Da Ivan il Terribile a Cenerentola Ecco le passioni del cinefilo Stalin
di Armando Torno - 05/11/2006
Nell'archivio segreto i suoi giudizi sui film e gli ordini ai registiLe proiezioni al Cremlino
Le conversazioni su arte e politica. «Servono pellicole di qualità e una Cinecittà»
Una pellicola del 1934, cara a Stalin, riceve gli elogi della fascistissima mostra di Venezia
MOSCA — Pochi giorni or sono è andata in onda — prima serata e gran battage pubblicitario — su «Rossia», il più importante canale russo, un documentario di 90 minuti dedicato a Stalin e la terza Roma. In esso, tra l'altro, è ricordato che nei giorni culminanti della «Grande guerra patriottica» (così fu chiamato dal Piccolo Padre il secondo conflitto mondiale) arrivò un ordine esplicito del dittatore al regista Sergej Eisenstein di realizzare un film su Ivan il Terribile. Gli studi cinematografici di Mosca furono spostati ad Alma-Ata (oggi Almaty, nel Kazakhstan); la troupe ebbe un trattamento speciale e fu nutrita con carne, salmone, caviale e zucchero a volontà.
Di più: Stalin volle essere informato minuziosamente sull'avanzamento delle riprese e, per la prima volta in assoluto, è riprodotta sin nei dettagli la liturgia ortodossa. Anzi, siccome della materia era esperto — non dimentichiamo gli studi teologici e il suo successo come giovane cantore di chiesa — supervisionò lui stesso le sequenze, curando i paramenti e gli abiti sacri che furono presi direttamente dalla tesoreria del Cremlino; addirittura intervenne sui gesti degli incensieri e curò i particolari dell'incoronazione di Ivan, mettendogli in bocca ben arricchita l'affermazione attribuita allo staretz Filoteo, che già Ciaikovskij aveva utilizzato in un oratorio: «Da questo momento non sono più granduca di Mosca ma zar di tutte le Russie e Mosca è la terza Roma. La quarta non sarà mai». Già, zar: è contrazione di Czesar, vale a dire Cesare.
Tale notizia va posta accanto alla recente uscita del ponderoso tomo Il cinema-teatro del Cremlino 1928-1953 (Edizioni Rosspen, Mosca, pp. 1120, tiratura di 1.000 esemplari), curato da Kirill Anderson, direttore dell'Archivio di Stato della Federazione russa. In esso vi sono documenti sconosciuti, che gettano nuova luce sulla comunicazione di Stalin, sul suo modo di intendere la cinematografia e la propaganda. Certo, non tutti. Sempre nel ricordato archivio, per esempio, in mezzo a cartelle con copertina di cartoncino rosso recanti la scritta «Sekretno. Iosiph Vissarionovich Stalin», ci sono 250 pagine dattiloscritte intitolate I verbali di Boris Shumiatskij. Chi era costui?
Semplice: il commissario di Stalin per l'industria cinematografica sovietica negli anni '30. Figlio di un povero rilegatore di libri ebreo, diventerà nel '19 commissario politico dell'Esercito Rosso, poi ministro e via via farà carriera sino all'arresto del 18 gennaio 1938 e alla fucilazione del 28 luglio dello stesso anno.
Ogni fascicolo contiene le conversazioni al Cremlino tra Shumiatskij e Stalin (chiamato sovente Koba), durante la proiezione di un film o in discorsi relativi alla cura delle immagini e delle scene. Così, per fare il primo esempio, il documento 16, registrato tra le 23,38 del 18 dicembre 1934 e le 3 del giorno successivo (siglato Rgaspi, F 558, Op 11, D 828, L 81), riguarda la proiezione per la terza volta de La giovinezza di Massimo. Stalin interviene sul contenuto di un volantino: «Bisogna evitare la falsa impressione, perché sembra che nel comitato di Pietroburgo non ci sia nessuno capace di stendere un testo come quello, salvo il nuovo arrivato Massimo». Poi elogia Natasha (la maestra finta) con queste parole: «È brava a menare per il naso quell'agente di polizia. La superiorità ideale del rivoluzionario è così dimostrata perfettamente». Quindi il Piccolo Padre dà giudizi su fotografia e colonna sonora, esalta l'assolo della fisarmonica ed elogia la musica di Shostakovich. Chiede: «Cosa avete deciso di cambiare in questo film?»; e infine: «È eccellente, perché non racconta la storia del movimento in ascesa ma la fatica quotidiana della lotta rivoluzionaria in clandestinità».
Alcune pellicole diventavano quasi ossessionanti per Stalin. Prediligeva quelle tratte dai gialli di Simenon ma, per esempio, Ciapaev (del 1934) lo vede una quarantina di volte e ordina (documento 17 del 20 dicembre 1934, Rgaspi F 558, Op 11 D 828, L 82-83) di «velocizzare due ultimi passaggi della scena notturna con Ciapaev e Pet'ka che discutono l'arte del comando militare». Inoltre si entusiasma per Volga Volga, tanto da cantarne delle parti; né si dimentica dell'organizzazione, come prova quel che dice il 25 dicembre 1935 (Rgaspi F 558, Op 11, D 829, L 64-66): «Di una cinecittà ne abbiamo bisogno. Chi è contrario, non vede al di là del proprio naso. La nostra cinematografia non può permettersi di segnare il passo. Non solo abbiamo bisogno di buoni film, ma anche di film di qualità e di grande diffusione. Fa schifo vedere come in tutte le sale da mesi ci sia in programma sempre la medesima pellicola».
Procedendo tra i dattiloscritti, ci si accorge quale formidabile osservatore fosse Stalin, quanto si curasse anche delle opere più lontane da lui, dedicate a Cenerentola o come Vasilissa la bella (del '39), dove il regista scozzese Alexander Row, rifugiatosi in Urss perché perseguitato dal governo inglese, realizza uno dei primi film moderni con trucchi, draghi volanti, teste isolate che parlano, il tutto con sistemi naturali. Ci sono anche aspetti politici tra queste carte, a cominciare da Giuda Golovlev (del '33) che viene trasformato in una battaglia contro Trotzkij, chiamato non affettuosamente da Stalin «Iuduska», cioè «piccolo Giuda». Allegri ragazzi del '34, a lui molto caro, riceve anche gli elogi della fascistissima mostra di Venezia; mentre in Anton Ivanovich del '41, una commedia musicale, Stalin non censura una palese esagerazione: Johann Sebastian Bach scende da un quadro e cita «La Pravda».
Comunque sia, queste carte sono un documento di prim'ordine e ad esse sta lavorando un ricercatore di Mosca, che abbiamo incontrato. Le ha trascritte quasi tutte e ha già un accordo con un editore russo e uno italiano. Il suo nome? Pazienza. Come direbbe Kipling, ve lo riveleremo la prossima volta.