500 stimato
Ungheria 100.000 28.000 Nacizmus Uldozottei
Italia 25.000 1.000 stimato
Lettonia 5.000 2.500 Kocanowski 1946
Lituania 1.000 1.000 stimato
Lussemburgo 200 200 stimato
Polonia 50.000 35.000 stimato
Romania 300.000 36.000 Comm. Crim. Guerra
Serbia 60.000 12.000 stimato
Slovacchia 80.000 1.000 stimato
U.R.S.S. 200.000 30.000 stimato
219.000 TOTALE
Si tenga presente che queste cifre sono approssimate per difetto, specie per quanto riguarda Serbia e U.R.S.S.; mancano inoltre i dati relativi ad Albania, Bulgaria, Grecia, Danimarca, Norvegia. Si può concludere, quindi, che le vittime del nazismo furono da un minimo di 220.000 a un massimo di 300.000.
Dopo la seconda guerra mondiale, gli Zingari - a differenza degli Ebrei - non hanno ottenuto il riconoscimento ad alcuna "riparazione". Non sono stati chiamati a testimoniare al processo di Norimberga, nemmeno uno; non è stato riconosciuto loro il diritto ad alcun risarcimento da parte del governo tedesco.
La loro posizione sociale è tutt'oggi estremamente precaria. I governi dei vari Stati vedono in essi una minaccia, poiché sono portatori di una "diversità" che non si lascia integrare né sottomettere. La legislazione che li concerne sfiora, in taluni casi, la schizofrenia: in certi Stati hanno il diritto di spostarsi, ma non di fermarsi, e rischiano teoricamente l'arresto in qualsiasi momento. Nelle periferie più misere delle grandi città (Parigi, Roma) sono vittime di fenomeni d'intolleranza da parte dello stesso sottoproletariato, che vede in essi dei "paria" sui quali sfogare tutta la propria frustrazione.
Qualcosa di positivo, comunque, negli ultimi tempi s'è fatto, specie nel campo del diritto scolastico, che è loro riconosciuto, in Italia e in altri Paesi dove si spostano soprattutto come giostrai, gestori di baracconi e piccoli circhi, ecc. Ma siamo lontanissimi da una vera accettazione, e più che nel campo giuridico, in quello psicologico e sociale. Chi è mai questa gente che si permette di vivere senza Stato e senza carabinieri; che possiede un così forte spirito di solidarietà tra i diversi "clan"; che amministra la giustizia in modo pacifico, con una assemblea di anziani - la kris - ove la pena più grave e temuta non è la sedia elettrica o l'ergastolo, ma… l'espulsione dal gruppo? Come gli apolidi, essi hanno più doveri da rispettare che diritti da esercitare negli Stati in cui vivono: in fondo, non sono altro che ospiti assai poco graditi.
Oggi gli Zingari sono circa 7-8 milioni in tutto il mondo, e sono sparsi nei cinque continenti. Hanno superato terribili persecuzioni, e in alcuni casi hanno perfino raggiunto un certo benessere economico, tanto da sostituire i carrozzoni trainati da cavalli con automobili e roulottes, ma soprattutto hanno conservato la loro coesione, una fierezza che li fa sentire "Rom", "uomini", ovunque si trovino e qualunque cosa pensino di essi le popolazioni sedentarie in mezzo alle quali si muovono.
La loro stessa sopravvivenza ha del miracoloso, ed è una sfida a molte delle nostre certezze. Senza mai praticare guerre o azioni violente, hanno superato le prove peggiori, la diffidenza e l'ostilità degli Stati e dei singoli. La loro naturale predisposizione per la musica e per la danza sono un inno gioioso alla vita, il più bel monumento a un coraggio che non si arrende.
Un altro aspetto caratteristico della loro civiltà, e particolarmente delle comunità rimaste girovaghe, è la sopravvivenza di usanze matriarcali che in tempi antichissimi erano diffuse in Eurasia, ma che poi, gradualmente, sono scomparse ovunque, tranne che presso i popoli di cultura etnologica (i cosiddetti "primitivi"). L'uomo, in quelle comunità, deve aggregarsi alla banda o famiglia della sposa; sia i figli che il patrimonio familiare appartengono alla donna. I capi sono tali per elezione; e, tra essi, un ruolo di grande ascendente ed autorità all'interno del gruppo spetta alla donna più vecchia della stirpe, chiamata "madre zingara".
Già queste sole tradizioni fanno dei Rom un unicum nel panorama degli usi e costumi dei popoli odierni, ed è strano - e tuttavia caratteristico - che nessun antropologo di fama abbia ritenuto che valesse la pena di vivere fra loro per un periodo di tempo sufficiente a conoscerli meglio, dall'interno del loro orizzonte culturale. Essi non hanno avuto la loro Margaret Mead né il loro Bronislaw Malinowski, che ne facesse conoscere i modi di vita e di pensiero al pubblico occidentale. Si può dire che non v'è isola del Pacifico meridionale, per quanto sperduta, o plaga dell'Amazzonia o dell'interno dell'Africa, che non sia stata percorsa in lungo e in largo da eserciti di etnologi provenienti dalle università europee e nordamericane, armati degli strumenti più sofisticati, per studiarne le lingue, le danze, le tradizioni, l'artigianato, ecc.; ma nessuno di quei signori ha preso l'autobus per visitare gli accampamenti dei Rom, situati a pochi chilometri dal centro delle nostre città.
Chissà, forse tutto questo non è casuale. Molti dei valori di cui gli Zingari sono portatori potrebbero costituire una miniera di riflessioni e di ripensamenti per noi cittadini integrati, sudditi obbedienti dei rispettivi Stati, se solo avessimo l'umiltà di riconoscere che anche questi disprezzatissimi "negri d'Europa" possono avere qualche cosa da insegnarci.