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'Ti chiamiamo terrorista'

di Anna Politkovskaja - 13/10/2006

L'ultimo articolo di Anna Politkovskaja, la giornalista russa uccisa cinque giorni fa
Anna PolitkovskajaTutti ci hanno chiesto: "L'assassinio di Anna Politkovskaja è collegato all'articolo sulle torture in Cecenia che stava preparando e di cui aveva parlato durante una trasmissione di radio "Libertà" giovedì 5 ottobre, due giorni prima della sua morte?"  Oggi, pubblichiamo due frammenti dei materiali che Anna stava preparando, non corretti dal nostro revisore. Il primo è un testo contenente le prime dichiarazioni di vittime di tortura, confermate da dati medici. Il secondo è composto da fotografie (quelle che  vedete in questo articolo, ndr) sulle quali si sarebbe dovuto basare un secondo testo, mai scritto. Sappiamo, dall'uomo che le ha consegnato le testimonianze, che sul disco fisso del computer sequestrato a casa di Politkovskaja c'erano i racconti delle torture subite da cittadini, la cui identità non ci è nota. Le indagini per scoprire i carnefici sono ancora in corso. Alcune ipotesi sostengono che siano funzionari di una struttura governativa cecena.
                                    La redazione della Novaja Gazeta

 
TI CHIAMIAMO TERRORISTA
L'uso della tortura nel programma antiterrorismo in Nord Caucaso

Ogni giorno, mi porto dietro decine di cartellette. Sono le copie del materiale che riguarda i processi di persone che noi accusiamo di "terrorismo", molte delle quali non sono ancora state condannate definitivamente.
Perché metto la parola terrorismo tra virgolette? Perché la stragrande maggioranza di queste persone sono definite terroristi. E questa pratica di "definizione dei terroristi" non ha semplicemente soppiantato, all'alba del 2006, tutte le altre forme di lotta contro il terrorismo, ma ha anche cominciato a creare un numero abbastanza ampio di persone che vogliono vendicarsi, quindi dei potenziali terroristi. Quando i magistrati e i tribunali lavorano non sotto l'egida della legge, ma agli ordini della politica, con l'obiettivo di compiacere la volontà del Cremlino in materia di antiterrorismo, i crimini spuntano come funghi.
La produzione in serie di confessioni "spontanee" fornisce ottimi dati al programma di "lotta contro il terrorismo nel Caucaso del Nord".
Ecco cosa mi hanno scritto le madri di un gruppo di giovani dissidenti ceceni: "...in realtà, queste colonie correzionali sono dei veri e propri campi di concentramento per i dissidenti ceceni, che sono sottoposti a discriminazione sul suolo nazionale. Non possono uscire dalle loro celle e dai blocchi di isolamento. La maggioranza, per non dire la quasi totalità, dei dissidenti è detenuta con accuse fittizie, senza che esistano prove a sostenerle. L' essere detenuti in condizioni terribili, il vedere la propria dignità umiliata, generano in loro un odio verso tutto e tutti. Quello che ritorna da noi è un intero esercito il cui futuro è stato compresso...".
E' chiaro: ho paura del loro odio. Ne ho paura perché quest'odio si allontanerà dalla Cecenia. Presto o tardi. E ne saranno vittime tutti, non solo quei carcerieri che hanno fatto di loro degli estremisti.  La pratica di "definire i terroristi" è il campo nel quale si scontrano faccia a faccia due diverse concezioni ideologiche di quello che succede nell'ambito delle "operazioni antiterroristiche nel Nord Caucaso": combattere illegalmente per legge o applicare  la "nostra" illegalità a loro? Il risultato sono scintille che minacciano il presente, e il futuro. Il risultato di questa "definizione di terroristi" è l'aumento del numero di coloro che non desiderano fare la pace.

Non molto tempo fa l'Ucraina ha estradato, su richiesta russa, un certo Beslan Gadaev, ceceno, arrestato all'inzio d'agosto durante un controllo documenti in Crimea, dove risiedeva. Ecco alcune righe di una sua lettera datata 29 agosto:
"...dopo essere stato estradato dall'Ucraina a Grozny, sono stato trascinato in un ufficio, dove mi hanno chiesto se avessi ucciso membri della famiglia Salichovyi, un certo Anzora e un suo amico. Ho negato, dicendo che non avevo ucciso nessuno e che non avevo mai sparso una goccia di sangue, né russo, né ceceno. Loro hanno risposto: "no, li hai uccisi". Ho di nuovo negato. Dopo di che loro hanno immediatemente cominciato a picchiarmi. Per prima cosa mi hanno colpito due volte con un bastone vicino all'occhio destro. Quando mi sono ripreso da questi colpi, mi hanno fatto girare, mi hanno legato le mani e mi hanno ammanettato, poi mi hanno infilato un bastone tra le gambe, in modo che non potessi muovere né le le mani. Poi mi hanno afferrato, o meglio, hanno afferrato questo bastone e mi hanno appeso a due armadietti, ad un'altezza di circa un metro. Subito dopo mi hanno avvolto un cavo attorno ai mignoli e, dopo pochi secondi, hanno cominciato a far passare la corrente e contemporaneamente a picchiarmi dappertutto con un manganello di gomma. Siccome il dolore era insopportabile, ho comiciato a gridare, a chiamare l'Altissimo, e a pregarli di smettere. Per tutta risposta, mi hanno messo sulla testa un sacchetto di plastica nero, in modo da non sentire quello che dicevo.
Non so di preciso per quanto hanno continuato, ma a un certo punto ho cominciato a perdere i sensi sempre più di frequente per il dolore. Dopo essersi accorti che avevo perso conoscenza, mi hanno tolto il sacchetto dalla testa e mi hanno chiesto se avrei confessato. Ho risposto che l'avrei fatto, anche se non sapevo di cosa stessero parlando. L'ho fatto solo perché la smettessero di torturarmi almeno per un po'.
Allora mi hanno tirato giù dagli armadietti, hanno tolto il bastone e mi hanno sbattuto per terra. Mi hanno detto: "parla". Ho risposto che non avevo niente da dire. Al che hanno ricominciato a picchiarmi sull'occhio destro. I colpi mi hanno fatto rotolare sul fianco e, mentre ero quasi svenuto, mi hanno bastonato. Poi mi hanno riappeso agli armadietti e hanno ricominciato tutto da capo. Non so per quanto è durata, continuavano a farmi rinvenire con dell'acqua.
Il  giornos seguente mi hanno lavato e mi hanno bendato la faccia e il corpo. Più o meno verso l'ora di pranzo è entrato un funzionario del comune. Mi ha detto che stavano arrivando dei giornalisti, che avrei dovuto confessare tre omicidi e alcuni furti e che se non l'avessi fatto avrebbero ricominciato a torturarmi e mi avrebbero anche abusato sessualmente. Ho acconsentito. I giornalisti mi hanno intervistato e, quando se ne sono andati, gli uomini che mi avevano torturato mi hanno fatto promettere che non avrei raccontato niente, minacciando di arrestarmi di nuovo e di rifare tutto, se avessi parlato. Mi hanno anche obbligato a dichiarare che tutto quello che avevo subito era la conseguenza di un tentativo di fuga.

Zaur Zakriev, avvocato di Beslan Gadaev, ha detto ai suoi collegi di 'Memorial' che nel territorio di Grozny  violenze fisiche e psicologiche come quelle subite dal suo cliente sono all'ordine del giorno. Zakriev continua affermando che il suo cliente ha ammesso di aver partecipato, nel 2004, ad assalti contro forze speciali.
 
Secondo l'avvocato, le torture subite hanno avuto profonde conseguenze sulla vita del suo cliente. I medici della struttura SIZO-1 di Grozny nella quale è attualmente detenuto Gadaev (accusato di "associazione a delinquere" secondo l'articolo 209 del Codice Penale della Federazione Russa) hanno stilato un rapporto che, in base alle visite effettuate su di lui, elenca segni di percosse, cicatrici, abrasioni, bruciature, oltre che a danni permanenti ad organi interni.
Per tutte queste violazioni dei diritti dell'uomo, Zaur Zakriev ha presentato ricorso al procuratore generale della Repubblica Cecena.