I limiti dello sviluppo trent'anni dopo
di Guido Dalla Casa - 30/10/2005
Fonte: estovest.net
Come noto, I limiti dello sviluppo è un famoso rapporto pubblicato ad opera del Club di Roma nell’anno 1971, per iniziativa di Aurelio Peccei e Jay W. Forrester. Sono co-autori del volume Donella e Dennis Meadows, e Jorgen Randers.
Vediamo di fare il punto della situazione a trent’anni di distanza, anche perché è abbastanza frequente che il contenuto di quel rapporto venga considerato come clamorosamente smentito dai fatti. Recentemente ho letto un articolo che definiva il libro come “la più popolare e sbagliata analisi sui destini del mondo”. I suoi Autori sono spesso definiti “catastrofisti” e a volte vengono addirittura accusati di avere danneggiato il movimento ambientalista.
A mio avviso, non si possono negare a I limiti dello sviluppo almeno questi pregi:
- avere attirato l’attenzione sulla gravità del problema della sovrappopolazione;
- avere diffuso il concetto di crescita esponenziale;
- avere esaminato il problema con un metodo abbastanza accettato.
Il rapporto era stato impostato schematizzando il sistema mondiale in cinque grandezze: la popolazione umana, le risorse naturali, gli alimenti, l’inquinamento e la produzione industriale. Erano poi stati analizzati i tipi di interazione fra queste grandezze su scala mondiale e si erano fatte delle proiezioni sul futuro estrapolando gli andamenti delle cinque grandezze dall’inizio dell'era industriale. Quindi si teneva conto del progresso tecnico, già in atto da circa due secoli, mentre, trattandosi di proiezioni, si supponeva di non modificare le interazioni fra le grandezze, cioè si ipotizzava che non cambiasse il modo di vivere e di pensare della cultura dominante.
Non si faceva quindi alcuna previsione, ma venivano ricavati dodici diagrammi di diverse proiezioni basate su varie ipotesi. Il primo dei diagrammi era quello che partiva dall’idea semplificativa di procedere nel tempo avendo a disposizione le risorse già note nel 1971, ipotesi che -ovviamente- non aveva alcuna pretesa di previsione. Infatti non si è verificata.
Ma il risultato più interessante di quello studio è stata la constatazione che quasi tutte le altre ipotesi, che aumentavano le risorse a disposizione anche in modo considerevole o portavano alcune variazioni “ottimistiche” alle altre grandezze, si concludevano con l’”impazzimento” dei rispettivi diagrammi in un arco di tempo che andava circa dal 2020 al 2080, a seconda del caso in esame. Anche l’ipotesi di continuare a disporre di nuove risorse senza limiti aveva come conseguenza la catastrofe del sistema, sempre senza alterare il modo di interagire delle cinque grandezze (modo di vita).
Questo proverebbe che non si tratta di un problema di esaurimento di risorse, ma dell’impossibilità di persistenza di un sistema come quello economico di produrre-vendere-consumare all’interno della Biosfera, che è un sistema complesso che funziona in modo stazionario lontano dall’equilibrio termodinamico, cioè in sostanza si comporta come un singolo organismo vivente.
Solo due dei diagrammi esaminati rappresentavano, dopo un certo tempo, un andamento stazionario delle cinque grandezze, ma entrambi richiedevano come condizione necessaria la stabilizzazione della popolazione mondiale attorno all’anno 1975, cosa che già allora appariva utopistica e che notoriamente non si è verificata.
In sostanza, non siamo in grado di dare alcun giudizio sulla bontà delle previsioni (che non erano tali) riportate ne I limiti dello sviluppo, perché non siamo ancora arrivati al tempo di inizio di manifestazioni evidenti di impossibilità neanche sulla base del primo grafico citato (grossolanamente attorno al 2020). Quindi non c’è alcun motivo di chiamare “catastrofisti” gli autori del rapporto o di affermare che si tratta della “più popolare e sbagliata analisi sui destini del mondo”.
Tutt’al più venne manifestata un’ingenuità da parte di alcuni divulgatori di quel rapporto, che diedero diffusione soltanto al primo dei diagrammi citati.
Situazione attuale
Se facciamo riferimento alle crisi da sovrappopolazione, che secondo alcuni “ottimisti” non si sarebbero verificate, mi domando come si deve considerare un mondo in cui:
- decine di migliaia di esseri umani si spostano con viaggi allucinanti, andando di norma verso una vita in qualche campo-profughi; alcuni vendono organi del proprio corpo per pagarsi il “passaggio”, ovviamente clandestino;
- milioni di bambini vengono venduti o fatti lavorare come schiavi;
- cinquanta milioni di bambini all’anno muoiono di fame;
- le depressioni e i suicidi in Occidente aumentano del 5% all’anno;
- oltre metà delle foreste del Pianeta sono state abbattute e il processo continua senza soste. (Ricordiamo che le foreste e le paludi sono le massime espressioni della varietà biologica);
- il ritmo di estinzione di specie ed ecosistemi è circa mille volte quello naturale; invece il processo di comparsa di nuove specie si è quasi arrestato;
- immense distese di terra vengono desertificate, o si trasformano in laterite, che è il destino che attende le foreste pluviali equatoriali, dopo la fase di abbattimento degli alberi e del sottobosco e la trasformazione temporanea in pascoli;
- migliaia di tonnellate di rifiuti di ogni genere viaggiano per il mondo perché non sappiamo più dove metterli. Il processo è solo all’inizio;
- l’acqua dolce utilizzabile comincia a scarseggiare in molte parti del mondo;
- i disastri ecologici petroliferi in mare sono palesemente in aumento;
- la degradazione di interi continenti è ormai evidente: dopo la distruzione di migliaia di culture originarie, il sistema cerca di trasformare gli abitanti in masse informi ed uniformi di consumatori. Si va verso la fine di ogni diversità culturale e biologica, su cui si basa la capacità omeostatica della Terra;
- si sono iniziati a manifestare fenomeni climatici di origine antropica su scala planetaria; il livello di anidride carbonica nell’atmosfera è il più alto degli ultimi 400.000 anni ed è in aumento inesorabile.
Cosa deve ancora succedere perché si cominci a chiamare catastrofe quello che sta accadendo? È evidente che, se non si arresta la crescita di popolazione e consumi, questa è soltanto la fase iniziale del processo.
I veri nemici dell’ambiente non sono quelli che vengono chiamati “catastrofisti”, ma sono coloro che, in questa situazione, continuano ad inneggiare all’aumento dei consumi, che è la causa dei guai. I nemici dell’ambiente non sono coloro che ci hanno messo in guardia trent’anni fa su ciò che poteva accadere e che si sta sostanzialmente verificando. Sono invece quegli “ottimisti” che, malgrado l’evidenza, continuano ad invocare la crescita, diffondendo l’illusione che si possa risolvere il problema soltanto con provvedimenti locali.
Per inciso, ricordiamo che continuare a parlare di ambiente è fuorviante, perché la Terra non è “il nostro ambiente” o “la nostra casa”, termini che sottintendono una visione antropocentrica ormai decisamente smentita dalla scienza, ma è l’Organismo di cui facciamo parte: siamo un suo tessuto, siamo come un tipo di cellule che fanno parte di un organismo biologico, e che dipendono in modo totale dalle sue possibilità di omeostasi. La nostra vita dipende dalla capacità della Terra di autocorreggersi mantenendosi in condizioni stazionarie.
L’unico dato che possiamo considerare incoraggiante è il fatto che la crescita della popolazione mondiale sta leggermente rallentando, pur restando su valori elevatissimi, cioè da due o tre anni l’andamento della popolazione umana non segue più una curva esponenziale. Purtroppo questo è in gran parte dovuto a quanto accade in Cina, dove vive un quinto dell’intera umanità, ed è stato ottenuto con metodi assai discutibili. Comunque i consumi sono più che mai in crescita vertiginosa anche là.
Ripetiamo: è ora di rendersi conto che non possiamo non vivere in condizioni stazionarie, perché questo è l’unico modo di funzionare della Biosfera, cioè dell’Organismo di cui facciamo parte. Questo si può vedere anche partendo dalla teoria dei sistemi, come evidenziato nel libro Assalto al pianeta, di Sandro Pignatti e Bruno Trezza (Ed. Bollati Boringhieri, 2000), in cui si dimostra che il problema non è causato semplicemente dalla scarsità di risorse, ma ha radici più profonde, legate al modo di procedere del sistema economico, che dipende da un’unica variabile (il denaro) e non può integrarsi in un sistema complesso con grandissimo numero di variabili, come la Biosfera.
Oltre i limiti dello sviluppo
E’ interessante notare che, mentre il citato rapporto del 1971 sui Limiti dello sviluppo è assai noto, ben pochi sanno che venti anni dopo è stato pubblicato un aggiornamento ad opera di alcuni degli Autori del primo libro (Donella e Dennis Meadows, Jorgen Randers, Oltre i limiti dello sviluppo, Ed. Il Saggiatore, 1993).
Riporto integralmente la parte finale di quest’ultimo libro:
Abbiamo ripetuto più volte che il mondo non si trova di fronte un futuro preordinato, ma una scelta. L’alternativa è fra tre modelli. Uno afferma che questo mondo finito non ha, a tutti i fini pratici, alcun limite. Scegliere questo modello ci porterà ancora più avanti oltre i limiti e, noi crediamo, al collasso.
Un altro modello afferma che i limiti sono reali e vicini, che non vi è abbastanza tempo, e che gli esseri umani non possono essere moderati, né responsabili, né solidali. Questo modello è tale da autoconfermarsi: se il mondo sceglie di credervi, farà in modo che esso si riveli giusto, e ancora il risultato sarà il collasso.
Un terzo modello afferma che i limiti sono reali e vicini, che c’è esattamente il tempo che occorre ma non c’è tempo da perdere. Ci sono esattamente l’energia, i materiali, il denaro, l’elasticità ambientale e la virtù umana bastanti per portare a termine la rivoluzione verso un mondo migliore.
Quest’ultimo modello potrebbe essere sbagliato. Ma tutte le testimonianze che abbiamo potuto considerare, dai dati mondiali ai modelli globali per calcolatore, indicano che esso potrebbe essere corretto. Non vi è modo per assicurarsene, se non mettendolo alla prova.
E’ evidente dal testo che il terzo modello citato comporta una modifica profonda e radicale dei valori attuali della cultura occidentale. In altre parole, l’aumento dei consumi non può più essere un valore. Questo significa una fine indolore di quella che chiamiamo civiltà industriale.
Non si tratta affatto di una fine del mondo, ma del cambiamento radicale di una forma di pensiero. E’ solo la fine di questo mondo, che tutto sommato non è neanche tanto entusiasmante.
Allo scopo di terminare in modo “letterario”, riporto un brano di Ceronetti, tratto da un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 23 novembre 1992:
“....Gli altri sono autori o complici dei disastri, siamo qualche miliardo su questo piatto della bilancia, e tutti abbiamo lasciato fare, anzi siamo tuttora in qualche modo tutti sterminatori attivi di terra-madre, deicìdi di Cibele, pur d’ingozzarci di consumi che sono chiodi piantati nella carne della vita. .... E basta accennare a ridurli perché si sfreni il panico: Borse con l’infarto, folle imbestialite, il muraglione vacuo delle proteste cieche. .....”
(articolo pubblicato sul numero di agosto-settembre 2001 della Rivista ALDAI)
L’impressione che si sia trattato di “previsioni errate” è forse derivata dal fatto che alcuni divulgatori del rapporto del Club di Roma si sono limitati a diffondere i risultati del primo diagramma, facendo apparire come previsioni i periodi di esaurimento delle risorse, e senza premettere le ipotesi che stavano all’origine del primo studio (assenza di nuovi ritrovamenti), che non potevano in realtà verificarsi.