La democrazia dei creduloni
di Roberto Pecchioli - 31/01/2018
Fonte: Ereticamente
Carl Schmitt insegnò che l’essenza del politico è la distinzione tra amico e nemico. Nemico è il neoliberismo nella forma della globalizzazione, del dominio della finanza, del controllo tecnologico e del materialismo radicale. Identificato il nemico, occorrono armi dialettiche, culturali, civili per contrastarlo. Il primo terreno di lotta riguarda l’individuazione delle sue menzogne per fare opera di verità. Un punto di forza della “narrazione” avversa riguarda il concetto di democrazia. Totem e tabù della modernità, credenza indiscutibile, criticare o revocare in dubbio Sua Maestà la Democrazia pone fuori dallo spazio civile ed espone alla giustizia penale. Nondimeno, è urgente condurre una critica della ragione democratica, a partire dal significato delle parole. Democrazia significa potere del popolo: nessuno può ragionevolmente sostenere che nel regime vigente il popolo detenga quote significative di potere. Ristabilire tale elementare verità è il primo atto rivoluzionario.
La dogmatica democratica, per quanto il termine sembri un ossimoro, è diventata apologetica, vera e propria santificazione, liturgia obbligatoria, fine della storia nel senso teorizzato da Francis Fukuyama. Il pesce puzza dalla testa, quindi la democrazia ad uso dei creduloni va demistificata a partire dall’origine, ovvero dal più indiscutibile dei suoi dogmi: se infatti essa è il governo del popolo, noi non viviamo affatto in una democrazia. Nella realtà, infatti, vince sempre la minoranza, e quella minoranza è formata dai detentori del potere economico. I loro interessi hanno prodotto leggi, costituzioni, procedure volte a determinare e perpetuarne il dominio. Il potere del denaro svuota la democrazia sino a trasformarla nel suo opposto. Partiamo dall’Unione Europa. Il cosiddetto europarlamento non ha funzione legislativa, ed è quindi inutile, un rifugio ben pagato per politici in disarmo. Le normative, in forma di regolamento, vengono emesse da organi non elettivi e rese immediatamente esecutive in tutti i paesi, scavalcando il diritto nazionale, governi e parlamenti. Quanto agli Stati, i loro governi sono espressione di maggioranze parlamentari costruite a tavolino attraverso l’ingegneria elettorale. Con sistemi di elezione che costituiscono vere e proprie manomissioni della sovranità popolare, partiti votati da minoranze controllano i parlamenti e diventano governi in nome della “stabilità”, ovvero dell’immobilità, architrave della nuova dogmatica democratica.
Ciò vale per tutti i grandi Paesi. In Gran Bretagna, con il sistema maggioritario secco in alcune occasioni è andato al governo non il partito più votato, ma quello che è arrivato primo nel maggior numero di collegi. Rarissimo è il caso che conservatori o laburisti ottengano la maggioranza dei voti popolari. In Spagna, con un metodo proporzionale corretto (d’Hondt) è possibile conseguire la maggioranza alle Cortes con meno del 40 per cento dei suffragi. Peraltro, l’attuale governo è di netta minoranza e si regge sull’astensione di alcune opposizioni. In Francia, con il doppio turno, le maggioranze governative sono frutto della forzatura elettorale e non del consenso dei cittadini. Il caso tedesco vede due grandi partiti, democristiano e socialdemocratico, costretti dalla continua erosione dei consensi a formare governi di coalizione invisi ai rispettivi elettori ma sponsorizzati dal potere industriale e finanziario. Negli Usa, il metodo è quello britannico, con in più l’elemento federale, tanto che Donald Trump è stato eletto presidente con meno voti di Hillary Clinton. In Italia, dove l’orrendo Porcellum dichiarato incostituzionale ha permesso cinque anni di governo al centrosinistra con meno del 30 per cento dei voti, il nuovo Rosatellum promette esiti simili.
Tutto ciò è frutto di un disegno preciso che viene dall’alto, diventando la normalità invertita della democrazia reale, in cui vige ormai il principio di minoranza fondato sulla manipolazione di procedure e regole. Vi è poi la tendenza, ampiamente incoraggiata dal sistema, alla depoliticizzazione di massa, la cui conseguenza, insieme con il tramonto del pensiero critico, è l’indifferenza per il dibattito pubblico e l’assenza di partecipazione alle decisioni, a partire dalle elezioni. In molti casi, a dire il vero, non di depoliticizzazione si tratta, ma del voluto deficit progettuale delle forze politiche, la sovrapponibilità dei programmi, la percezione diffusa che la politica, ogni politica, sia un problema anziché una soluzione. Per il resto, generazioni indifferenti alla partecipazione pubblica sono assai gradite al potere, che può portare al massimo livello il suo governo della minoranza. Minore è la partecipazione, più comodamente decidono lorsignori, con il consenso dei gruppi e dei ceti clientelari, mentre tutti gli altri subiscono le scelte di pochi, restando senza rappresentanza. Democrazia apparente, neutralizzata, ridotta a rito, procedura dall’esito precostituito, una corsa truccata decisa in anticipo, come sanno gli allibratori, ma ancora creduta tale da molti: la democrazia dei creduloni, appunto.