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Le banche padrone d’Italia

di Andrea Angelini - 03/11/2006

 

In questi 14 anni di Seconda Repubblica le banche hanno riacquistato tutto il potere che gli era stato tolto dalla Legge Bancaria del 1936 resasi necessaria dopo lo sconquasso finanziario ed economico seguito al crollo di Wall Street del 29 ottobre 1929. Mentre imperversavano le radiose giornate di Mani Pulite, il 14 dicembre 1992 il Parlamento italiano non trovò niente di meglio, concludendo un iter iniziato cinque anni prima, che consegnare l’economia italiana alle banche modificando sostanzialmente la Legge Bancaria voluta da Mussolini proprio per fermare le attività piratesche dei banchieri e degli industriali. Ieri era la “82ema Giornata mondiale del Risparmio” che è stata celebrata in pompa magna dai vari operatori del settore, ad incominciare dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi che hanno svolto un’analisi dell’anno che volge al termine e le prospettive del settore; il tutto accompagnato dalle prevedibili considerazioni autoreferenziali e da dichiarazioni improntate alla difesa dell’attuale status quo.
Un dato appare in ogni caso evidente: il dominio che le banche esercitano sulla vita economica e sociale del nostro Paese. Dopo 56 anni, nel 1992, l’Italia decise infatti di adottare il cosiddetto “sistema tedesco” nel quale le banche non solo prestano soldi alle aziende ma ne sono anche azioniste e molto spesso in posizione predominante e a loro volta le imprese sono azioniste delle banche grazie a quei deleteri escamotage chiamati “incroci azionari” in virtù dei quali viene diluito il capitale effettivo complessivamente a disposizione e di conseguenza compromesso il principio cardine del commercio, l’affidamento dei terzi.
A questo punto c’è da fare un po’ di storia e capire come si arrivò alla Legge Bancaria del 1936 e come l’arroganza di certo capitalismo sia nei fatti sempre lo stesso. L’Italia era uscita stremata dalla guerra 1915-18, le imprese impegnate nello sforzo bellico che pure le aveva fatte ricche, come la Fiat di Giovanni Agnelli I° e l’Ansaldo dei Perrone, si erano fortemente indebitate con le banche, la Fiat con il Credito Italiano e l’Ansaldo con la Banca Commerciale. Quale fu la grande pensata di Agnelli e dei Perrone? Semplicemente cancellare i propri debiti diventando proprietari dei propri creditori, le banche appunto.
Una simpatica variazione sul tema delle incroci azionari che venne elevata poi ad opera d’arte dal mai rimpianto Enrico Cuccia di Mediobanca. Da questa semplice idea partirono in più successioni lungo il corso degli anni venti i tentativi di scalata in Borsa alle banche che vennero comunque sventati grazie anche all’intervento del nuovo governo fascista. Agnelli nel suo assalto al Credito Italiano fu coadiuvato dal famigerato Riccardo Gualino, i Perrone si mossero di fatto da soli. Ma i vari tentativi di scalata si lasciarono comunque alle spalle un bel po’ di macerie e il sistema industriale italiano ne uscì ulteriormente indebolito e del tutto impreparato ad affrontare l’appuntamento del 1929. Le conseguenze del crac di Wall Street per l’Italia furono pesantissime e quando la situazione si fu assestata la nuova Legge Bancaria arrivò a fare un po’ di chiarezza e a stabilire regole ferree. In base ad esse non potevano più esserci banche di credito ordinario che fossero allo stesso tempo azioniste di imprese industriali e le imprese industriali non potevano essere azioniste delle banche. L’attività di investimento in società poteva essere svolta solo da banche a medio e lungo termine che si autofinanziavano con l’emissione di obbligazioni. Nel dopoguerra, la norma venne di fatto aggirata quando le tre Bin (banche di interesse nazionale), Banca Commerciale, Credito Italiano e Banco di Roma, controllate dall’Iri dettero vita a Mediobanca che di fatto era la loro longa manus (o era il contrario?) e che unì all’attività di banca di investimento anche quella di banca d’affari, l’unica in Italia, e di fiduciaria degli interessi del grande capitale del Nord Italia. Quando nel 1992 il ciclone di Mani Pulite prese a spazzare via la Dc e il Psi, si crearono le condizioni per tornare alle condizioni degli anni venti e a permettere che si ricreasse quella deleteria commistione di incroci azionari tra banche ed imprese con le prime a volerla fare sempre più da padrone. Oggi sono sempre più in grado di farlo anche con coloro che un tempo, se non proprio alleati, erano quantomeno clienti di riguardo. I debiti accumulati dalla Fiat con il sistema creditizio, che nei fatti è il vero padrone del Lingotto, ne sono un esempio eclatante.

Maxi banche per il mercato globale
Mario Draghi ha ieri plaudito alle tante aggregazioni e fusioni che si stanno realizzando a livello bancario in Italia, indispensabili per affrontare sul mercato internazionale, ed ora anche nazionale, i concorrenti esteri che dispongono di liquidità decisamente superiore e che potrebbero venire a fare man bassa in casa nostra.
Secondo il Governatore, la fusione tra San Paolo-Imi e Banca Intesa va nella giusta direzione visto che da essa nascerà la sesta banca dell’Unione Europea e la terza nell’area dell’euro. Allo stesso modo è da vedere con favore la fusione tra la Banca Popolare Italiana e le popolari di Verona e Novara anche se, a suo avviso, vanno riviste le regole che sono inadeguate e che possono provocare “rischi di instabilità” come dimostrato appunto dalle vicende della Bpi sotto la gestione Fiorani.
Ad esempio, “la rigidità del principio del voto capitario, i limiti alla raccolta delle deleghe di voto, i vincoli alla partecipazione individuale possono determinare una autoreferenzialità del management, un insufficiente tutela degli azionisti ed ostacoli al rafforzamento del patrimonio”.
Crescere ed essere grandi per non morire appare in ogni caso l’imperativo, e più aggregazioni ci saranno meglio sarà. E “Altre significative aggregazioni si prospettano in questi giorni – ha anticipato Draghi, osservando che - coloro che promuovono le operazioni di consolidamento, presidenti e amministratori, si stanno mostrando capaci di comprendere la necessità, i benefici dell’aggregazione, di superare i campanilismi, i personalismi che la ostacolano. In tale contesto la Banca d’Italia vuole che la stabilità e la competitività del sistema ne escano rafforzate; in un sistema finanziario aperto alla concorrenza internazionale, in tal modo si incoraggiano le banche a proseguire sulla strada del consolidamento, sulla base di progetti decisi autonomamente dal mercato. E allora modelli innovativi di governo societario possono risultare utili per agevolare le aggregazioni; essi devono essere connotati da razionalità organizzativa e non devono pregiudicare l’efficienza dei futuri processi decisionali”.

Una maggiore tutela della clientela
In linea più generale, secondo Draghi, “I costi dei servizi bancari per la clientela sono in Italia tuttora troppo alti”.
Da qui un invito alle banche a “trasferire appieno a famiglie e imprese i guadagni di efficienza che derivano dai processi di concentrazione”. Un invito che curiosamente è stato sottoscritto dall’amministratore delegato di Banca Intesa, Corrado Passera.
Curioso, perché quando mai si è visto un banchiere fare gli interessi del cliente più che quelli della sua banca?
In ogni caso, a giudizio del Governatore, “la tutela del cliente deve essere affidata soprattutto a strumenti che garantiscano una piena informazione sulle condizioni praticate e l’applicazione di un generale canone di correttezza nelle relazioni d’affari, perché la concorrenza è normalmente lo strumento più efficace per contenere gli oneri addossati alla clientela”.

Deve essere possibile cambiare banca
Ci sono poi, ha accusato Draghi, “una specifica categoria di costi, quelli direttamente o indirettamente connessi con l’estinzione dei rapporti bancari che ostacolano la mobilità della clientela e rappresenta in se un impedimento al libero operare dei meccanismi concorrenziali. E’ opportuno che tali costi siano eliminati; anche la piena portabilità dei conti, inclusi i servizi accessori, deve essere assicurata”.
Draghi ha infine parlato del piano di riorganizzazione della Banca d’Italia attualmente allo studio precisando che gli interventi previsti “mirano a rendere più efficace ed efficiente l’azione della Banca a livello internazionale e nel paese, concentrando l’articolazione periferica sul livello regionale, con strutture adeguatamente potenziate”.

L’Abi dà i numeri
Da parte sua il presidente dell’Abi, Corrado Fissola, ha portato un po’ di cifre e ha reso noto che secondo i dati della Commissione Ue a fine 2006, il tasso di risparmio lordo sara’ pari al 16,9% in Italia contro il 16,1% in Germania, il 14,7% in Francia e il 5,9% in Gran Bretagna. “Ma non possiamo dimenticare – ha sottolineato che il vantaggio relativo è molto diminuito. A metà degli anni ‘90 lo scarto a nostro favore era di 7 punti rispetto alla Germania e di 8 rispetto alla Francia. Tuttavia – ha ammonito - senza un tasso di sviluppo più sostenuto, sarà difficile confermare, nei prossimi anni, la capacità di accumulare risparmio. Essa è a sua volta condizione importante per la concreta realizzazione di un più elevato saggio di incremento del reddito e dell’occupazione”.
Alla fine di marzo 2006 le attività finanziarie delle famiglie hanno superato i 3.300 miliardi di euro. Di essi, 808 mld (circa il 24%) sono rappresentati da conti correnti e depositi bancari e postali; circa 1.480 mld (il 44%) sono investiti in titoli detenuti direttamente dalle famiglie e depositate presso le banche; 813 mld (il 24%, di cui circa l’1% rappresentato dai patrimoni dei fondi pensione) sono costituiti da risorse in gestione. L’8% è rappresentato dallo stock di Tfr (le liquidazioni) presso le imprese.

Padoa Schioppa difende le fondazioni
Il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa Schioppa, fedele al suo credo liberista ha affermato che “la privatizzazione delle banche pubbliche, attuata per il tramite delle Fondazioni, è stata un successo e costituisce un esempio per il cammino che lo sviluppo di altri investitori istituzionali deve ancora compiere nel nostro paese. La perdita del controllo delle banche – ha insistito - non ha intaccato il loro ruolo di azionisti di riferimento, dunque fattori fondamentali di stabilizzazione e di supporto ad una linea strategica orientata alla crescita”.
E’ quindi positivo il processo di aggregazione che le fondazioni hanno saputo avviare. “Gradualmente - ha aggiunto il ministro - si sono costituiti gruppi bancari di dimensioni adeguate a competere nel mercato europeo e globale. Oggi, i quattro maggiori gruppi bancari italiani sono il risultato di operazioni societarie condotte dalle Fondazioni seguendo un disegno strategico preciso e vincente”.
Certo, l’industria del risparmio gestito deve superare alcune “carenze strutturali”. Ora, ha notato, “il mercato è frammentato, sia per quanto riguarda le imprese sia in relazione ai prodotti: per lungo tempo neppure le aziende più grandi avevano raggiunto la soglia dimensionale necessaria ad ottenere economie di scala necessarie per sostenere la concorrenza internazionale. Oggi possiamo dire - ha concluso il ministro - che la ristrutturazione e lo sviluppo del settore bancario italiano devono molto alla riforma messa in atto alla fine degli anni Ottanta”.
Ed anche purtroppo alla legge del 1992.