Sull'autonomia dei Popoli
di Flores Tovo - 17/10/2018
Fonte: Arianna editrice
C’è una frase di Hegel, riguardante la distinzione sovrana fra i singoli Stati e fra i rispettivi popoli sul piano storico, che colpisce non solo per la sua profondità concettuale, ma soprattutto per la sua chiaroveggenza. Questa frase così dice:
“Coloro i quali, riguardo ad una collettività che costituisca uno stato più o meno autonomo e abbia un centro proprio, parlano di desideri di perdere questo punto centrale e la sua autonomia con un altro stato un Tutto, costoro, ebbene, sanno poco della natura di una collettività e dell’autosentimento che un popolo ha della propria indipendenza” (1).
Decifrare il senso di questo breve e potente pensiero di cifra metastorica, cercando di collegarlo a quello che sta accadendo nella storia presente, non è semplice, poiché richiede la risposta a molte domande che in esso sono implicite. Chi erano, per prima cosa, questi “coloro” che volevano la dissoluzione dei popoli per creare un unico nuovo ordine mondiale? Sicuramente all’epoca di Hegel erano i Francesi, che sotto la guida di Napoleone, volevano sottomettere l’Europa. Ma già allora i veri globalizzatori erano presenti, sia pure in nuce, come la massoneria internazionale legata ai potentati che facevano parte integrante del capitalismo industriale (i fratelli Rothschild, p.es. finanziarono sia gli Inglesi che Napoleone). Una realtà embrionale che già si era insinuata nella politica fra stati nei due secoli precedenti, grazie alla nascita delle Banche nazionali e della Borsa, e che si stava imponendo a livello planetario per mezzo della tracotanza smisurata del denaro.
Al giorno d’oggi c’è ormai una sterminata bibliografia di studi riguardante la globalizzazione, che è quasi inutile citare: ricordiamo solo alcuni importanti scrittori che se ne sono occupati, da Marx a Hilferding fino a Baumann, Beck, Gallino e così via. Ma, sebbene la globalizzazione sia un processo storico che ha origini lontane, è soprattutto dopo il crollo dell’URSS alla fine del 1991, che questo avvenimento tendenzialmente totalitario ha avuto una accelerazione senza precedenti. Per cui si è cominciato a parlare di un nuovo stato unico mondiale (una specie di ONU potenziata), di universalismo dei valori (quelli liberal-capitalistici), e di esportazione della democrazia rappresentativa in ogni dove; insomma di un prospetto di una fine della storia che finalmente aveva trovato il suo nuovo Eden, poiché ogni nemico, il nazifascismo prima e il comunismo poi, era stato annientato. Negli anni ’90 sembrava quasi che il sogno kantiano di una “pace perpetua” stesse per realizzarsi: ciononostante questo anelito primatista oggi sta incontrando ostacoli imprevisti. Il perché di questo rallentamento in itinere si trova in molteplici cause, che partono dalle contraddizioni profonde insite nel sistema capitalistico stesso, che il grande geografo e politico inglese David Harvey ha individuato nel numero complessivo di diaciassette (2), ma che, a nostro parere, riguarda soprattutto l’essenza spirituale dei popoli storici (3), cioè di quei popoli che hanno dietro di sé un lungo passato. La storia non vive né si compone solo di ricordi, poiché si presenta e si ripresenta in tantissimi aspetti sociali che costituiscono i caratteri distintivi dei singoli popoli. Essa, infatti, altro non è che l’acquisto da parte di un singolo popolo della propria coscienza, che secondo Hegel si esprime nelle proprie leggi, e nei propri costumi. Quindi per il filosofo di Stoccarda la sovranità di uno stato al suo interno è data dallo spirito (Geist) che quindi coincide con lo stato stesso: uno spirito che si viene a saldare attraverso i travagli, le fatiche, le sconfitte e trionfi appartenenti alla propria storia. Idealità e realtà formano l’essenza stessa di uno stato, a seconda del modo con cui esse si sono dispiegate nel corso del proprio divenire. Per questo in uno stato sovrano ogni popolo storico ha una sua personalità distinta, che chiaramente appare tale in rapporto con gli altri stati.
E’ da notare comunque che mai, come in questi ultimi anni, i tentativi di estinguere la molteplicità spirituale dei singoli stati per crearne una sola a guida anglo-americana, basata sull’ordine liberal-capitalistico, siano stati così possenti. In ogni dove sono state perpetrate guerre “umanitarie”, dette anche guerre “democratiche”, oppure sono state decretate sanzioni contro chi appena accennava ad una critica o un diniego, o profferite minacce spesse volte seguite da feroci bombardamenti: tutto ciò al fine di creare un Nuovo Ordine Mondiale. Grazie al “Gestell ” cioè al Dispositivo o Impianto tecnico, si è tentato di omologare ogni aspetto delle varie civiltà, in campo politico, economico, giuridico, educativo, sessuale, linguistico, alimentare, artistico: un tentativo di conformazione globale senza precedenti nella storia umana, operato con l’uso di un dispiegamento potentissimo di forze di persuasione più o meno occulte. Tuttavia, nonostante questa politica di fatto terroristico-totalitaria, i risultati conseguiti, pur notevoli, si sono rivelati ancora insufficienti politicamente, nonostante le terribili sofferenze inflitte a tanti popoli sventurati. Infatti, dopo quasi trent’anni dalla genesi infera di questo sogno mondialista anticipato dalla filosofia popperiana della società aperta e dalla convinzione assoluta della fine della storia col trionfo del capitalismo, le vicende storiche che si stanno attuando conducono verso una direzione che va in senso contrario. Il sorgere di una grande potenza economico-industriale come la Cina, il riarmo della Russia, il risveglio di potenti forze demografiche, e non solo, come India, Pakistan, Indonesia e in parte il Brasile, e la rinascita del sopito, ma mai morto, nazionalismo nipponico indicano una direzione storica che si antepone al disegno di un nuovo ed unico ordine mondiale, una via che propone un nuovo assetto politico di tipo poliverso.
Perfino l’Italia, che è uno stato che ha rinunciato ad una sua politica autonoma in campo dell’economia e della politica estera si sta risvegliando da 70 anni di sottomissione “dolce”, tant’è che movimenti popolari sovranisti, sia pure con mille difficoltà, sono oggi al governo.
Da queste brevi considerazioni scaturisce un’altra domanda attorno al perché Hegel riteneva impossibile un Governo Unico Mondiale. Si noti che egli si proclamò sempre un discepolo di Eraclito, facendo proprio come faro per la sua filosofia politica il frammento di questi che sentenziava che la “Contesa è padre di tutte le cose…” (frammento 53). Un principio metafisico che governa non solo gli uomini, ma anche gli animali e tutte le cose (fr. 64), e che ci fa comprendere come la storia sia e sarà teatro di scontri senza fine. Per questo egli riteneva impossibile che ci fosse una fine della storia con la formazione di uno stato unico che si concludeva con la realizzazione di un ideale irenico. Egli considerava una pura illusione la concezione kantiana di una lega internazionale costruita in senso federale per attuare una pace perpetua che del resto lo stesso Kant riteneva impossibile, ma solo una permanente aspirazione teleologica (4). Scriveva Hegel a riguardo:
“ La rappresentazione kantiana di una pace perpetua, da attuare mediante una lega di stati che appiani ogni controversia e che, in quanto potere riconosciuto da ogni singolo stato, componga ogni discordia rendendo quindi impossibile la decisione per via bellica, presuppone la concordia fra gli stati. Tale concordia, però, si baserebbe su fondamenti ed aspetti morali, religiosi o quali che siano: in generale, avrebbe pur sempre la base delle volontà sovrane particolari, e perciò rimarrebbe affetta da accidentalità” (5).
Una frase che anticipò il concetto di politica di Carl Schmitt, che riteneva che l’essenza della politica si rivelasse nel rapporto dialettico di amico-nemico. Una coppia di contrari contrastanti che provoca comunque la costituzione di raggruppamenti umani che all’interno di un singolo stato dà origine all’identità dello stato stesso, sempre che ci sia un riconoscimento reciproco. Ciò significa che ogni raggruppamento politico si costituisce sempre in antitesi ad un altro. Quindi se già all’interno di un singolo stato sono concretamente presenti due opposte fazioni, a maggior ragione tale potenziale conflittualità si espleterà rispetto ad altri stati. Per questo anche Schmitt era convinto che finchè esisterà uno stato, vi saranno altri stati e quindi non potrà mai esistere uno “stato” mondiale che comprenda tutta la terra e tutta l’umanità. Il mondo politico, ribadiva il filosofo, è un pluriverso, e non un universo.
Se si applicano questi concetti filosofico-politici alla realtà storica presente si può osservare che dopo la caduta dell’URSS il 31 dicembre del 1991, sembrò che tutta l’opinione pubblica mondiale ritenesse che l’unico “sistema” vincente fosse quello liberal-capitalistico, come venne propagandato da tanti piccoli intellettuali allora in voga. Sembrava che non ci fosse più un nemico. Quindi ad un certo momento per convenienze politiche interne ed internazionali il nemico divenne dopo l’11 settembre del 2001 il terrorismo islamico. Da lì sorsero guerre contro l’Afghanistan, l’Iraq, la Somalia, la Libia, la Siria. Ma quel nemico era poca cosa per la sua debolezza complessiva, e che serviva solo per scaricare di bombe obsolete e per impadronirsi di risorse naturali. Dal 2008 ecco la possibilità di ricreare un vero nemico: la Russia. Un paese caduto nel baratro negli anni di Eltsin, che si stava lentamente riprendendo con la guida di Putin. La scusa fu la Georgia nel 2008 e poi la Crimea nel 2014. Tuttavia la Russia, grazie al ministro della difesa Shojgu, si organizzò per riarmarsi al punto tale che militarmente oggi può, come lo era l’Urss, distruggere gli Usa e i suoi alleati. A questo nemico militare si è aggiunto il vero nemico del futuro, e cioè la Cina. Un paese sempre più potente sotto tutti gli aspetti, che con alleanza della Russia può mettere a repentaglio la supremazia occidentale. Per cui si può ormai affermare che la costruzione di un mondo universo è ormai fallito del tutto. Solo una guerra termonucleare potrebbe cambiare il percorso storico in atto, con la conseguenza di distruggere definitivamente il pianeta (una possibilità remota, ma da non escludere).
In ogni modo l’identità dei singoli popoli storici è data nel loro profondo spirituale soprattutto dalla propria lingua, poiché “il linguaggio è la casa dell’Essere”, come “rivelava” Heidegger. Il linguaggio è infatti l’espressione primaria dell’Essere, inteso come comunità e pensiero, in quanto eventualizzandosi si storicizza. Esso conferisce ad ogni popolo una personalità unica, un carattere, una creatività. Il linguaggio è lo “spirito” hegeliano che si dà. Solo se si distrugge una lingua, si può distruggere fisicamente in modo totale un popolo: lo avevano capito i Romani contro gli Etruschi e gli Spagnoli contro gli Atzechi e Maya. Il semplice soggiogamento non è sufficiente se si permette ai popoli oppressi di mantenere la propria lingua. L’esempio più nitido è dato dai popoli balcanici, che dopo la battaglia del Kossovo nel 1389 furono sottomessi per secoli dai Turchi islamici. La sopravvivenza delle rispettive lingue permise loro il mantenimento dell’essenza del proprio spirito: e infatti in varie tappe a partire dagli inizi del 1800 fino alle guerre balcaniche del 1912-13, tutti questi popoli ritrovarono l’indipendenza.
Il potere mondiale conosce bene questo discorso. Proprio per questo esso cerca di imporre, sempre attraverso il “Gestell”, una specie di inglese maccheronico dappertutto. Ma i popoli che hanno dato i natali a Dante, Goethe, Balzac, Dostojevskij non potranno mai scomparire, perché la loro arte linguistica è talmente grande e varia che nulla potrà cancellarla. Solo la distruzione completa, si diceva, può annientarne l’autonomia .
Note:
1) G.W.F. HEGEL, Lineamenti della filosofia dello spirito, Ed. Rusconi, Milano 1996, p.541.
2) Si veda: D.HARVEY, Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo, Ed.Feltrinelli, Milano 2014.
3) I popoli storici sono quelli che posseggono: “un epos, trasfigurazione simbolica del comune passato; un ethos, simbolizzazione degli imperativi normativi su cui si regge un gruppo, un logos, strumento simbolico che consente la comunicazione sociale; un genos, trasfigurazione simbolica dei rapporti parentali; un topos, immagine simbolica di un luogo natio”. Si veda G. DAMIANO, Elogio delle differenze, Ed. di Ar, Padova 1999, p. 123.
4) Si veda: I. KANT, Per la pace perpetua, ed. Rusconi, Milano 1997.
5) G.W.F. HEGEL, op. cit., pp. 555-557.