Apocalisse tra venti anni. A porte chiuse
di Debora Billi - 26/10/2006
Beppe Caravita è un giornalista del Sole24Ore, con un bellissimo blog che leggo sempre. E che mi basta come garanzia per prendere molto sul serio ciò che riporta, anche se non conosco la faccia dell'autore. Il post di ieri mi ha fatto "ghiacciare il sangue" , come avrebbe detto mia nonna. Non è la prima volta naturalmente che leggo previsioni disastrose per l'ambiente planetario, e come molti qui avranno capito da un pezzo me ne occupo anche marginalmente, visto che ritengo il problema energetico perfino più pressante. Ma quando si legge, come nel post di Beppe, di illustrissimi scienziati che si riuniscono per un seminario scientifico, e lo fanno a porte chiuse, con ingresso vietato ai giornalisti, e poi per vie traverse si viene a sapere che tutti i partecipanti hanno convenuto che abbiamo i giorni contati, ebbene diventa obbligatorio preoccuparsene. Direi anzi urgente. Direi addirittura assolutamente pressante. Alcune notizie trapelate grazie a gole profonde e giornalisti presenti (in corridoio): - al 2030 quasi tutta l’Australia sarà desertificata. In alcune regioni non piove da sei anni filati e ogni quattro giorni, da quelle parti, si rileva il suicidio di un contadino per fallimento. - da Roma in giù, per quanto riguarda l’Italia, sarà un deserto. - la maggior parte delle città del pianeta diverranno rapidamente delle megalopoli. Un caso è già stato simulato, a modello. Phoenix, con la desertificazione dell'Arizona, è prevista passare da meno di un milione di abitanti (oggi) a 30 milioni al 2030 e a oltre 50 nel 2050. - l’Amazzonia si ridurrà alle dimensioni di una piccola foresta. - altrettanto diverrà il Borneo, oggi foresta pluviale. - Oceani sempre più caldi, e innalzamento del livello dei mari non dovuto tanto allo scioglimento dei ghiacci (che c'è e ci sarà) quanto alla semplice espansione termica delle acque. Leggetevi tutto il post di Beppe. E' assolutamente illuminante. Ma mantenete il segreto: certe cose, ci sembra di aver capito, non si devono sapere. Molto meglio che l'opinione pubblica rimanga all'oscuro... Debora Billi (Petrolio.blogsfere@email.it) Fonte: http://petrolio.blogosfere.it/ Link: http://petrolio.blogosfere.it/2006/10/apocalisse_tra_20_anni_a_porte_chiuse.html 24.10.06 APOCALISSE A VENEZIA DI BEPPE CARAVITA Blogs.it Tra ieri e oggi me n’è capitata una bella, che non posso che raccontarvi qui. Alcuni giorni fa mi invitano a Venezia, a intervistare un professore americano, per la precisione di Harward, che partecipa a un seminario scientifico alla Venice University sul nuovo concetto di sviluppo sostenibile. Bè, il tema mi interessa e ci vado. Arrivo a Venezia e poi a S. Servolo, vado al seminario e poi scopro che è chiuso ai giornalisti. Ovvero a me a un altro collega della Rai, che staziona nelle vicinanze. Perché un workshop scientifico sulla sostenibilità ambientale deve essere chiuso alla stampa? Per non avere scocciatori che fanno stupide domande nella sala? Me lo chiedo, ci passo sopra, faccio la mia intervista al professore (molto accademica) e mi portano alla cena di prammatica. Ho la fortuna di sedere a tavola con due concittadini piuttosto significativi, l’ambasciatore Attilio Cattani, oggi presidente dell’Ice e il direttore generale del Ministero dell’Ambiente Corrado Clini (ex medico del lavoro di Porto Marghera, e tra i primi in Italia a fare il monitoraggio ambientale). Parlo con loro. Scopro che il ministero dell’Ambiente è oggi il più internazionalizzato d’Italia. Che ha attivato 60 progetti in Cina, altri in Irak e nei Balcani. Che crea posti di lavoro ai giovani, competenze pregiate, che promuove nel mondo intelligenza e tecnologia italiana. Questo caso mi colpisce e mi interessa. Corrisponde in pieno alla mia personale visione della pubblica amministrazione futura in Italia. Quasi quasi mi fermo un altro giorno (a gratis) a Venezia, mi dico. E approfondisco la vicenda di questo Corrado Clini, che mi pare persona fuori dal comune. Il giorno dopo, ovvero oggi, incontro per caso a colazione in albergo il mio collega della Rai. Che torna a S. Servolo proprio per una intervista a Clini. Decido di seguirlo, invece di prendere il treno di ritorno per Milano. Arriviamo a S. Servolo. La seconda giornata del workshop già iniziata. E’ appena finita una prima relazione sulle grandi sfide climatiche a ambientali. Clini è disponibile a una intervista sulla sua vicenda, gliela faccio.Intanto però arriva il collega della Rai piuttosto stralunato. Lui da anni si occupa di temi scientifici e ambientali. E mi racconta il tono dello scenario appena delineato da tre esperti. Diana Liverman di Oxford, Hans Schellnhuber, del Potsdam institute of climate change impact, E B.l. Turner della Clark University. Questo scenario dice (per quello che abbiamo appurato, fuori dalla porta): - che al 2030 quasi tutta l’Australia sarà desertificata. In alcune regioni non piove da sei anni filati e ogni quattro giorni, da quelle parti, si rileva il suicidio di un contadino per fallimento. - che da Roma in giù, per quanto riguarda l’Italia, sarà un deserto. - che la maggior parte delle città del pianeta diverranno rapidamente delle megalopoli. Un caso è già stato simulato, a modello. Phoenix, con la desertificazione dell'Arizona, è prevista passare da meno di un milione di abitanti (oggi) a 30 milioni al 2030 e a oltre 50 nel 2050. - Che l’Amazzonia si ridurrà alle dimensioni di una piccola foresta. - Che altrettanto diverrà il Borneo, oggi foresta pluviale. - Oceani sempre più caldi, e innalzamento del livello dei mari non dovuto tanto allo scioglimento dei ghiacci (che c'è e ci sarà) quanto alla semplice espansione termica delle acque. Nessuno dei presenti al workshop (una ventina di esperti), ci dicono, solleva obiezioni a questo genere di previsioni. Questi solo alcuni spunti di uno scenario assolutamente apocalittico, costruito (presumo) sul trend di riscaldamento globale dell’Ipcc (Intergovernmental panel on Climate Change dell’Onu) e su modelli di simulazione delle emissioni antropiche (umane) e del loro impatto. E modelli tra i più aggiornati. Ne avevo già letti in passato di scenari di questo tipo. Come questo o questo. Però si trattava di contributi individuali, malamente tenuti celati o ipocritamente disconosciuti. Qui a S.Servolo, invece, sono venti scienziati, delle più prestigiose università del mondo, a ripetere spontaneamente (ma a porte chiuse) gli stessi concetti. Questo scenario inoltre è costruito sulla base dell’assunto che non si faccia nulla di più, da qui al 2030, per limitare le emissioni dei gas serra. Oltre a quell’autentico palliativo che è il trattato di Kyoto, con i suoi obbiettivi limitati a pochi punti percentuali di riduzione e il suo faticoso mercato di certificati di risparmio di Co2. A cui peraltro non aderiscono né gli Usa (come governo centrale) né soprattutto Cina e India, paesi oggi in fase di accelerato sviluppo economico (e tra i massimi diffusori di gas serra). Non solo. Lo scenario non tiene conto dei cosiddetti feedback positivi, ovvero di quegli amplificatori naturali del fenomeno di riscaldamento che potrebbero attivarsi a causa del riscaldamento antropico stesso. Il più temuto tra questi è lo scioglimento del permafrost, ovvero della tundra ghiacciata (in particolare siberiana) che cela nelle sue viscere enormi quantità di metano, gas serra venti volte più attivo dell’anidride carbonica. Il metano da permafrost potrebbe ulteriormente accelerare l’apocalisse, e rendere concreta la terribile profezia di James Lovelock, contenuta nel suo ultimo libro, di una possibile estinzione della civiltà odierna e anche della massima parte del genere umano. Da oggi al 2030 ci separano 24 anni. Pochissimi per una riconversione energetica planetaria, e su tecnologie in gran parte ancora da sviluppare. Al 2050 i giochi saranno ormai fatti. Per il meglio o per il peggio. Il sottoscritto e il mio collega Rai ci guardiamo nelle palle degli occhi fuori dalla stanza del workshop. Gli chiedo: “tu hai mai sentito di uno scenario del genere fatto da autorevoli professori di Harward, Oxford etc? “. “Mai così terribile. Questi qui stanno ragionando sull’apocalisse – mi risponde”. Capiamo perfettamente, ora, perché i giornalisti non sono stati ammessi nella sala. Chiediamo a Clini un commento. Ammette che lo scenario, nel caso di una prosecuzione delle politiche energetiche basate sulle fonti fossili, prevede un clima compromesso entro la metà del secolo. E poi che la catena dei fenomeni, e dei possibili effetti amplificativi, non è del tutto prevedibile. Clini non usa parole forti. Le misura e pacatamente. Ma ieri sera aveva etichettato questo workshop come una riflessione su un possibile (e credo necessario) progetto Manhattan per salvare il genere umano. Oggi e domani, a S.Servolo si parlerà sul che fare. E come informare la gente di quello che sta per succedere. Ne sta discutendo la neo-fondazione Clinton (i paesi industriali, sostiene, devono mettere in ricerca e investimenti almeno il 5-10% del Pil), ne stanno discutento in tanti, in prevalenza a porte chiuse (per ora). Il seminario della Venice University conferma un dato di consenso ormai emergente e acquisito. Abbiamo al più dieci anni di tempo prima che l’onda ci sommerga, il caldo ci arrostisca (e ci ammazzi l’agricoltura) le migrazioni e le inurbazioni creino conflitti, stragi e guerre, la follia collettiva ci imponga dittature o persino regresso barbarico. Troppo apocalittico? Provate a pensare all’intera Sicilia e Puglia desertificata, a Napoli e Roma megalopoli di baraccati, di guerre per l’acqua e forse il cibo sull’intera fascia (ex) temperata del pianeta. L’attuale crisi politica italiana, al confronto, assomiglia a un’orchestrina suonante (stonata) sulla tolda del Titanic. Credo dobbiamo darci, un po’ tutti, una seria, serissima regolata. Oggi facciamo un sacrificio fiscale (se anche lo facciamo) di poche frazioni del nostro reddito. Dovremmo farne persino di più per finanziare solo la ricerca energetica necessaria a fermare l’apocalisse. Siamo come al solito meschini, egoisti e ridicoli. Ci sono infatti due strade (parallele) per evitarci il disastro: un fortissimo impulso sull’innovazione tecnologica e insieme un ridisegno dei sistemi sociali per renderli il più possibile sostenibili con le condizioni e i trend in atto. L’innovazione tecnologica non implica la fine della democrazia. Semmai l'investimento rapido in nuove fonti compatibili (che ancora in gran parte sono da inventare). Il ridisegno forzato delle società sì, implica una nuova (e forse terribile) fase autoritaria su scala globale. Il motivo è evidente. Si scatenerà una guerra come mai l'abbiamo vista. Ci conviene quindi investire subito, e alla grande, su programmi accelerati nella fusione nucleare, nella fissione di quarta generazione, nel fotovoltaico, nell’eolico di alta quota, nel risparmo energetico, nell’efficienza dei sistemi. Alternativamente dovremo erigere illusorie mura (insanguinate) intorno ai nostri confini e alle nostre città. Inutili mura, dato che poi questi sistemi collasseranno dall’interno. Ci sta provando Bush a creare i presupposti di queste muraglie (Patriot act e similia), ma non fermeranno l’apocalisse. P.s. Putroppo non ho fonti certe nè virgoletatti scrivibili di questo seminario a porte chiuse. Per questo ne affido il (parziale) resoconto a questo blog. Dove conta solo la mia faccia. Date anche un'occhiata a questa presentazione di John Baez E a questa anticipazione, appena arrivata. Beppe Caravita Fonte: http://blogs.it Link: http://blogs.it/0100206/2006/10/21.html#a5920 21.10.06 |