La risoluzione ONU 1701: un'operazione mimetizzata d'imperialismo
di Aldo Bernardini - 14/10/2006
Fonte: iraqiresistance.info
La ris. 1701 (2006) dell’11 agosto del C.d.s. presenta forti elementi di ambiguità nel suo testo, ma è chiarissima – soprattutto se la si iscrive nel complesso di risoluzioni precedenti riguardanti il Libano – nel suo intento fondamentale, del resto coerente con la linea affermatasi soprattutto negli ultimi anni nel quadro N.U.: garantire la massima sicurezza e intangibilità per lo Stato di Israele così come esso è, e cioè come formazione statale installata nel territorio della Palestina sotto mandato britannico a seguito di una conquista di stampo coloniale e con tutte le caratteristiche che da molte parti la hanno fatta denominare “entità sionista”. Correlativamente, frenare, limitare e mortificare le forze arabe di resistenza antisraeliana e di contrapposizione operanti nel segno dell’indipendenza e dell’autodeterminazione (anche economica), a favore invece di sistemazioni di regimi arabi subalterni (il disegno del “Nuovo Medio Oriente”). Dunque, la 1701 è tutta dentro la logica dell’imperialismo.
E solo se ci si pone all’interno di questa logica (che oggi mira nella sostanza ad una complessiva restaurazione coloniale sotto mutate forme) è possibile ravvisarvi elementi di novità (multilateralismo, rientro in gioco delle N.U., emergere dell’Europa…). Questi elementi sono il frutto della sconfitta, grazie all’eroica resistenza di Hezbollah, subita dal disegno israelo-statunitense. La soluzione offerta dalla 1701 è la provvisoria alternativa alla sconfitta. La risoluzione è stata, nella sostanza, predisposta nel Ministero degli esteri israeliano (dichiarazione della ministra Livni, “Repubblica”, 31 agosto 2006) e comunque elaborata in sede N.U. da USA e Francia, ed è soluzione dichiaratamente gradita agli USA, evidentemente dopo la ricordata sconfitta (“Corriere della Sera”, 15 settembre 2006: fra l’altro, argomento usato per ottenere il voto del centro-destra italiano sulla missione). E non si dimentichi che la risoluzione ha avuto bisogno, soprattutto grazie a manovre USA, di un mese circa per l’approvazione, con lo scopo di consentire a Israele di proseguire nella sua, complessivamente vana, ma distruttiva e criminale, offensiva contro Hezbollah.
Non contraddicono queste considerazioni né le partecipazioni extra-europee alla rinnovata (numero degli effettivi; ampliamento e rafforzamento del mandato) missione UNIFIL (in particolare, Russia e Cina, già presenti nella missione, e che dichiaratamente dovrebbero avere solo compiti di assistenza e ricostruzione, non militari), né l’accettazione del governo libanese, inclusi i rappresentanti di Hezbollah. Soprattutto su questo si è ovviamente molto speculato come argomento a favore del carattere di pace della missione. Quell’accettazione, in specie di Hezbollah, risponde invece ad evidenti ragioni tattiche: cessazione delle criminali e micidiali azioni israeliane; sfuggire ad un’operazione di divisione delle forze politiche presenti nel governo con conseguente emarginazione di Hezbollah, di cui invece lo stesso premier Siniora ha dovuto riconoscere la fondamentale funzione di forza di resistenza e liberazione del Libano. In una situazione di stato di guerra fra Libano e Israele, solo “sospeso” dall’armistizio del 1949, e caratterizzato da continue violazioni israeliane, Hezbollah costituisce struttura di resistenza del popolo libanese nella sua parte maggiormente facentesi carico dell’autodeterminazione, alla stregua di una milizia di partigiani, caratterizzata da autonomia, ma da ricondursi comunque al popolo e quindi, in ultima analisi, allo Stato libanese. Ma l’accettazione di Hezbollah – che può ritenersi qualificare lo stesso consenso del governo libanese – è stata espressamente circondata da riserve con la riaffermazione del carattere interno libanese del rapporto fra le milizie di Hezbollah e lo Stato libanese e quindi della stessa questione del loro disarmo, comunque subordinato al raggiungimento degli obiettivi di completa liberazione del Libano dall’occupazione israeliana, incluse le fattorie di Sheba, e ad una piena capacità difensiva dell’esercito libanese, al quale in ogni caso la stessa Hezbollah è impensabile che possa restare estranea (salvo il caso di un successo di un tentativo di guerra civile nel Libano). Sempre poi con la questione palestinese sullo sfondo.
Un riflesso della molto “sfumata” sistemazione, secondo il testo della 1701, può riconoscersi dove la stessa risoluzione, che quale finalità centrale mira al disarmo di Hezbollah (questo e null’altro significa la proclamata necessità dell’estensione della sovranità e autorità del governo libanese a tutto il territorio, ovvia per sé, ma proprio per questo disconoscente i dati reali e concreti del modo di essere dello Stato libanese), deve ripetutamente fare riferimento al “consenso”, nonché all’eventuale “richiesta” all’UNIFIL, da parte del governo libanese al fine di assicurare le diverse attività di “assistenza” della missione al governo e all’esercito libanesi: di quel governo libanese di cui fa parte Hezbollah, che di per sé appare dunque in grado di bloccare ogni situazione. Certo, una previsione del genere potrebbe preludere al tentativo di eliminare la presenza di Hezbollah dal governo libanese. E’ implicita nella ris. 1701 anche l’idea di far combattere libanesi contro libanesi e di utilizzare le forze della missione per spingere l’esercito libanese, o la parte di esso contraria a Hezbollah, contro quest’ultima: magari, con Israele alle spalle, con la spada di Damocle di una proclamata inadempienza della risoluzione, come intesa da Israele (e dagli USA). Che questa non sia solo ipotesi teorica, è dimostrato da dure dichiarazioni israeliane sulla necessità di intendere o comunque modificare il mandato dell’UNIFIL nel senso sostanzialmente di peace-enforcing contro Hezbollah (“Il Manifesto”, 28 settembre 2006). L’UNIFIL dovrà comunque coordinare le sue attività non solo con il governo libanese, ma pure con quello israeliano! (punto 11, c).
Il richiamo alla necessità che il governo libanese “estenda la sua autorità all’insieme del territorio libanese, conformemente alle disposizioni delle ris. 1559 (2004) e 1680 (2006) … per esercitarvi integralmente la sua sovranità”, quindi al sud del paese, indica comunque senza dubbio la finalità centrale: l’imbrigliamento di Hezbollah, che nel sud ha la sua sede primaria. Del resto, il disarmo dei gruppi armati fuori di quelli governativi in Libano è riaffermato nel punto 8 della ris. 1701, che richiama le precedenti risoluzioni con stessa finalità (a rigore, peraltro, con valore di mera raccomandazione, secondo la logica generale della 1701 e delle precedenti). Da notarsi, il disarmo dovrebbe riguardare anche i palestinesi dei campi profughi in Libano. Tutto ciò è confermato dai punti che prevedono l’embargo delle forniture di armi e altro materiale militare in Libano – quindi, in primis, quelle a Hezbollah –, salvo se consentito dal governo libanese (qui, di nuovo, la contraddizione prima rilevata della presenza in questo di Hezbollah: il relativo punto 15 si esprime in termini di “decisione”, ma è dubbio che si tratti di misura nei confronti di uno Stato, quindi potrebbe esulare a rigore dall’art. 41) o dall’UNIFIL. Il ritiro degli israeliani non è considerato atto dovuto in sé, ma solo in rapporto al dispiegamento dell’esercito libanese e dell’UNIFIL. La sovranità libanese che si vorrebbe riaffermare è dunque in realtà qualificata da un’occupazione “a mezzadria” con l’UNIFIL e indirizzata alla finalità voluta. Certo, con la contraddizione segnalata, ma con le possibili conseguenze dirompenti.
La ris. 1701 non è di univoca collocazione nel sistema N.U.. L’ultimo punto del preambolo afferma che “la situazione in Libano costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”. E’ la classica formula che porta all’applicazione del cap. VII (misure coercitive). Qui appare grave anzitutto che si limiti la “situazione pericolosa” al Libano. E Israele?
Nelle risoluzioni precedenti in materia, non figurava menzione di quella formula. Ritengo, in una considerazione obiettiva e non secondo interpretazioni interessate, che le precedenti risoluzioni e l’azione dell’UNIFIL non fossero certo da ricondursi all’art. 42 (misure coercitive implicanti la forza). Si tratta di forza di peace-keeping, che richiede il consenso dello Stato o degli Stati interessati. Pur con un mandato insidiosamente ampliato, la situazione giudirica complessiva dovrebbe considerarsi immutata. Tutt’al più, la formula della “minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali” potrebbe rinviare all’art. 39 (cap. VII), il quale prevede che il Consiglio di sicurezza – se non ricorra espressamente alle misure coercitive degli artt. 41 e 42 – può “fare raccomandazioni”: il che riporterebbe, secondo un’interpretazione preferibile, al cap. VI per il tipo e il valore (forza) della stessa ris. 1701, che quindi complessivamente resterebbe una mera raccomandazione (a parte, come del resto per le precedenti risoluzioni, gli aspetti organizzativi interni alle N.U., e salvo il valore vincolante che ad essa risulterebbe, per gli Stati interessati, dalla loro accettazione: ma il consenso, per essere valido, deve risultare libero, costituzionalmente regolare, non in contrasto con principi inderogabili come quello di autodeterminazione). In altri termini, può ritenersi che la 1701 sia una raccomandazione ex art. 39 (cap. VII), che sulla base dell’accertamento (nel nostro caso, senza dubbio “di parte”, in quanto limitato al Libano, e quindi sospetto di illegittimità) della minaccia alla pace e sicurezza internazionali, raccomanda (quindi, non decide) i diversi punti che ne sono oggetto: compresa la questione della forza UNIFIL, per cui risulta riaffermata la necessità del consenso dello Stato libanese (è stata accettata anche da Israele). Tale carattere di raccomandazione, e non di decisione, potrebbe rendere illegittima la ris. 1701 anche sotto il profilo del divieto di ingerenza negli affari interni libanesi, ingerenza che traspare in tante delle sue disposizioni: pur se l’accettazione da parte libanese potrebbe costituire una sanatoria (sempre che il consenso possa ritenersi valido). Il parziale aggancio al cap. VII, di cui si è detto, finisce però per costituire una prima e più agevole base per il Consiglio di sicurezza per passare successivamente a misure coercitive ex art. 41 o addirittura 42: non vi è dubbio che si tratta di un passaggio molto pericoloso e ingannevole.
L’UNIFIL, in quanto peace-keeping force, dovrebbe definirsi come forza di interposizione. Ma di essa non si prevede lo schieramento su ambo i lati del confine libano-israeliano, bensì – come finora – su una (ampia) zona di territorio libanese, che risulta dunque, come si è detto, co-occupata. Quest’elemento svela appunto il segno filo-israeliano dell’operazione, manifestato anche da altri dati della 1701: il preambolo dichiara che le ultime ostilità sono state provocate “dall’attacco di Hezbollah in Israele il 12 luglio 2006” (in realtà, una notizia afferma che Hezbollah avrebbe operato in territorio libanese; comunque non può isolarsi l’ultima vicenda da tutto il contesto e quindi dalle precedenti violazioni israeliane di confine e spazio aereo ai danni del Libano, dalle catture di libanesi ecc.) e sottolinea e differenzia la situazione del soldati israeliani catturati (un successivo punto del preambolo afferma tale cattura come causa precipua della crisi attuale) e quella invece dei detenuti libanesi in Israele. Nel dispositivo si chiede la cessazione degli attacchi di Hezbollah, mentre per Israele solo delle “offensive militari” (escludendosi dunque forme minori di attacchi israeliani).
Nessuna condanna per Israele, neppure sul piano economico: è la “comunità internazionale”, cioè tutti gli Stati, che viene invitata ad aiutare anche finanziariamente il popolo libanese! Israele resta indenne! Nessuna limitazione è prevista poi per la fornitura di armi ad Israele o per la collaborazione militare con esso: ricordiamo il recente accordo italo-israeliano, che di per sé escluderebbe la terzietà dell’Italia e quindi la correttezza della nostra partecipazione alla missione UNIFIL.
Si ricorda alla fine della risoluzione, ma era già stato fatto dalla ris. 1553 (2004), che è necessario arrivare ad una soluzione generale della questione del Medio Oriente. Ma, ancora una volta, vengono menzionate le risoluzioni N.U. relative al ritiro israeliano dai territori palestinesi occupati nel 1967, mentre si dimentica la ris. 194 del 1948 dell’Assemblea generale sul rientro dei profughi palestinesi, la cui attuazione porrebbe in pericolo il carattere “sionista” di Israele.
Con tutte le sue ambiguità e contraddizioni, sia testuali che contestuali, l’operazione della ris. 1701, e quindi la stessa rinnovata missione UNIFIL, non si sottraggono ad una valutazione quale operazione imperialistica. La massiccia presenza di flotte armate di vari paesi della missione, inclusa l’Italia, di fronte alle coste libanesi contribuisce a limitare di fatto la sovranità del Libano e rappresenta una chiara minaccia contro la Siria e l’Iran. Quel che risalta conclusivamente è l’incondizionata e totale tutela offerta ad Israele nel suo modo di essere attuale e l’impunità a questo assicurata per l’aggressione perpetrata, ancora una volta, contro il Libano e per quella continuativa contro il popolo palestinese.
Aldo Bernardini
Docente di Diritto Internazionale
Università di Teramo