Non è l’oro a dar valore alla moneta, è lo Stato
di Luigi Copertino - 28/02/2019
Fonte: Maurizio Blondet
le preoccupazioni di Annance sono infondate. Il Sole 24Ore, negli articoli segnalati e da te linkati, spiega bene i motivi per i quali non si profila alcun ritorno al gold standard. Le Banche Centrali cercano oro come collaterale in sostituzione dei titoli di Stato, non come sottostante della moneta legale. Paura della volatilità dei titoli e della moneta fiat in un mercato globale, ossia senza più ancoraggio solido dei titoli e delle monete agli Stati? Oppure manovra deflazionista, secondo parametri ordoliberisti, per imporre alle banche commerciali di dismettere i titoli del debito pubblico in loro possesso? Non possiamo saperlo con certezza ma è sicuro che l’oro nei bilanci delle banche non sarà mai moneta almeno fino a quando gli Stati non torneranno ad accettare i depositi aurei come moneta legale o sottostante della moneta legale.
L’idea che sia l’oro a conferire potere d’acquisto alla moneta, anche a quella un tempo aurea, è errata. Il potere d’acquisto al simbolo monetario, di qualunque materiale esso sia, è sempre stato conferito dall’Autorità politica. La moneta non nasce con e dal mercato ma è storicamente ad esso precedente perché connessa alla sfera del sacro ed aveva in origine funzioni votive (Cfr. Andrea Terzi “La moneta”, Il Mulino; Nuccio D’Anna “Le radici sacre della monetazione”, Solfanelli). Quando successivamente nacque l’economia di scambio essa iniziò a svolgere anche la sua attuale funzione ma – attenzione! – soltanto perché la fiducia nello strumento monetario era garantita dall’Autorità sacrale e politica.
La Banca di Svezia e la Banca di Inghilterra nascono nello stesso periodo (sec. XVII) ed entrambe emettevano banconote su base aurea. Ma la prima fallì quasi subito, non appena le gente si accorse che la riserva aurea non era sufficiente a coprire tutta la carta moneta. La seconda no, benché faceva la stessa cosa. Perché? Per il semplice fatto che il re d’Inghilterra, accettando le banconote a pagamento delle tasse, garantì con il suo imprimatur la presunta solvibilità della Banca.
La quale poi prestava allo Stato ed al popolo all’8%. Il re di Svezia non fece la stessa cosa, non assunse il ruolo di garante di ultima istanza. La garanzia sovrana di ultima istanza è quella che induce la gente alla fiducia e la fiducia diventa potere d’acquisto, anche se il simbolo cartaceo è privo di copertura aurea. Infatti, vigente il gold standard, la quantità di banconote è sempre stata superiore all’ammontare delle riserve auree ed era il descritto meccanismo politico-psicologico a garantire la moneta.
Eventi quali lo scandalo della banca romana, a fine XIX secolo, oppure la fine di Bretton Woods, provocata dalla massa di dollari americani superiori alle riserve di Fort Knox, che De Gaulle chiese di convertire in oro costringendo Nixon a dichiarare la fine del gold standard, attestano che la massa di moneta fiat in circolazione è sempre stata, anche in passato, superiore ai depositi aurei, senza per questo perdere potere d’acquisto.
Sul sito del Sole 24Ore, da te linkato, c’è anche una intervista al direttore di Bankitalia, Salvatore Rossi, il quale alla domanda “Nel ritorno d’interesse per l’oro c’è anche una critica alla finanza, sempre più complessa e dematerializzata?” risponde chiaramente “Non credo. La finanza moderna, che è fatta ormai di bit, è imprescindibile. Non si può tornare ad asset solo materiali o magari addirittura al baratto: vorrebbe dire che si torna indietro nello sviluppo. Non c’è alternativa tra materialità e immaterialità ma piuttosto la riscoperta della loro complementarità in tempi di grande incertezza” e poi aggiunge “ce l’ha insegnato la storia: l’oro conserva il suo valore solo se non si cerca di spenderlo in grandi quantità. Ci provarono anche i nazisti nella seconda guerra mondiale, ma scoprirono che è difficile, molto difficile”.
Che gli Stati possano tornare ad accettare l’oro come moneta legale è cosa sempre possibile ma sarebbe un ritorno a concezioni quantitativiste e mercatiste (“la moneta merce”) superate da secoli ed attualmente seguite soltanto dagli economisti neoclassici, di scuola austriaca, monetaristi ed ordoliberisti. Ossia da tutti coloro che applaudono all’austerità eurista intesa come sostituito normativo del vecchio gold standard. A costoro infatti piace la deflazione mentre temono l’inflazione. La rarità dell’oro è deflazione naturale e quindi retrocessione e recessione dell’economia.
Va poi osservato che Annance è male informato sulle posizioni assunte da Keynes a Bretton Woods. E’ vero che Keynes ha ipotizzato una moneta globale ma soltanto come unità di conto, il “bancor”, non dunque come valuta circolante. Le valute sarebbero restate plurime – ossia nessuna valuta mondiale – ma legate, con tasso semi-flessibile, al bancor che sarebbe servito per compensare le transazioni tra nazioni in modo da aiutare quelle più deboli ed impedire la formazione di surplus di quelle più forti. Oggi nell’Unione Europea servirebbe qualcosa del genere per costringere la Germania a stare alle regole. Keynes, a Bretton Woods, si è battuto per la demonetizzazione dell’oro. Furono invece gli americani ad imporre il gold exchange standard – tutte le valute convertibili in dollari e questi in oro – per imporre l’egemonia della valuta statunitense. Fino al 1971, quando Nixon pose fine agli Accordi di Bretton Woods e dichiarò l’inconvertibilità in oro anche del dollaro.
Ma, a dimostrazione che non era la copertura aurea a conferire potere di acquisto e valore alle banconote, il sistema monetario mondiale non crollò come sarebbe dovuto accadere se fosse stato l’oro a dare valore alla carta moneta. Attenzione, dunque, a non cadere nella nostalgia del tallone aureo, un passato che è molto difficile torni e che, ripeto, si basava su una concezione errata perché, anche a quei tempi, non c’era oro sufficiente per coprire tutte le periodiche emissioni di carta moneta. Eppure questa, quella in sovrappiù, circolava e funzionava benissimo lo stesso. Cari saluti.