La base e il limite della democrazia è il relativismo
di Francesco Lamendola - 02/03/2019
Fonte: Accademia nuova Italia
È inutile girarci attorno; andiamo dritti al punto: la democrazia sgorga dal relativismo e il relativismo è l’orizzonte della democrazia. Perciò, per essere democratici sino in fondo, bisogna essere relativisti; chi non accetta il relativismo, non accetta sino in fondo la democrazia. Può piacere o non piacere, ma è così; e non ci sono chiacchiere di sofisti che possano modificare d’una virgola questo stato di cose. La democrazia non è solo un sistema di governo, è anche l’espressione di una antropologia; e infatti il suo padre nobile è Rousseau, uno che credeva nella bontà originaria dell’uomo e sosteneva che la cattiveria viene all’uomo dalla società. È un’idea tanto puerile quanto gratuita, che si commenta da sola; ma è l’idea di Rousseau; ed è un fatto che su questa idea poggia tutto l’edificio ideologico della democrazia. Senza l’idea di una bontà originaria dell’uomo, risulta difficile, se non impossibile, sostenere che gli uomini, in quanto somma dei cittadini, hanno sempre ragione, o meglio che la maggioranza di essi ha sempre ragione; risulta difficile fondare l’idea stessa di sovranità popolare, a meno di ammettere che la democrazia può trasformarsi in un vero e proprio manicomio istituzionalizzato, dove la maggioranza afferma di aver sempre ragione e impone la sua “verità” per legge, anche a dispetto dell’evidenza e del buon senso. Come poi Rousseau riesca a fare il salto mortale dall’innocenza originaria dell’uomo, anzi, del bambino, alla diffusa cattiveria presente nel mondo, e di cui la società sarebbe la causa e la sorgente, è cosa che riguarda lui; lui e quelli che prendono sul serio le sue farneticazioni sul buon selvaggio e sul concetto medesimo di sovranità popolare. Ma è così. Tutte le democrazie moderne si reggono su questo assunto balzano, indimostrato e indimostrabile: che l’uomo è buono per natura; e che, con opportuni provvedimenti e accorgimenti, è possibile eliminare la minaccia della cattiveria, che gli viene dall’esterno (come se la società fosse l’esterno, e non la normalissima condizione di vita di tutti gli esseri umani) e preservare una società ordinata e rivolta al bene comune, in cui prevale il diritto di natura. Un’altra cosa che Rousseau, sulla scorta dei giusnaturalisti, dà per scontata, ma che nessuno ha mai visto e nessuno vedrà mai.
È un discorso sgradevole, questo? Può darsi: ma si provi a dimostrare che è sbagliato. È, semmai, un discorso politicamente scorretto: il più politicamente scorretto di tutti. Logico: non solo viviamo in democrazia, ma siamo stati educati a pensare che la democrazia è il Bene, il solo Bene possibile. Vedremo poi che questa idea è una contraddizione in termini, perché la democrazia si fonda sul relativismo, e quindi non può ammettere alcun valore con la maiuscola, alcun valore assoluto. Ma non importa: la democrazia ha la forza, la forza dei numeri: e dunque può anche proclamare che a mezzanotte splende il sole e che a mezzogiorno brilla la luna, e nessuno glielo potrà impedire, anzi, nessuno sarà autorizzato a negarlo. Chi contesta i fondamenti della democrazia non merita alcuna indulgenza; la tolleranza, il mantra illuminista e volterriano su cui si regge la sovrastruttura buonista della democrazia, costruita allo scopo di celarne la vera essenza, intollerante e totalitaria, è concessa solo a quanti accettano i postulati della democrazia stessa. Non ci si faccia illusioni su questo punto: la democrazia è intrinsecamente intollerante, anche se vuol far credere il contrario. Locke, per esempio, proprio nel suo Trattato sulla tolleranza, negava la tolleranza ai cattolici e agli atei; e Voltaire, che proclamava con enfasi il diritto al dissenso, esortava poi a schiacciare l’infame che, a suo parere, negava il principio di tolleranza e che era, guarda caso, il cattolicesimo. Questo ricorrere del cattolicesimo nel libro nero dei padri del principio di tolleranza, come Locke e Voltaire, che a sua volta è la maschera preferita indossata dalla democrazia, ha una precisa ragion d’essere. Il cattolico crede in un Dio unico, che è la Verità; crede che Egli solo, oltre che creatore e redentore, sia l’ordinatore dell’universo, e quindi anche delle cose umane; crede, in altri termini, che a Lui solo spetti l’obbedienza e la fedeltà assoluta degli uomini. Il vero cattolico è prima di tutto un fedele del suo Dio, e poi è un cittadino di questo o quel tipo di stato, con questo o quel tipo di governo. Ma la democrazia è allergica a ogni forma di assoluto e ad ogni gerarchia, mentre il l’idea cattolica è un’idea assoluta e gerarchica. Chi sostiene la bontà e la necessità di un governo totalitario, è per forza di cose anticattolico, perché il Dio cattolico è un Dio geloso, e non consente ai suoi fedeli di anteporgli alcun altro feticcio, alcun’altra verità. Non stupisce, perciò, che gli imperatori romani abbiano lungamente perseguitato il cristianesimo, in quanto i cristiani avevano la pretesa di onorare lo Stato, ma di adorare Dio solo, e non la persona dell’imperatore: una riserva mentale altamente significativa, perché implica una fondamentale distinzione fra il credente e il cittadino. E neppure dovrebbe stupire che il primo Stato democratico, la Repubblica francese del 1793, abbia perseguitato i cattolici: la ragione è sempre la stessa, con la sola differenza che nell’antica Roma lo Stato difendeva il principio della monarchia assoluta, nella Francia giacobina lo Stato difendeva il principio della sovranità popolare assoluta, cioè della democrazia totalitaria. Ma la democrazia – ecco il punto – è sempre totalitaria. Non ci si lasci ingannare dalle apparenze. La democrazia non è solo soggetta a degenerare, cioè a trasformarsi in oligarchia finanziaria mascherata, grazie al controllo dei mezzi d’informazione e degli strumenti della formazione culturale e sociale; è essa stessa, per sua natura, totalitaria, perché non potrà mai ammettere che si metta in discussione la sua vera base ideologica: il relativismo. Chi tocca il relativismo non merita tolleranza, deve essere eliminato. Ecco perché il vero cristiano è un cittadino guardato con diffidenza e sospetto dal potere, sia esso monarchico, come nell’antica Roma, o repubblicano, come nel mondo moderno. E la democrazia, in questo, non è sostanzialmente diversa dall’autocrazia dell’antica Roma, o da quella della Russia zarista.
Il problema è che i cattolici odierni non lo sanno: se lo sono scordato. Si sono scordati che il loro unico modello è Gesù Cristo e che la visione cattolica è altamente gerarchica. Anche a livello morale: c’è una gerarchia di valori; i valori non giacciono tutti sullo stesso piano: salvare gli animali è un valore, ma difendere la vita umana è un valore più grande (in India, una recentissima sentenza stabilisce che, per tutelare la fauna indigena, milioni di esseri umani devono essere espulsi dalle foreste e gettati allo sbaraglio). Alcuni, poi, che sono considerati valori dalla società laica, per il cristiano non lo sono affatto, e talvolta sono disvalori o peccati veri e propri. Un esempio: obbedire alle leggi dello Stato, per la cultura laicista, è un valore sempre e comunque. Però se le leggi dello Stato prevedono il divorzio, l’aborto, l’eutanasia, e le unioni omosessuali, e ciò è ormai realtà in tutta Europa, il cattolico viene chiamato ad obbedire a degli atti che contrastano frontalmente con la morale religiosa (e anche con quella naturale, a dire il vero; ma questo discorso ci porterebbe troppo lontano e soprattutto ci porterebbe lontano dal nostro assunto): cosa che evidentemente non può fare. Se lo fa, è perché è un cattolico moderno: vale a dire un modernista, ossia un non cattolico. Ma siccome la finzione generale è assicurata ad ogni livello, siccome il vertice stesso della Chiesa, a partire dal Concilio Vaticano II, si è posto sulle posizioni della modernità, ha introiettato la sua prospettiva e ha fatto propri i suoi dogmi fondamentali, succede che milioni di cattolici non percepiscano nemmeno la contraddizione, e si credono ancora cattolici, mentre hanno cessato da un pezzo di esserlo. Un cattolico che tradisce la morale cattolica, evidentemente è cattolico solo di nome. E si dà il caso che fra i dogmi fondamentali della modernità ci sia la democrazia. In effetti, la democrazia è solo una proposta occidentale; il resto del mondo non sempre l’ha accolta, e in parecchi casi non ne vuol proprio sapere (vedi la Cina, ma vedi anche molti Paesi islamici): eppure, i cattolici moderni, più realisti del re, e specialmente il clero apostatico della neochiesa attuale, danno per scontato che per essere dei buoni cattolici bisogna essere anche dei buoni, anzi, degli ottimi seguaci della democrazia, senza se e senza ma. E la cosa più grave non è neanche questa adesione acritica e incondizionata al dogma della democrazia, che porta con sé il principio della sovranità popolare e quello della libertà individuale, entrambi incompatibili con la dottrina cattolica (le leggi di Dio non si discutono e non esiste la libertà di sbagliare, rifiutando la Verità divinamente rivelata), bensì l’idea che lo sottende e che lo fonda: cioè che non esiste una verità assoluta, ma che esistono solo delle verità relative e che la società ha il dovere di seguire le norme stabilite di volta in volta, e continuamente riviste e aggiornate. In questa prospettiva, tipicamente democratica, domani potrà essere giusto e lecito quel che oggi è pessimo o cattivo; ma è evidente che un cattolico non può e non deve pensarla così. Per il cattolico, ciò che Dio ha stabilito una volta è vero per sempre, sino alla fine dei secoli. Per fare un esempio; se Gesù ha detto: l’uomo non separi ciò che Dio ha unito, questa non è una verità relativa, non è una norma transitoria, che domani potrà essere cambiata, se la società avrà cambiato le sue convinzioni a proposto del matrimonio; è una legge destinata a restare immutata e incrollabile. Certo, un clero apostatico, desideroso di comodità e aggiornamenti, potrà sempre dichiarare che tale mutamento morale e dottrinale è possibile, in nome di una lettura storicistica del Vangelo; ma è chiaro, se appena si possiede un minimo di onestà intellettuale, che si tratta di miseri espedienti per aggirare la legge, che si qualificano da soli per ciò che in realtà sono.
Attenzione. Non stiamo dicendo che la democrazia deve essere rigettata e sostituirla con qualcosa che sia di minor valore di essa; stiamo dicendo che nel principio democratico c’è il relativismo, e che il relativismo è agli antipodi della visione cristiana della vita, morale compresa. Da ciò non discende che il cristiano debba essere in guerra con la democrazia; ma non discende neppure il contrario, come insegnano, mentendo, i neoteologi e i neopreti della neochiesa, ossia che il cristiano debba considerare la democrazia come un’acquisizione definitiva e irrevocabile del pensiero politico e della prassi politica. Quale errore macroscopico, identificare questo o quel sistema politico, economico sociale, filosofico, sociologico, psicologico, con qualcosa di definitivo e irrevocabile, quando la sola cosa definitiva e irrevocabile, per il cristiano, è il Vangelo di Gesù Cristo! Tutti i mali della cristianità moderna derivano da questo abbaglio, da questo equivoco, peraltro alimentati ad arte da un clero apostatico e infedele: che, per essere al passo con i tempi, i cristiani si devono adeguare alla realtà del modo secolarizzato e devono perciò accogliere come acquisizioni imprescindibili le “conquiste” della civiltà moderna. Niente affatto: tanto più che la civiltà moderna nasce da un progetto di rifiuto deliberato della civiltà europea, che è la civiltà cristiana, la civiltà delle cattedrali, di San Tommaso d’Aquino e di Dante Alighieri. L’Europa non ha un’altra civiltà; quella dell’Enciclopedia, dei philosophes, dei filantropi a senso unico e dei progressisti totalitari, non è una civiltà, ma una anticiviltà, una negazione della civiltà. Quella dei Pannella e delle Bonino, quella che addita il divorzio, l’aborto, l’eutanasia e le unioni omofile come conquiste del vivere civile, non è una civiltà, ma una macchina da guerra per distrugger la civiltà e per spegnere nell’uomo la coscienza della propria vera natura e della propria vera meta, che è la Verità rivelata da Dio stesso, autore e signore di tutte le cose, del tempo e della storia, della natura e della sopra-natura. Dio è l’alfa e l’omega, è il senso e il fine, è la causa e la ragion d’essere di tutto ciò che esiste; e l’uomo, creatura dotata di ragione, gode dell’immenso privilegio di sapere e di conoscere tutto questo e di poter collaborare, in un certo senso, alla creazione di Dio, che prosegue in lui attraverso l’uso responsabile della libertà. L’uomo è la sola creatura che può dire sì oppure no alla proposta d’amore del suo Creatore: questa è la sua grandezza, non ciò che egli può fare da solo, in quanto creatura, con i suoi soli mezzi naturali, la ragione e la volontà, per quanto grandi possano essere le sue conquiste e le sue realizzazioni artistiche, filosofiche, scientifiche e tecnologiche. E se Dio, e Dio solo, e non un Dio qualunque, ma il Dio che si è rivelato attraverso la Persona di Gesù Cristo, è la stella polare della nostra esistenza, a Lui solo dobbiamo guardare e non a quelli che dicono: Signore, Signore!, e poi vanno per la loro strada e fanno quel che vogliono; e meno ancora dobbiamo ascoltare quelli che in teoria sarebbero i pastori del gregge di Cristo, ma poi si permettono di affermare che Dio non è cattolico, e tradiscono il mandato ricevuto, e si comportano non già come dei veri pastori, ma come dei lupi travestiti da pastori, seminando la confusione, lo sconcerto, l’amarezza e il dolore fra le anime che dovrebbero custodire. La loro responsabilità è immensa, incalcolabile: il Buon Pastore è pronto a dare la sua vita per le pecorelle del gregge, ma loro si servono del potere di cui dispongono per allontanare le pecorelle da Cristo. Come li si deve chiamare, se non traditori? Pugnalano i fedeli alle spalle; abusano della fiducia che ispira il loro ruolo e inducono le anime in errore. Assicurano che il male non è più male e che Dio sopporta i nostri peccati, senza parlare del dovere di pentirsi e cambiar vita; affermano che il perdono è per tutti, indipendentemente dal pentimento e dalla conversione. Non sono più cristiani, ma relativisti e progressisti; democratici, non sudditi del Regno di Dio; amici di questo mondo, non di Gesù Cristo...