Lo sviluppo che crea insicurezza
di Ernesto Galli della Loggia - 07/03/2019
Fonte: Corriere della Sera
Quando venni in questa via dove oggi è il mio studio, in un quartiere semicentrale di Roma, nel giro di cento metri c’erano un bar, un tabaccaio, una tintoria, un negozio di alimentari e una trattoria. Poco più lontano, diciamo in un raggio al massimo di 500 metri, un’edicola di giornali, un barbiere, e un idraulico; pochissimo oltre un ufficio postale. Oggi tutti questi luoghi sono scomparsi, cancellati o adibiti a usi assai diversi. Sopravvivono solo il tabaccaio, la trattoria e il bar, ma anche quest’ultimo non se la passa troppo bene: infatti, a causa dell’aumento dell’affitto del locale e della sua gestione familiare che non gli consente di tenere aperto dopo le 8 di sera senza assumere un dipendente, ha deciso di passare la mano. Ora al posto della tintoria sta per aprire un pub, al posto del negozio di alimentari una birreria. Tra poco, insomma, qui intorno saranno ancora di meno i commerci o le attività utili alla vita quotidiana. È difficile scrivere di queste cose senza esporsi immediatamente a un’ovvia obiezione: «Ma cosa vorresti allora? Fissare in eterno le licenze commerciali esistenti, impedire l’evoluzione dei gusti e dei consumi, bloccare il progresso, lo sviluppo economico?». Non sia mai. Sono il primo ad apprezzare le ragioni dello sviluppo e dell’economia. Il punto è però che tali ragioni, oltre che sul reddito di ciascuno di noi, incidono su molte altre cose che non sono proprio tanto indifferenti, essendo le cose che alla fine definiscono cos’è una società. Le ragioni dell’economia infatti, cambiando, cambiano il lavoro delle persone, le abitudini di ogni giorno, i luoghi e gli ambienti in cui si vive, dunque l’esistenza stessa di quelle persone, i rapporti tra di loro e quelli loro con il mondo. Alla fine, insomma, le ragioni dell’economia determinano in misura decisiva il carattere e il mutamento della società.
È stato sempre così. Ma da qualche tempo tale mutamento ha preso un ritmo nuovo, incalzante, e ha cominciato a coinvolgere strati sociali che prima erano toccati abbastanza marginalmente o comunque in modo non drammatico. È divenuto un mutamento con un carattere radicale. La ragione principale sta nel fatto che lo sviluppo economico attuale avviene sempre di più all’insegna di uno sviluppo tecnologico impetuoso, caratterizzato da una straordinaria penetrazione capillare non solo in ogni ambito del lavoro ma anche della vita in generale. Fino a pochissimi decenni fa, in pratica era pressoché solo il lavoro operaio dell’industria che risentiva — spesso drammaticamente — del mutamento dei processi produttivi dovuto all’innovazione tecnologica. Ma per il resto il lavoro professionale e impiegatizio, le attività artigianali, il lavoro agricolo, il commercio, erano sostanzialmente al riparo dal carattere continuo dell’innovazione suddetta (un vero mutamento al loro interno avveniva sì e no a ogni generazione). Lo stesso a un dipresso poteva dirsi per il contesto ambientale nel quale l’esistenza delle persone si svolgeva. Le vie di un quartiere, la destinazione degli edifici, i luoghi di un paesaggio restavano a lungo i medesimi. Anche qui le trasformazioni, se pure avvenivano, avevano tuttavia tempi mediamente lunghi, ciò che consentiva una facile possibilità di assuefazione. La permanenza nel tempo dei caratteri del lavoro corrispondeva alla permanenza delle persone nel proprio lavoro, ed entrambe corrispondevano a loro volta alla stabilità dei contesti anche i più privati. Oggi invece, l’avvento dell’ e-commerce può cancellare in pochi mesi decine di negozi mutando la fisionomia di una strada, l’apertura in un condominio di un bed and breakfast — apertura resa possibile dall’uso del portale «Airbnb» — può mutare in modo significativo la qualità della convivenza all’interno di quell’edificio. Così come, per dirne un’altra, la diffusione del cibo pronto acquistabile in un supermercato o con un colpo di telefono (un sommarsi di progresso tecnologico e di innovazione imprenditoriale) muta potenzialmente alla radice le dinamiche della vita familiare e della convivialità.
L’attuale quadro politico delle società europee, quello dell’Italia in particolare, sono profondamente segnati da questo incalzante mutamento a tutto campo che obbliga tutti, volenti o nolenti, a mutare pure loro. Si tratta però di un mutamento doloroso che produce senso di precarietà e d’insicurezza, di spaesamento, specialmente (qui è il punto a mio avviso decisivo) in gruppi sociali e in ambiti che in precedenza si ritenevano al riparo da scosse troppo violente. Tutto ciò sta producendo sul piano politico una novità potenzialmente dirompente. Tale novità consiste nel passaggio ad una collocazione fortemente critica o addirittura all’opposizione rispetto al sistema politico da parte di quote consistenti di settori sociali (professionisti, impiegati, agricoltori, commercianti) che per l’innanzi invece erano portati a identificarsi con il sistema stesso e la sua ideologia, mentre ora si spostano perché colpiti direttamente e duramente per la prima volta dalle trasformazioni indotte dallo sviluppo economico e tecnologico. È precisamente un fenomeno del genere che spiega la nascita avvenuta negli ultimi anni un po’ in tutta Europa di movimenti e partiti ostili al tradizionale establishment liberal-cristiano-socialdemocratico, e caratterizzati da una base in prevalenza certamente non di tipo operaia e neppure tipicamente popolare, a cominciare qui in Italia dai 5 Stelle e dalla Lega salviniana. Il nazional-populismo che li caratterizza più o meno tutti (dalla Polonia all’Olanda di Wilders, alla Francia dei gilet gialli, alla Germania dell’Afd, alla Cechia, alla Danimarca) esprime essenzialmente la diffusa avversione contro le élite tradizionali, viste come una «Casta» la cui ideologia euro-internazionalista, liberista in economia, si sarebbe mostrata incapace di protezione contro i mutamenti traumatici frutto, non solo sul piano economico ma anche su quello culturale (vedi l’immigrazione), di trend mondiali e di uno sviluppo tecnico-capitalistico lasciati liberi di operare a loro piacere. Ma se questa analisi sommaria ha qualche fondamento allora vuol dire che in Europa, a meno che le sue classi dirigenti non riescano a riprendere miracolosamente in mano la situazione, si stanno creando le premesse né più né meno che per la disgregazione della base sociale su cui ha poggiato il sistema politico e l’insieme dei valori pubblici che hanno tenuto il campo a partire dal 1945. Mette un brivido soltanto immaginare con quali possibili esiti.