Già dal 1957, il Primo ministro israeliano ventilava l’idea di spezzettare il Libano su basi confessionali. In un articolo pubblicato, nel febbraio 1982, dalla rivista dell’Organizzazione sionista mondiale Kivunim (Direzioni), con il titolo « Una strategia per Israele nel decennio 1980 », Oded Yinon, un giornalista israeliano che aveva lavorato per il ministero degli Esteri israeliano, spiegava che la strategia di Israele doveva consistere nel favorire l’esplosione dei paesi arabi su basi confessionali o etniche. Egli sosteneva che il piano di decomposizione del Libano in piccoli cantoni confessionali, al quale gli Israeliani lavoravano dalla fine degli anni 60 con la complicità di certi estremisti maroniti, doveva essere applicato a tutto il mondo arabo, in particolare all’Iraq (tre Stati : sunnita, kurdo e sciita), alla Siria (tre Stati : alouita, druso e sunnita), alla Giordania (una parte per i beduini e l’altra per i Palestinesi) e all’Arabia saudita che doveva essere amputata delle sue province petrolifere e riportata ad un mosaico tribale. In un’intervista con Paul Balta, su Le Monde del 17 agosto 1982, un dirigente iracheno, Tarek Aziz, prediceva « Affinché questo piano di atomizzazione riesca pienamente, bisogna attaccare il pezzo dominante del dispositivo, l’Iraq, unico paese della regione che possiede contemporaneamente l’acqua e il petrolio e che procede con determinazione nel suo sviluppo. Bisogna dunque cominciare con il far vacillare l’Iraq e in questo essi si adoperano da oltre vent’anni …».
La ben nota teoria, avanzata da tempo dagli strateghi israeliani, è stata interamente ripresa ed attualizzata dai circoli neoconservatori che ispirano la diplomazia dell’amministrazione Bush. Il progetto di rimodellare il Vicino Oriente attraverso una politica di « caos costruttivo » fu concepita negli anni 1990 poi esposta da George Bush II in un discorso pronunciato il 26 febbraio 2003, alcuni giorni prima dell’aggressione degli Stati Uniti contro l’Iraq. Conosciuta con il nome di « Iniziativa di Grande Medio Oriente » (Greater Middle East Initiative), questa dottrina punta a rimodellare un preteso Grande Medio Oriente che raggruppi un vasto insieme di Stati, dal Marocco alla frontiera cinese, con i paesi arabi, Israele, la Turchia, l’Iran, l’Afghanistan ed il Pakistan.
Se questa teoria – che tende semplicemente ad instaurare, con la partecipazione di Israele, l’egemonia americana in quella parte del mondo che detiene il 65% delle riserve di petrolio e quasi un terzo delle riserve di gas – è stata oggetto di numerosi commenti, meno eco è stata fatta ai progetti di riorganizzazioni geografiche che l’accompagnano. Eppure, dall’inizio degli anni 1990, gli esperti conoscono l’esistenza di nuove carte per il « Grande Medio Oriente ». Nel suo numero di giugno 2006, la rivista militare statunitense Armed Forces Journal pubblica un articolo, firmato dal tenente-colonnello della riserva Ralph Peters, il cui titolo è emblematico : How a better Middle East would look (« Come migliorare il Medio Oriente »). Secondo Ralph Peters, ex specialista dei servizi e membro del think tank neoconservatore Project for the New American Century, le nuove frontiere « devono rimodellarsi in funzione del criterio etnico e confessionale » e a sostegno della sua tesi egli propone una nuova riorganizzazione delle frontiere le cui grandi linee sono le seguenti : costituzione di un « grande Libano) inglobante la costa mediterranea della Siria fino alla frontiera turca ; creazione di uno Stato kurdo comprendente il nord dell’Iraq, il nord-ovest dell’Iran e il sud-est anatolico ; esplosione dell’Iraq che, oltre alla perdita della sua regione settentrionale, sarebbe diviso in un piccolo Stato sunnita arabo e in un grande Stato sciita che si annetterebbe la regione saudita dell’Hasa (tra l’emirato del Kuweït e la penisola del Qatar) dove, peraltro, gli Sciiti non sono maggioritari, l’Arabistan (attuale Khuzistan iraniano, popolato da Arabi… sunniti !) e la zona di Bouchir ; formazione di una grande Giordania a detrimento dell’Arabia saudita, la quale perderebbe anche la regione delle Città Sante La Mecca e Medina (Stato autonomo) e l’Asir (a vantaggio di un ingrandito Yémen). Oltre alla sua regione kurda, l’Iran perderebbe il Baloutchistan che diverrebbe indipendente, ma recupererebbe la regione afghana di Herat. Il Pakistan sarebbe ridotto in modo considerevole con la separazione del Baloutchistan ed una estensione dell’Afghanistan nelle regioni pashtoun. L’autore rimane prudente sulle nuove frontiere di Israele, ma si capisce che è esclusa ogni prospettiva di uno Stato palestinese. I due grandi perdenti sarebbero l’Iraq e l’Arabia saudita, vale a dire due tra più importanti paesi arabi. Il mondo arabo sarebbe dunque frazionato in spezzettamenti surrealistici che porterebbero a dispute e divisioni senza fine.
In realtà, questo nuovo « Grande Medio Oriente » concepito su frazionamenti confessionali, nazionali ed etnici molto arbitrari, non sarebbe più sicuro dell’attuale. Al contrario, esso diverrebbe un’autentica polveriera. Ma questo non sembra turbare Ralph Peters che in una conferenza tenuta nel 1997 aveva dichiarato: « Il ruolo de facto assegnato alle forze degli Stati Uniti consisterà [in futuro] nel tenere il mondo a salvaguardia della nostra economia e aperto al nostro assalto culturale. A tali fini, dovremo commettere un bel pacco di massacri ». Peters è anche autore di un’altra formula lapidaria che ben riassume l’ideologia dei neoconservatori : « Vincere significa uccidere » (Armed Forces Journal, settembre 2006).
Secondo il ricercatore Pierre Hillard ( vedi Balkans Infos, settembre 2006), « i propositi di Ralph Peters e gli appelli lanciati per un radicale cambiamento delle frontiere del Medio Oriente non sono, evidentemente, il risultato delle riflessioni di un solo uomo desideroso di occupare il suo tempo. Numerosi studi sono stati avviati in seno a istituzioni militari americane nonché in numerose commissioni di esperti per chiedere la revisione delle frontiere di quegli Stati ». A tale riguardo, va osservato che Ralph Peters è membro del Project for the New American Century, un think tank (gruppo di riflessione) neoconservatore e filo-israeliano presieduto da William Kristol, il cui obiettivo è la promozione della dominazione mondiale americana e che raggruppa i principali dirigenti dell’amministrazione Bush : Dick Cheney, vicepresidente degli Stati Uniti, Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa, Elliot Abrams, emissario della Casa Bianca per il Vicino Oriente, Lewis Libby, prossimo a Benyamin Netanyahu, e Paul Wolfowitz, attuale direttore della Banca Mondiale, che è stato la colonna portante dell’aggressione e dell’occupazione dell’Iraq.
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Per gentile concessione dell'autore, Charles Saint-Prot, direttore de L'Observatoire d'études géopolitiques (Paris), pubblichiamo il seguente articolo: | Fonte: www.etudes-geopolitiques.com |