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L'economia del cambiamento del clima

di Marina Forti - 12/10/2006

 
Affrontare il problema del clima, cioè tagliare le emissioni di gas «di serra», può richiedere misure costose, in termini puramente economici. Ma non fare nulla e non fermare il riscaldamento del pianeta costerà molto, molto di più. A dirlo è un illustre economista britannico, già capo degli uffici studi della Banca Mondiale e attuale capo dei consiglieri economici del governo di Londra.

Un anno fa Sir Nicholas Stern è stato incaricato dal governo britannico di condurre una indagine complessiva delle conseguenze economiche del cambiamento del clima del pianeta. E' stato un lavoro di ampio respiro, a cui sono state chiamate a contribuire diverse istituzioni scientifiche britanniche e straniere e istituti indipendenti: la «Stern Review» ha preso in considerazione gli effetti prevedibili del cambiamento del clima e il loro impatto sociale ed economico, i costi delle misure per mitigare gli effetti, la dinamica dei costi dei cambiamenti tecnologici nel tempo, l'impatto dei cambiamenti connessi al clima sui paesi industrializzati e su quelli in via di sviluppo. Infine, l'economista ha presentato il suo rapporto finale al governo britannico, e il cancelliere dello scacchiere (cioè ministro delle finanze) Gordon Brown ha annunciato che lo renderà pubblico molto presto. Qualche anticipazione però è già circolata quando lo stesso Sir Nicholas Stern ha dato una piccola conferenza privata ai ministri dell'energia e/o dell'ambiente di una ventina di paesi riuniti a Monterrey, in Messico, la settimana scorsa. Erano i paesi «più inquinatori» del mondo - il G8 più Cina, India, Brasile, Sud Africa e alcuni altri.

A loro Sir Nicholas ha detto che non adottare subito politiche per limitare il riscaldamento del clima costerà al pianeta molto più caro in futuro, in termini finanziari oltre che ecologici. Citiamo dalle notizie riportate da alcuni media britannici, in particolare il quotidiano The Guardian e la Bbc: l'economista ha fatto notare ai ministri che affrontare ondate di caldo prolungate e sempre più intense, siccità, alluvioni - fenomeni già visibili e che prevedibilmente diverranno più estremi - comporterà dei costi aggiuntivi ingenti. Altri costi saranno dovuti alle perdite di raccolti agricoli dovute ai fenomeni di cui sopra, all'aumento della diffuzione di malattie tropicali, all'erosione dei suoli e all'incertezza negli approvvigionamenti di cereali. Tutto questo colpirà soprattutto quelli, tra i paesi più poveri, che saranno meno in gradi di adattarsi ai cambiamenti: è facile prevedere che l'Africa sarà gravemente colpita - alcune previsioni parlano di un calo del 12% nei raccolti agricoli entro il 2080, cosa che aumenterà di una decina di milioni il numero di persone che soffriranno la fame. E' facile anche prevedere migrazioni su larga scala per fuggire da siccità, fame, alluvioni e così via. Così, nessun paese potrà dirsi al riparo dagli effetti del cambiamento del clima.

Scopo di un rapporto simile, pare abbia detto lo stesso Nicholas Stern, è far diventare l'economia del cambiamento del clima una «scienza incontrovertibile». In altre parole: la «Stern Review» è di quei documenti che possono confutare in tutta autorevolezza i discorsi tenuti ad esempio dal presidente degli Stati uniti George W. Bush, che rifiuta di applicare politiche per ridurre le emissioni di gas di serra con l'argomento che nuocerebbe alla competitività dell'economia americana. A conti fatti, controbatte questo rapporto, non fare nulla costerà parecchio di più, anche in termini puramente economici.

Il rapporto Stern non è la prima indagine in assoluto a sottolineare i costi del cambiamento del clima - le grandi agenzie di assicurazioni ne sfornano da anni - ma è la più ampia e complessiva, e inconfutabile. Così è probabile che entrerà nelle prossime trattative politiche sul clima: la prossima conferenza del Trattato sul clima è prevista in novembre (a Nairobi, Kenya). L'incontro di Monterrey tra i 20 «grandi inquinatori» era uno dei tanti incontri preparatori: un seguito del «piano d'azione» lanciato dal G8 quando Londra aveva la presidenza di turno (e il premier Tony Blair si era fatto un punto d'onore di riportare al tavolo del negoziato globale l'alleato Bush: obiettivo non riuscito). E' là ad esempio che il capo dell'Agenzia internazionale per l'Energia (Iea), Claude Mandil, ha presentato una ricerca secondo cui le tecnologie necessarie a tagliare le emissioni di gas di serra nel prossimo futuro esistono già: ma è necessario investire subito in tecnologie energetiche a bassa intensità di cambonio, invece di lasciare che sorgano ovunque nuove centrali elettriche del vecchio tipo inefficente e carbon-intensive.