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In Cina è la grande fuga

di Francesco Sisci - 02/11/2006

 
Mentre nel mondo è diventato di moda contare il numero dei cinesi ricchi, che si possono permettere le Ferrari e investono all’estero, Pechino oggi preferisce parlare di quei suoi cittadini che ancora non ce la fanno. Il governo ieri ha ufficialmente annunciato che 135 milioni di persone, il 10% della popolazione, vivono ancora al di sotto della soglia minima di povertà. È una soglia tutta cinese, al di sotto del livello internazionale: infatti la Fao sostiene che i cinesi ancora sottoalimentati sono 150 milioni.
Si tratta di persone che non soffrono più la fame, come ai tempi di Mao, ma non hanno tutto il cibo di cui avrebbero bisogno. Sono lo strato più povero e meno mobile della società, quelli che dovrebbe di più e meglio beneficiare di una decisione dei giorni scorsi, di somministrare circa 10 miliardi di euro nell’assistenza sanitaria di base. Così si dovrebbe creare la prima vera struttura sanitaria della storia della Cina. Perfino durante il socialismo in campagna non c’erano ospedali e ambulatori, ma solo «medici scalzi», poco altro che praticoni. Gli altri cinesi, quelli che hanno già la pancia piena, ma non gli basta più, invece sono in moto verso le città. I lavoratori emigranti (impiegati in città senza però ancora diritto di residenza fissa) sono ormai 150 milioni. Nei prossimi 20 anni ne arriveranno altri 300 milioni.

È il più grande esodo della storia umana. Sono così tanti che prosciugherebbero le acque del Mar Rosso, e polverizzebbero il numero degli ebrei in fuga dall’Egitto verso la terra promessa. I milioni di affamati sono un cruccio, una questione di sviluppo, un peso sociale ed economico, ma non sono un problema sociale, perché sono dispersi fra mille villaggi dell’interno e non si ribellano. Gli emigranti in città sono invece un’altra storia. Il loro arrivo sta facendo esplodere i grandi centri urbani, raddoppiandone gli abitanti in poco più di una generazione.
Oggi restano ai margini della vita urbana, ancora contenti del miglioramento netto del tenore di vita raggiunto con l’abbandono delle campagne. Ma se non verranno integrati, la generazione dei loro figli si sentirà emarginata, cittadini di serie B visti come nemici dalla «serie A». Per questo il governo sta cercando di promuovere un’emigrazione - e investimenti conseguenti - verso centri urbani minori e non in quella dozzina di metropoli da oltre 10 milioni di anime sparse lungo la costa.

Il miraggio è di nuovo l’America, con la sua costellazione di piccole città che fanno da cassa di assorbimento rispetto alle metropoli. Il rischio delle grandi concentrazioni urbane sono infatti i disordini sociali esplosivi in caso di crisi economica. I contadini in tempi di crisi si mangiano il riso che non vendono, i cittadini smettono di mangiare. I contadini sono dispersi e difficili fisicamente da organizzare, i cittadini sono concentrati e facilmente organizzabili nelle piazze o negli stradoni che tagliano le metropoli. Dalla direzione che prenderà l’esodo degli affamati cinesi dipenderà il futuro della Cina, e non solo.