Internet, il mondo in una stanza. Per chi ha già casa
di Arturo Di Corinto - 03/11/2006
Quasi il 90 per cento delle 6000 lingue parlate nel mondo non sono rappresentate su Internet. Non è possibile creare nomi di dominio in molte varianti linguistiche e molti gruppi etnici non possono accedere col loro linguaggio alla rete. Molti popoli inoltre, hanno una tradizione orale, che pertanto non risulta facilmente trasferibile via Internet. Si chiama linguistic divide, il divario linguistico. La gran parte della popolazione dell´Africa Centrale non ha accesso alla rete e quando ce l´ha deve pagarla molto di più di quanto accade nei paesi ricchi per gli alti costi di connessione alle dorsali di telecomunicazione e per l´assenza di ripetitori e cavidotti locali. Si chiama infrastructural divide. Il divario infrastrutturale. | |
Molti utenti della rete sono controllati o filtrati dai loro governi. E per questo si autocensurano. Sono oggetto di un privacy divide. Le donne soprattutto nel Sud del mondo non possono accedere alla rete per un´antica discriminazione. Si chiama gender divide. Molte scuole, università e biblioteche nei paesi in via di sviluppo non hanno accesso alla letteratura scientifica perché costa troppo e questa non si può riprodurre liberamente a causa del copyright. È il cultural divide. Ugualmente, molti Paesi non possono permettesri di acquistare il software necessario per interagire con internet perché i costi di licenza del software commerciale sono molto alti. Technology divide. In una parola, viviamo in un mondo affetto dal morbo del digital divide. Una "malattia" che rende impossibile alla stragrande maggioranza della popolazione mondiale di accedere alle opportunità del mondo digitale. Se aggiungiamo che Reporters sans frontières ha individuato almeno 61 cyberdissidenti, giornalisti e blogger, arrestati fino ad oggi per aver pubblicato informazioni scomode ai loro governi, si capisce meglio perché c´è bisogno di una carta dei diritti della rete. Proprio di quella carta che mercoledì la delegazione italiana guidata da Stefano Rodotà, ha proposto al forum sull´Internet Governance di Atene. Rodotà, già a capo del consiglio delle Autorithy europee della privacy , insigne giurista e docente all´Università di Roma, ha ribadito tale necessità affermando che «Internet è un luogo di conflitto», sintetizzando indirettamente il motivo per cui centinaia di persone sono convenute ad Atene per il forum. «Internet è il più grande spazio pubblico della storia e deve restare tale per dare ai cittadini e alla democrazia nuove opportunità», «e per fare questo - ha aggiunto - occorre garantire al che i diritti offline, quelli della dichiarazione dei diritti dell´uomo, vengano rispettati nel mondo online». Nelle intenzioni del gruppo di esperti che hanno illustrato la proposta, tra essi anche Fiorello Cortiana, Vittorio Bertola e Robin Gross di Ip Justice, la Carta va creata attraverso un metodo basato sul consenso, processuale, condotto dagli utenti della rete, piuttosto che essere calata dall´alto dai governi e poi andrebbe portata alle Nazioni Unite, l´unico organismo che forse potrà essere in grado di applicarla e di farla rispettare. Per Fiorello Cortiana però al processo devono partecipare anche le imprese, e non solo per il clamore suscitato dalla denuncia della loro collusione con sistemi repressivi da parte degli attivisti per i diritti umani, mentre per Vincenzo Vita, rappresentante dell´Unione delle province italiane, vi devono partecipare anche le autonomie locali. Su questi temi l´Italia con Beatrice Magnolfi, sottosegretario all´Innovazione, ha già offerto la propria disponibilità ad organizzare un confronto a livello europeo da tenersi nei prossimi mesi con i Paesi membri dell´Unione europea. Una strada che dovrebbe portare ad inserire la proposta nel programma di Rio de Janeiro dove il prossimo anno si terrà un altro round del forum.
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