I rischi dello sviluppo infantile
di Rob Baker - 31/10/2006
In questa intervista, Joseph Chilton Pearce analizza i periodi delle delicate trasformazioni neuronali che avvengono nelle diverse fasi dello sviluppo infantile e di come il parto indotto, la separazione dalla madre, e più avanti la televisione e la mancanza di socialità limitino le potenzialità umane. | |
Trenta anni fa, Joseph Chilton Pearce ha rinunciato a una carriera di professore universitario di Lettere, “stanco del cieco che guida il cieco, perché c’erano troppe buche”. Si mise allora a studiare i problemi dell’educazione americana, individuando l’origine di molti di essi non solo in un’errata educazione primaria e in difficili rapporti tra genitori e figli, ma anche nello sconvolgimento psicologico causato da ciò che definisce “l’interferenza medica nel processo naturale del parto”. Pearce ha esposto le sue teorie in molti libri, tra cui L' incrinatura nell'uovo cosmico e The Magical Child. In The Bond of Power ha raccontato l’influenza esercitata sulle sue idee dal compianto Swami Muktananda, che era diventato il suo insegnante. Pearce, che sta attualmente rivedendo un nuovo libro intitolato Evolution’s End, ha tenuto un seminario di due giorni all’Open Center di New York City. Questa intervista è stata fatta subito dopo una sessione di un giorno intero al centro.
Rob Baker: Nei racconti tradizionali c’è spesso un tesoro al centro del labirinto, della foresta, del castello dalle innumerevoli stanze. Per arrivare là, al cuore delle cose, bisogna affrontare sfide e difficoltà infinite, e percorrere molti vicoli ciechi. Ma l’evoluzione stessa dell’uomo non è forse a sua volta un labirinto o un dedalo, fatto di strade sbagliate, vicoli ciechi e sfide lungo il cammino? Joseph Chilton Pearce: L’evoluzione umana è certamente un notevole labirinto che si apre o chiude a vari stadi della vita. In ogni punto è possibile prendere un numero infinito di strade. Il cervello, operando in modo molto selettivo, determina la via da prendere, escludendo in tal modo tutte le altre strade. Conosciamo due periodi durante i quali si fa una grande “pulizia” nei neuroni cerebrali. Uno è subito prima della nascita, quando certe neurostrutture funzionali, adatte solo alla vita uterina, vanno decostruite, altrimenti diventano un bagaglio in eccesso, un peso e un ostacolo. Ebbene, questo è importante sotto molti punti di vista. Se non sviluppiamo queste strutture “in utero”, e se quella pulizia subito prima della nascita non avviene, ci troveremmo nei guai. Continuamente, nel corso dell’evoluzione, si sviluppano stati, strutture, facoltà e capacità temporanee. Dobbiamo sviluppare queste ultime efficientemente e completamente, per poi andare oltre. Se non le sviluppiamo, o se ci blocchiamo senza andare al di là di esse, l’evoluzione si interrompe, e il sistema dell’io – il nostro io passionale e individuale – non può maturare. La successiva pulizia, che ha luogo all’età di undici anni, è ugualmente delicata. Se non avvenisse, il bambino non sarebbe mai in grado di socializzare o di lavorare con quella grande disciplina mentale necessaria per lo sviluppo di un’intelligenza superiore. Ma allo stesso tempo, per la mancanza di stimoli ambientali e di guida, il bambino medio a questa età perde ben l’ottanta per cento delle sue connessioni neurali, cioè una larga percentuale delle capacità cerebrali. Rob Baker: Quando queste connessioni vanno perdute, ciò non provoca vicoli ciechi nel labirinto del cervello stesso? Joseph Chilton Pearce: La capacità di operare mentalmente tramite il processo che Piaget ha definito Pensiero operativo concreto può essere sviluppata dai sette agli undici anni. La natura fornisce una grande crescita neurale, all’età di circa sei anni, per coprire questo potenziale. Tale crescita dà al cervello di un bambino una capacità neurale pari a cinque, sette volte quella di un cervello adulto. All’età di undici anni, nei piani della natura è previsto lo sviluppo di altri programmi per l’esplorazione del mondo, e il cervello secerne una sostanza chimica che atrofizza tutte le zone neurali prive di mielina (ovvero quelle zone poco sviluppate o utilizzate). La natura “fa pulizia” per rendere possibile facoltà intellettuali molto più limitate, ma anche più disciplinate, che Piaget ha definito Pensiero operativo formale. Quelle strutture neurali non usate nello sviluppo del pensiero operativo concreto, che è il fondamento di quello formale, adesso sarebbero di impaccio, ostacolerebbero le operazioni, e quindi vengono eliminate. Il potenziale di quella grande massa è a quel punto praticamente finito, benché si stia aprendo una nuova possibilità. “Usalo o perdilo” è la massima della natura. Sfortunatamente, in quel periodo intermedio dell’infanzia perdiamo circa l’80 per cento del nostro potenziale. Ci si chiede cosa potrebbe provocare all’evoluzione umana una perdita anche solo del 10 per cento in meno, cioè uno sviluppo maggiore del “bambino di mezzo”. Rob Baker: Qual è la relazione di tutto ciò con le teorie di Paul MacLean su quello che definisce il “cervello uno e trino”? Joseph Chilton Pearce: Paul MacLean era, nel NIMH (L’Istituto Nazionale della Salute Mentale), il direttore del dipartimento degli studi sull’evoluzione del cervello e del comportamento. Dopo decine di anni di ricerche, egli ha scoperto e chiaramente definito le funzioni dei tre distinti cervelli nella nostra testa. Questa non è più considerata teoria, ma un fatto evidente. Al livello inferiore, più legato alla dimensione fisica, c’è il cervello rettiliano, che condividiamo con tutti gli animali, i rettili e gli anfibi; esso sovrintende ai movimenti corporei, l’abilità motoria, le impressioni sensoriali, la sopravvivenza dell’io e della specie. Ovvero, esso ha a che fare con il cibo, il sesso e gli impulsi territoriali. Poi, c’è quello che MacLean definisce l’antico cervello dei mammiferi, che il genere umano condivide con tutti i mammiferi, e che governa le relazioni, le emozioni, il sistema immunitario, l’autoguarigione, l’apprendimento e la memoria, i bioritmi e i legami affettivi. Il terzo cervello, la neocorteccia, riguarda la creatività e l’intelletto, e negli esseri umani è abbastanza grande. In un essere umano funzionante al cento per cento, esiste una perfetta integrazione ed equilibrio tra i tre sistemi cerebrali: il sistema “R”, o cervello rettiliano, che entra in funzione solo nelle attività fisiche; la struttura limbica, o il vecchio cervello dei mammiferi, che riguarda esclusivamente i sentimenti e le emozioni; e la neocorteccia, che concerne quello che solitamente definiamo “pensiero”. Ma quando queste connessioni non funzionano correttamente, il pensiero spesso entra in corto circuito, diventa emotivo e può anche perdersi in una violenta attività territoriale, tipo “difesa-della-specie”. In quel caso, il vecchio cervello dei mammiferi o quello rettiliano hanno preso il sopravvento. Rob Baker: Hai parlato di diversi elementi, nella vita moderna, che finiscono con l’inibire gravemente lo sviluppo dell’intelligenza di un bambino. Uno è il fatto che nei paesi occidentali quasi tutte le nascite avvengono negli ospedali, e non utilizziamo quasi più ostetriche. Joseph Chilton Pearce: Il parto tecnologico, che implica lavoro indotto, il taglio prematuro del cordone ombelicale, l’uso di antidolorifici per la madre e il monitoraggio dell’utero, provoca danni a molti livelli nello sviluppo successivo del neonato. Inoltre, quando c’è una separazione tra la madre e il neonato subito dopo la nascita, si produce uno shock psichico. Tutto ciò è pericoloso e distruttivo, ma tali processi a volte diventano istituzionalizzati e si perpetuano da soli. Rob Baker: Quali sono le differenze con un tipo di parto più naturale, come quello praticato dalle culture tradizionali? Joseph Chilton Pearce: Nel parto naturale c’è un legame affettivo, basato sul cuore, che può dare origine alla coesione sociale. W. G. Whittlestone, un laureato in Medicina all’Università di Adelaide, in Australia, è stato uno dei primi a scoprire, qualche anno fa, un legame diretto tra il battito cardiaco della madre e lo sviluppo dell’embrione. Tra i due cuori “in utero” si crea una connessione, o un legame, che deve essere ristabilito alla nascita. Se questo avviene, ogni cuore manda un segnale al cervello e quest’ultimo cambia di conseguenza il suo funzionamento. Nel nuovo ambiente si determina un legame, stabilendo un’implicita continuità nella diversità. Sempre, nel corso della storia, le madri hanno portato i neonati al seno sinistro, subito dopo la nascita. Non importa se siano mancine o destrimani; mettono il bambino vicino al cuore, in modo che ci sia un contatto tra il cuore del neonato e quello da cui si è appena separato, e possa esserci una continuità, una connessione dei cuori, anche nel nuovo ambiente. Se alla nascita questo non accade, può esserci un incremento di steroidi surrenali che, dopo circa 45 minuti, fa perdere consapevolezza al neonato, mettendolo sotto shock. La natura impiega circa tre mesi per compensare il danno, e diamo per scontato che il bambino dia pochi segni di consapevolezza fin verso la decima o dodicesima settimana dopo la nascita. Del tre per cento dei bambini che negli Stati Uniti nascono a casa, molti sorridono immediatamente dopo il parto e mostrano un rapido sviluppo, semplicemente perché non entrano nello shock, ma ricevono amore e nutrimento materni sin dall’inizio. Rob Baker: Quali sono gli altri fattori che impediscono lo sviluppo, a parte il parto tecnologico? Joseph Chilton Pearce: Il parto tecnologico è il primo della lista. Poi vengono il baby-sitting e il collasso della famiglia. Il baby-sitting fa danni molto più profondi di quanto la maggior parte della gente si renda conto. Infatti, il bambino non ha più un modello fisso su cui basare la sua immagine del mondo. Il modello deve essere costante, altrimenti la consapevolezza del neonato o del bambino va in frantumi. Ma trovare un modello costante nel baby-sitting è un problema. Uno studio sul baby-sitting, durato due anni e condotto negli Stati Uniti, mostrava nelle analisi del sangue di questi bambini livelli pericolosamente alti di steroidi surrenali connessi allo stress e l’ansia. Quando il cervello giovane è sovraccarico di steroidi surrenali, va in stato di shock. Questo accade spesso quando i bambini con meno di quattro anni vengono separati dalla madre per più di due ore. Il successivo fattore negativo è la televisione. Gli studi del dr. Keith Buzzell, Jerry Mander, Mary Jane Healy e altri mostrano che il danno della televisione ha poco a che fare con i contenuti, ma riguarda l’unione sincronizzata di suoni e immagini. Questo crea una contraffazione sintetica di ciò che il cervello dovrebbe produrre in risposta al linguaggio, per esempio quando ascolta le favole. La mente del bambino si assuefa a questo binomio suoni-immagini, e le strutture corticali superiori smettono di funzionare. Lo studio di Paul MacLean mostra in che modo, attraverso l’assuefazione, l’antico cervello rettiliano prende il controllo dell’elaborazione dei dati sensoriali, mentre il resto del cervello resta inattivo senza fare nulla, perché non è necessario. Il cervello usa le stesse strutture neurali ogni volta che la TV si accende, e pochissime strutture superiori vengono sviluppate. Esse restano semplicemente inattive, senza che si sviluppi la capacità di creare interiormente delle immagini. Rob Baker: Hai citato un bellissimo caso: una bambina… Joseph Chilton Pearce: …che diceva di amare le immagini sulla radio molto più di quelle televisive, perché erano assai più belle. Quando si ascoltano le favole, lo stimolo delle parole provoca la produzione di immagini interiori, uno straordinario gioco creativo che coinvolge il cervello intero. Ogni nuova favola richiede un nuovo insieme di connessione neurali e la riorganizzazione dell’attività visiva interiore: per il cervello è una grande sfida. La televisione, fornendo sinteticamente tutta quell’azione, attiva sempre lo stesso, limitato numero di strutture neurali, a prescindere dai programmi, perché il lavoro del cervello è già stato svolto dalla TV. Questa è assuefazione. Quindi, il potenziale neurale non si realizza e lo sviluppo viene menomato, a meno che non diamo al bambino anche il gioco e le favole, oltre alla TV, o meglio al posto della TV. Poi, naturalmente, la televisione ha completamente soppiantato la radio come mezzo attraverso cui ascoltare storie, trasformando quest’ultima in una semplice scatola musicale. L’altra cosa che la televisione ha fatto è stato eliminare il gioco tra i genitori e i figli in circa il 70 per cento delle case americane. Ha anche eliminato la conversazione al tavolo e “le favole della nonna”. Tutto ciò è scomparso. Anche la famiglia allargata è poco meno che sparita. Rob Baker: Hai parlato dell’importanza del divertimento, dei giochi tra bambini, nelle prime fasi dello sviluppo. In che modo i giochi sul tema del labirinto, come il nascondino o guardie e ladri, aiutano i bambini? Joseph Chilton Pearce: I giochi organizzati, come guardie e ladri, cominciano nel gruppo di età tra i sette e gli undici anni. Sono giochi in cui si sceglie una parte, si insegue e ci si nasconde. La loro organizzazione è molto fluida. A quell’età, un bambino non vuole mai perdere: guardie e ladri in realtà è tutto un inseguimento, l’emozione di nascondersi, venire scoperti e cercare di scoprire l’altro. E le regole, i regolamenti sono molto liberi. Ma all’età di undici anni, l’atteggiamento verso i giochi muta: la scelta delle squadre è importante. Diventa fondamentale il senso della correttezza e del “fair play”. I bambini possono passare ore a decidere le squadre, per essere sicuri che siano equilibrate e ben distribuite. Cominciano a giocare e ogni cinque minuti si interrompono per discutere appassionatamente delle violazioni delle regole: «Sei fuori!», «Non è vero!», «Ti ho toccato!», «No!». L’accento è sulla creazione delle regole, e poi sul discutere della loro equità e del loro rispetto. Lo vedi nel gioco di strada, nel football e nel baseball che si giocano nei lotti di terreno sterrati o inedificati. In questa fase, la sfida sta nel sottoporsi a una sorta di test, di prova, di ordalia. I bambini hanno il forte desiderio di fare a pugni, ma devono venire a patti con la necessità di limitare la libertà individuale e di contenersi in nome di un corpo sociale più vasto: la squadra. E questo accade quando i bambini perdono quell’ottanta per cento della massa neurale del cervello, assottigliandola a “pochi uomini buoni”, come direbbero i marines. Oggi, comunque, spesso i bambini non hanno più spazio per incontrarsi e giocare. Molti dei quartieri che progettiamo non hanno nemmeno i marciapiedi. I bambini non possono più giocare per strada; non ci sono lotti di terreno inedificati. Nelle città e nei quartieri che progettiamo, abbiamo “aree gioco” e “giochi sorvegliati”: un dopo-scuola di cui gli adulti dettano le regole e i regolamenti, istituzionalizzando il gioco. Poi, dopo la seconda guerra mondiale, è arrivata la Little League (Federazione Minorile di baseball). Invece di bambini che nei lotti sterrati cercano impetuosamente di rinunciare alla libertà individuale per il bene del gruppo più grande, abbiamo un gruppo di adulti che prende ogni decisione e decide le regole, mentre i genitori si dispongono ai lati urlando: “Prendilo, uccidilo. Vinci a ogni costo”. Questi poveri bambini arcigni, di otto, nove, dieci anni, tutti in perfetta uniforme con la pubblicità sulla schiena, seguono gli ordini degli adulti. Dov’è, adesso, l’elaborazione dei nostri istinti sociali e la capacità di andare avanti all’interno di un gruppo? Rob Baker: In che modo i parenti o gli educatori possono dare un contributo positivo a questa fase dello sviluppo del bambino? Se il bambino non ha avuto il giusto tipo di nutrimento, l’educazione può riparare questo danno? Joseph Chilton Pearce: Dipende tutto dal fine per cui stai educando il bambino. Se lo stai educando per creare un intelletto altamente specializzato, o per adattare il bambino a uno schema economico, l’educazione non farà alcun bene. Il primo dovere della scuola è dare al bambino un ambiente sicuro e non minaccioso. Fatto questo, è impossibile arrestare il processo di apprendimento del cervello. Le scuole Waldorf, in certa misura, seguono questo modello, così come altri posti tipo la Blue Rock School di Nyack, nello Stato di New York, la Subdury Valley School di Subdury, nel Massachusetts, e lo splendido sistema Workshop Way creato da suor Grace Pilon alla Xavier University di New Orleans. Queste scuole forniscono l’ambiente, il contesto e gli stimoli giusti per le fasi dell’evoluzione del bambino. Inoltre, lasciano che il bambino segua i suoi bioritmi di apprendimento. Queste scuole stabiliscono e mantengono il contatto con quell’intelligenza del cuore che è identica in ogni essere umano. A quel punto è impossibile sentirsi alienati, estranei o estromessi da qualsiasi situazione sociale: infatti, esiste un solo cuore. Rob Baker: Cosa intendi esattamente con “un solo cuore”? Joseph Chilton Pearce: Noi siamo miliardi di persone, ciascuno con un ego-intelletto diverso, quassù nella testa. Il cervello è la diversità. Ma l’intelligenza del cuore è una sola. E con un opportuno dialogo e interazione (o dinamica) tra mente e cuore, si ottiene il giusto equilibrio tra l’unità e la diversità. Siamo spinti verso l’esterno dalla diversità e dal nostro intelletto curioso, ma rimane sempre quel filo che ci riporta allo stato unificato delle cose, l’intelligenza del cuore. Cos’è quella parte di noi che non ci lascia riposare, continuando a spingerci verso l’esterno? E cosa ci riporta a quello che T. S. Eliot ha chiamato “l’immobile punto” interiore? C’è sempre il filo che ci riporta indietro, tra l’unità e la diversità. Rob Baker: Se il cervello è tanto complesso e orientato verso la diversità, com’è possibile la sua organizzazione? Joseph Chilton Pearce: Nel cervello esiste una funzione affascinante, che chiamano la “funzione cellula bersaglio”. Quando il cervello comincia a formarsi “in utero”, non si forma come una struttura, ma come una massa omogeneizzata, una sorta di “minestrone” di cellule casuali. Quando questo minestrone raggiunge una certa massa critica, appaiono misteriosamente le cellule bersaglio chiave. Tali cellule bersaglio mandano un segnale affinché le altre cellule si colleghino a loro. In questo minestrone ci sono, diciamo, trenta o quaranta miliardi di cellule; di queste, poche cellule bersaglio inviano un segnale che galvanizza tutta la massa di cellule. Queste ultime cominciano ad ammassarsi l’una sull’altra, allungando i propri dendriti e assoni nel tentativo di riuscire a connettersi con la cellula bersaglio. E grazie a quella semplice direttiva, entro un periodo di tempo molto breve questa massa omogeneizzata finisce col creare strutture dal funzionamento meraviglioso, ciascuna con il suo compito. Tutte le cellule ottiche si collegano alle cellule bersaglio ottiche, e l’intero sistema ottico si forma in un tempo straordinariamente breve. Le cellule uditive fanno la stessa cosa, e così via. Queste cellule bersaglio che appaiono sono indicatori della nostra struttura più elevata. Nella Storia, appaiono le grandi figure che fungono da cellule bersaglio, portandoci a nuove strutture di ordine più elevato. Questo fa semplicemente parte dello schema evolutivo delle cose. È come Arianna con il suo filo. Dobbiamo andare all’esterno e perderci, ma dopo appare questo filo che ci riporta indietro, e verso l’alto. Per portarci dove? Probabilmente, in un altro labirinto. Forse non esistono punti di arrivo; non esiste nulla di simile a un’energia immobile. La nostra evoluzione potrebbe non finire mai. |