Il fotovoltaico di terza generazione
di Domenico Coiante - 06/11/2006
1.
Prima e seconda generazione fotovoltaicaLa conversione fotovoltaica della radiazione solare in energia elettrica è un concetto di recente
introduzione tra le tecniche di produzione dell’elettricità. Pertanto la tecnologia fotovoltaica può
essere considerata giovane rispetto al processo di apprendimento, che in generale caratterizza le
tecnologie energetiche. Essa si trova all’inizio di un processo di sviluppo, che, allo stato attuale, è
ancora caratterizzato da una pluralità di opzioni, sia dal punto di vista delle tecniche, sia da quello
dei materiali. A questo proposito, si può citare il tentativo in corso per lo sviluppo industriale della
tecnologia a film sottili e quello molto ambizioso basato sul filone di ricerca delle celle
multigiunzione per l’alta efficienza. Quest’ultimo argomento merita un momento di
approfondimento, soprattutto per le implicazioni che esso ha con gli obiettivi futuri del fotovoltaico.
In accordo con la tendenza più recente, cominciamo con l’adottare per le celle fotovoltaiche la
classificazione rispetto al tempo in tre generazioni in modo da rendere subito evidenti i legami per
così dire parentali che esistono tra i diversi rami della tecnologia.
·
Appartengono alla prima generazione le celle ed i moduli fotovoltaici realizzati con latecnologia del silicio cristallino (mono e policristallino) in fette, sulla quale esiste la più ampia
mole di pubblicazioni alcune delle quali hanno assunto ormai valore storico (vedi quelle degli
anni ’50 del secolo scorso). Il processo produttivo industriale è basato sulla lavorazione di
elementi discreti (
wafer) su banco e in linee parzialmente automatizzate. I costi derivanti, siadalla quantità di materiale fotovoltaico impiegato, sia dal processo produttivo, pur essendo
continuamente diminuiti, sono ancora troppo alti (circa 4-6 $/Wp) a fronte dell’efficienza media
di conversione raggiunta dalla produzione commerciale (12-14%). Il combinato disposto di
queste cifre non consente che il costo del kWh, prodotto nelle condizioni tipiche di insolazione
italiane, possa essere competitivo. Si può stimare che la competitività possa essere raggiunta
riducendo ulteriormente il costo fino a 1-2 $/Wp e simultaneamente migliorando l’efficienza
energetica dei moduli in modo da superare la soglia del 20%. Questo valore di efficienza, già
ottenuto per le celle di laboratorio con una tecnologia molto raffinata, stenta ad essere esteso a
livello commerciale per le difficoltà che s’incontrano a industrializzare tale tecnologia,
mantenendo bassi i costi di produzione. Questi in genere, invece di abbassarsi, mostrano un
rialzo proprio nei moduli ad alta efficienza a causa delle maggiori spese dovute alle
complicazioni tecnologiche. In altre parole, allo stato attuale dell’arte, sembra molto
improbabile che il fotovoltaico di prima generazione possa arrivare alla competitività (a meno di
non assegnare a questa tecnologia un più grande credito ambientale).
·
La seconda generazione, oggi in fase di sviluppo, è quella dei moduli fatti con film sottili dimateriali semiconduttori microcristallini che si prestano alla deposizione in strati su lamine di
sostegno (vetro, metallo, plastica, ecc.), come ad esempio il silicio amorfo idrogenato, il
diseleniuro di indio e rame, il tellururo di cadmio, il solfuro di cadmio, ecc. Per questi prodotti è
stato possibile mettere a punto un processo industriale in continuo, quasi completamente
automatizzato, che può portare a ridurre fortemente i costi di produzione dal momento che il
costo del materiale fotovoltaico in film sottile risulta pressoché trascurabile nei confronti degli
altri costi tecnologici. Dato il costo più basso per la produzione, la competitività dell’energia
prodotta può essere ottenuta con un efficienza dei moduli un po’ più bassa di quella della prima
generazione, in ogni caso sempre superiore a circa il 13-15%. Tale valore è stato ottenuto in
laboratorio per submoduli di piccola superficie, ma esso non è stato ancora raggiunto nei moduli
2
di produzione industriale, che mostrano oggi efficienze intorno al 10%. Il processo di sviluppo è
in corso e la probabilità di ottenere la competitività nel prossimo futuro è alta. Esistono tuttavia
molti dubbi di tipo ecologico sulla possibilità di diffondere su larga scala l’uso di impianti a
film sottili. Infatti, se si eccettua il silicio amorfo (che ha però altri problemi), tutti gli altri
materiali possiedono caratteristiche di alta tossicità, che porterebbero a precauzioni di sicurezza
nell’uso e, soprattutto, a problematiche di smaltimento dei rifiuti a fine vita operativa con
conseguente innalzamento dei costi economici.
2.
Fotovoltaico della terza generazioneLa terza generazione si riferisce alle tecnologie basate su concetti innovativi, che, pur avendo avuto
conferma sperimentale in laboratorio, ancora non hanno trovato una sufficiente sperimentazione
pratica per passare alla fase della produzione industriale. Alla base di questa terza generazione
fotovoltaica sta l’osservazione che i dispositivi fotovoltaici realizzati con un singolo materiale
semiconduttore riescono sfruttare soltanto una piccola parte dello spettro solare, quella i cui fotoni
hanno energia superiore alla banda proibita che caratterizza il materiale. In altre parole i dispositivi
sono sensibili, cioè vedono, soltanto alcuni colori che compongono lo spettro. Ad esempio, il silicio
è in parte sensibile al blu, molto sensibile al verde e al giallo e poco al rosso, mentre è
completamente insensibile all’infrarosso. In questo modo, più della metà dello spettro solare sfugge
alla conversione fotovoltaica e l’energia ad esso associata viene persa. Ciò pone un limite superiore
all’efficienza dei dispositivi ed il tentativo di rimuovere questo confine costituisce la principale
motivazione delle ricerche sulle celle fotovoltaiche della cosiddetta terza generazione.
2.1 – I concetti classici per l’alta efficienza
Tecnica del beam splitting
In linea teorica, lo spettro solare può essere fatto passare attraverso un sistema ottico (ad esempio,
nel caso più noto, attraverso un prisma di vetro), che possa separare i raggi di diverso colore ed
inviare ciascun colore su una cella fotovoltaica fatta con un materiale particolarmente sensibile
proprio a quel colore, in modo che la risposta della cella sia al massimo della sua efficienza. Un
dispositivo ottico di questo tipo, detto di
beam splitting, consentirebbe di sfruttare tutto lo spettrosolare ai fini della conversione fotovoltaica. L’efficienza teorica complessiva, calcolata per questa
tecnica, può raggiungere un valore superiore al 60%.
In linea pratica, sono stati realizzati dispositivi di
beam splitting suddividendo lo spettro solare intre componenti e dimostrando sperimentalmente la possibilità di realizzare in tal modo efficienze
intorno al 30% con celle al germanio per la componente rossa, al silicio per quella giallo-verde e
all’arseniuro di gallio per quella blu-violetta. Naturalmente si deve associare a tali dispositivi un
sistema ottico di cattura e concentrazione della radiazione solare in modo da raggiungere un valore
della densità di potenza che sia significativo per la conversione in elettricità.
Gli esperimenti di laboratorio hanno quindi dimostrato la validità del concetto di suddivisione dello
spettro e la possibilità di avere efficienze fotovoltaiche molto alte, ma la realizzazione pratica dei
dispositivi a
beam splitting appare abbastanza complicata da un punto di vista tecnico e costosasotto il profilo economico. L’aumento ottenuto nell’efficienza non ripaga dei maggiori costi da
sostenere per i sistemi ottici di concentrazione e di
beam splitting.Celle a giunzioni multiple sovrapposte o multicolore
Esiste una tecnica più semplice sul piano logico, anche se più complicata su quello della tecnologia,
per il
beam splitting. Essa consiste nel realizzare, in un unico dispositivo, celle a giunzioni multiplesovrapposte utilizzando materiali semiconduttori diversi in modo che ciascuna giunzione risponda
3
soltanto ad una parte dello spettro solare. In questo caso, ciascuna giunzione assorbe soltanto una
parte dei raggi e la converte in elettroni. La parte restante dello spettro passa oltre e, a sua volta,
viene parzialmente assorbita nella giunzione successiva e cosi via in cascata. Il dispositivo è
congegnato in modo tale che gli elettroni prodotti in ogni giunzione vengono raccolti nel circuito
elettrico esterno. La potenza totale generata dal dispositivo è quindi la somma di tutti i contributi
dovuti alla conversione fotovoltaica nelle diverse giunzioni da parte delle varie componenti dello
spettro solare.
In linea teorica, se si avesse a disposizione un grande numero di materiali semiconduttori da
accoppiare a tutte le componenti dello spettro, sarebbe possibile sfruttare l’intera energia contenuta
nella radiazione solare. In questa ipotesi teorica, l’efficienza di conversione fotovoltaica è stata
quantificata in un valore pari all’86.8% (Green, 2002).
In linea pratica, sono stati realizzati numerosi dispositivi a celle multigiunzione, limitandone il
numero a tre per evidenti ragioni, sia di difficoltà tecnologica, sia di disponibilità di materiali
semiconduttori di caratteristiche fotovoltaiche adeguate. La seguente Tab.1 riassume i migliori
risultati finora conseguiti dai dispositivi a multigiunzione confrontati con quelli delle celle a
giunzione singola per i diversi semiconduttori ed in condizione di illuminazione concentrata.
Tab.1 –I migliori risultati per l’efficienza dei dispositivi a multigiunzione misurati
sotto illuminazione concentrata con spettro AM1.5 e temperatura a 25 °C
Tipo di cella Efficienza
(%)
Area
b(cm
2)Intens.
(n. soli)
Centro di
certificazione
Descrizione del
produttore
Celle singole
GaAs
GaInAs
Si
InP
CIGS
a (film sottile)27.6
± 1.027.5
± 1.426.8
± 0.824.3
± 1.221.5
± 1.50.13
0.07
1.6
0.07
0.1
255
171
96
99
14
Sandia (5/91)
NREL (2/91)
FhG (10/95)
NREL(2/91)
NREL(2/01)
Spire
NREL/Entech
Sun Power
NREL/Entech
NREL
2 celle sovrapp.
GaAs/GaSb (4 ter.)
InP/GaInAs (3 ter.)
GaInP/GaAs (2 ter.)
GaAs/Si (larga)
32.6
± 1.731.8
± 1.630.2
± 1.429.6
± 1.50.05
0.06
0.10
0.32
100
50
180
350
Sandia(10/89)
NREL(8/90)
Sandia(3/94)
Sandia(9/88)
Boeing (stack)
NREL (monolit.)
NREL (monolit.)
Varian (stack)
3 celle sovrapp.
GaInP/GaAs/Ge
GaInP/GaAs/Ge
34.7
± 1.737.3
± 1.90.27
0.26
333
175
NREL(9/03)
NREL(3/04)
Spect.lab (monolit.)
Spect.lab (monolit.)
Submoduli
GaAs/GaSb
GaInP/GaAs/Ge
25.1
± 1.427
± 1.541.4
34
57
10
Sandia(3/93)
NREL(5/00)
Boeing (stack)
ENTECH
Moduli
Si
20.3
± 0.81875
80
Sandia(4/89)
Sandia/UNSW/Entech
Risultati eccezionali
GaInP/GaAs/Ge
Si (larga)
GaAs (Si substrato)
InP (GaAs substrato)
39.0
± 2.321.6
± 0.721.3
± 0.821.0
± 1.10.27
0.13
0.07
236
11
237
88
NREL(5/05)
Sandia(9/90)
Sandia(5/91)
NREL(2/91)
Spect.lab (monolit.)
UNSW laser grooved
Spire
NREL/Entech
a
CIGS = CuInGaSe2;b
area reale;Fonti: Green et al, 2004,
Solar Cell Efficiency Tables, Prog. Photovolt. Res. Appl., Vol.12, pp.365-372.Kazmerski. 2006,
Solar Photovoltaics R&D at the tipping point: A 2005 technology overview, J. El. Spect. RelatedPhenomena, 150(2006), pp.105-135
4
Come si può notare, l’efficienza certificata delle celle a giunzione singola è superiore al 20%, quella
delle celle multigiunzione supera il 30%, fino a raggiungere il record assoluto del 39.0% per un tipo
di cella a giunzione tripla realizzata nel 2005 dalla Spectrolab con fosfuro di gallio e indio,
arseniuro di gallio e germanio sotto condizioni di concentrazione della luce solare pari a 236 volte.
Ricordando che questo filone di ricerca si era aperto nel ’56 con le prime celle ad arseniuro di gallio
di efficienza intorno al 6%, si può constatare per confronto il grande sviluppo avvenuto. A prima
vista, questi alti livelli di efficienza potrebbero far pensare di avere superato la soglia di
competitività del kWh prodotto, se non si tenesse nel dovuto conto il costo molto alto della
complessa tecnologia di produzione delle celle triple, che consente soltanto la realizzazione di celle
di piccola area (26 mm
2 nella fattispecie). Per ridurre l’incidenza del costo sul kWh prodotto,diviene quindi indispensabile accoppiare alla cella un sistema ottico di concentrazione della luce
solare con la relativa meccanica per l’inseguimento automatico della posizione del sole. Allo stato
attuale della tecnica, l’ulteriore costo aggiunto dal concentratore, sommandosi a quello della
tecnologia, porta a rendere arduo il compito di conseguire la competitività nonostante l’alto valore
dell’efficienza di conversione. Si ritiene che questa possa essere raggiunta quando l’efficienza della
cella supererà la soglia del 40%. Ricerche in questo senso sono in corso fin dal 1997 nel tentativo di
realizzare una cella a quattro giunzioni sovrapposte, che in teoria dovrebbe realizzare l’obiettivo del
40% di efficienza (Kurtz et al., 1997). A giudicare dal tempo trascorso da allora, sembra che le
difficoltà tecnologiche implicate nella realizzazione pratica di un tale dispositivo siano
particolarmente ardue da superare.
In ogni caso, però, i risultati sperimentali già conseguiti da questo filone di ricerca rivestono
un’importanza fondamentale nello sviluppo del fotovoltaico, perché confermano pienamente le
previsioni teoriche verso l’ottenimento pratico di efficienze maggiori di quelle dei dispositivi oggi
in commercio e rafforzano la fiducia in questa tecnologia come fonte rinnovabile di energia
elettrica.
2.2 - I nuovi concetti
Super reticoli
Indubbiamente il risultato sperimentale ottenuto nel campo delle celle ad alta efficienza è
importante ed esso costituisce un punto di riferimento nel processo storico dello sviluppo del
fotovoltaico. Tuttavia, occorre notare che il valore conseguito si trova a meno della metà del limite
teorico previsto per l’efficienza di conversione fotovoltaica nel caso in cui si riuscisse a sfruttare
completamente lo spettro solare.
Questa possibilità veniva considerata, fino a qualche anno fa, soltanto dal punto di vista concettuale.
La sua realizzazione pratica appariva discutibile essenzialmente a causa della limitatezza del
numero dei semiconduttori naturali utilizzabili per le celle multigiunzione e delle difficoltà
tecnologiche incontrate nel sovrapporre più di tre giunzioni. Per la verità storica, però, bisogna
ricordare che una speranza di superare questa limitazione era sorta già da qualche tempo a seguito
della comparsa del concetto dei cosiddetti "super reticoli" nel campo della fisica dello stato solido.
L’idea si deve all’inventore del diodo tunnel e premio Nobel per la fisica nel 1973, Leo Esaki, che
nel 1970 la propose quasi come una curiosità scientifica (Esaki et al, 1970). Senza entrare in dettagli
troppo specialistici che porterebbero il discorso a divergere, basti accennare al fatto che i materiali
semiconduttori naturali, quando sono deposti (conservando la struttura cristallina) in strati piani
molto sottili con spessori dell’ordine dei (10
¸100) , cioè (1¸10) 10-9 m, ovvero (1¸10) nanometri,mostrano caratteristiche optoelettroniche diverse da quelle del semiconduttore di partenza. Molti
strati sottili, alternativamente drogati n e p, possono essere sovrapposti in pila in modo che il pacco
ottenuto abbia uno spessore significativo per l’assorbimento della radiazione solare (cioè in genere
dell’ordine di qualche micron). Tale materiale risultante si comporta come un nuovo
semiconduttore cristallino, non esistente in natura, avente caratteristiche fisiche dipendenti, entro
5
certi limiti, dallo spessore dei singoli strati sottili che lo costituiscono. Modulando opportunamente
tale parametro durante la fase di deposizione degli strati, si possono realizzare nuovi materiali
semiconduttori con banda di energia proibita di larghezza variabile a progetto. Questo nuovo ramo
della tecnologia dei semiconduttori è stato chiamato
band engineering e mediante esso è oggidivenuto possibile progettare materiali dalle caratteristiche ottimali per le esigenze della
conversione fotovoltaica dell’intero spettro solare. Storicamente, questi materiali furono indicati
con il nome di "super reticoli", ma recentemente si è preferito classificarli come uno dei primi
prodotti ottenuti dalla nuova branca della tecnica, detta delle nanotecnologie a causa delle
dimensioni nanometriche dello spessore dei singoli strati.
Nella storia della tecnologia fotovoltaica il capitolo dei super reticoli, pur possedendo un grande
interesse concettuale, tuttavia non ha avuto una grande influenza pratica. La prima applicazione
fotovoltaica di un super reticolo si è avuta nel 1982 in una cella a due giunzioni sovrapposte (cella
ad arseniuro di gallio sovrapposta ad una al silicio) (Wanlass et al., 1982). Nel 1985 si ebbe la
prima applicazione di un super reticolo in alcuni dispositivi al silicio amorfo idrogenato. La zona p
della cella fu realizzata con un materiale ottenuto depositando una serie di strati sottili di silicio
amorfo idrogenato, che all’atto pratico si comportava come un super reticolo avente una banda
d’energia proibita di 2.0 elettronvolt contro quella di 1.4 elettronvolt del silicio amorfo costituente
dei singoli strati (Arya et al., 1985). In tal modo fu possibile aumentare l’efficienza del dispositivo,
portandola al 10.4%.
Studi più approfonditi sui super reticoli realizzati con il silicio amorfo, furono effettuati negli anni
seguenti (Wronski, 1987; Rothwarf et al., 1990), mentre in parallelo altri ricercatori portavano
avanti studi ed esperimenti con l’arseniuro di gallio (Chaffin et al, 1984; Wagner et al., 1985;
Goradia et al., 1985).
Nessuno di questi lavori, però, era riuscito a costruire il dispositivo monolitico rivoluzionario, la
cella cosiddetta multicolore, sensibile cioè a tutto lo spettro solare, come era stato teoricamente
pensato. Il materiale super reticolare veniva impiegato soltanto per realizzare alcune parti delle celle
multigiunzione convenzionali in modo da migliorarne l’efficienza. Le ragioni di questo fallimento
appaiono evidenti se si considera la difficoltà pratica di estendere una tecnologia così raffinata al
grande numero degli strati nanometrici (alcune migliaia), che sarebbero necessari per realizzare
l’assorbimento selettivo dello spettro solare. Inoltre, la complessità tecnologica avrebbe comportato
una grande difficoltà a realizzare i processi produttivi industriali a basso costo su grandi superfici e
larga scala, che sarebbero serviti nell’ottica dei dispositivi fotovoltaici per la produzione di energia
elettrica. Infine, analizzando attentamente il comportamento di un modello teorico della cella
multicolore rispetto ai cambiamenti dello spettro solare nell’arco della giornata, fu messa in
evidenza la estrema sensibilità della sua risposta in funzione delle variazioni dell’intensità
d’illuminazione e della composizione spettrale, effetti che si registrano nel corso dell’esposizione
sul campo. In pratica si è visto che l’alto valore teorico dell’efficienza di conversione può essere
ottenuto soltanto in condizioni di insolazione ideale, mentre nelle condizioni reali l’efficienza media
è molto più bassa, al punto tale che la convenienza rispetto ad una cella tandem scompare (Brown et
al., 2002).
Nanocristalli
Di fatto, l’interesse in campo fotovoltaico sui super reticoli a struttura piana è andato
progressivamente a diminuire negli anni ’90, mentre nel contempo si sono affacciati nuovi
argomenti di studio, basati sulle nanotecnologie dei materiali. Questi argomenti, oggi, promettono
di realizzare con altre tecniche più semplici lo sfruttamento dello spettro solare al fine di ottenere
l’alta efficienza di conversione, che, abbinata ai bassi costi, è necessaria per raggiungere la
competitività.
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Come appare conveniente per il nostro lavoro, si affronterà l’argomento delle nanotecnologie sul
piano concettuale senza entrare in dettagli specialistici, cominciando con una sommaria descrizione
dei cosiddetti "nanocristalli quantistici".
Si immagini di prendere una particella di un semiconduttore cristallino e si assuma che essa abbia
forma pressoché sferica. Si supponga poi di poter ridurre le dimensioni di questa sfera, in modo che
il suo diametro raggiunga una misura dell’ordine del nanometro, cosicché il suo volume venga a
contenere da 10 a 100 atomi. A questo grado microscopico di aggregazione atomica, continuano ad
esistere nel cristallo nanoscopico, sia la fascia dei livelli energetici proibiti per gli elettroni (
energygap)
, sia la banda di conduzione, sia quella di valenza. La differenza rispetto al semiconduttoremacroscopico è che i livelli all’interno delle bande sono associati a valori discreti dell’energia e la
distanza tra i singoli livelli dipende dal numero di atomi presenti nell’aggregato. Minore è il numero
degli atomi e più separati sono i livelli energetici. Ciò in particolare accade per la banda proibita, la
cui larghezza in tal modo viene fissata in funzione del numero di atomi, o, ciò che è lo stesso nel
caso di atomi di uno stesso materiale, dalle dimensioni del diametro della sferetta. In conclusione, il
passaggio dal materiale semiconduttore cristallino esteso a quello di aggregato atomico di
dimensioni nanometriche, chiamato brevemente
nanocristallo quantistico o quantum dot, produceun cambiamento delle caratteristiche fisiche ed optoelettroniche tale che diviene possibile
l’ingegneria delle bande attraverso la scelta del materiale di partenza ed il controllo delle
dimensioni dei nanocristalli. In altri termini, i
quantum dots possono essere considerati come seciascuno di essi fosse un super reticolo tridimensionale. In linea di principio, modulando il diametro
dei nanocristalli quantistici, si possono realizzare diversi valori della banda proibita in modo da
realizzare con lo stesso materiale diverse possibilità d’accoppiamento fotoelettrico ottimale con le
varie frequenze dello spettro solare. In teoria, i nanocristalli possono essere disposti a strati multipli
all’interno di un’opportuna giunzione n-i-p, collocandoli al posto della zona intrinseca, i, cosicché
la corrente fotoelettrica generata in essi dalla radiazione solare possa passare da uno strato all’altro
per effetto tunnel fino a venir convogliata dal campo elettrico della giunzione sugli elettrodi di
uscita analogamente a quanto avviene nelle celle fotovoltaiche convenzionali.
Nella pratica, però, la situazione appare più complicata di come concettualmente si è descritta. Ad
esempio il primo tentativo fatto con strati di
quantum dots di InAs e InGaAs posti su substrati diGaAs in dispositivi fotovoltaici a barriera Schottky, mentre hanno confermato in pieno le
caratteristiche optoelettroniche, hanno mostrato un comportamento fotovoltaico molto deludente
(Kamprachum et al., 2002). Altri semiconduttori che si prestano ad essere lavorati e ridotti in
nanocristalli quantistici adatti all’accoppiamento con le componenti principali dello spettro solare
(ad esempio PbSe, CdSe, InP, CdS) mostrano tutti una bassa vita media delle coppie elettronelacuna
fotogenerate. La presenza di numerosi livelli di ricombinazione dovuti proprio alla
condizione nanocristallina fa sì che entro qualche nanosecondo tutti i fotoelettroni scompaiano dalla
banda di conduzione. Se si vuole raccogliere la corrente fotogenerata, occorre pertanto allontanare
subito l’elettrone dalla lacuna ed avviarlo all’elettrodo esterno. Ciò può essere fatto con un
accorgimento tecnico, mettendo cioè il nanocristallo fotosensibile, o
quantum dot, a stretto contattocon un altro materiale semiconduttore, che presenti una densità bassa di livelli di ricombinazione. In
questo caso, l’elettrone generato dalla radiazione solare nel
quantum dot viene immediatamenteiniettato all’interno della banda di conduzione del secondo semiconduttore, dove la sua vita media
può essere notevolmente più lunga e la sua raccolta può venire facilitata. In questo modo, però, la
neutralità elettrica del
quantum dot viene persa poiché le lacune rimaste in esso vengono ad esserein eccesso e quindi il nanocristallo si carica positivamente. Per riportare il nanocristallo in
condizioni neutre occorre fornire elettroni dal circuito esterno mediante opportuni accorgimenti.
La cella di Grätzel
Storicamente, la prima realizzazione pratica di un tale dispositivo è costituita dalla cella
elettrochimica di Grätzel, detta così dal nome del suo inventore (O’Regan, Grätzel, 1991). Il
7
dispositivo in origine utilizzava, come materiale semiconduttore per il trasporto e la raccolta delle
cariche, nanocristalli di biossido di titanio (TiO
2) di dimensioni relativamente grandi (20 nm).Questi nanocristalli erano trattati in modo tale da rendere la loro superficie porosa cosicché ciascun
poro poteva essere riempito con una particella di materiale luminescente colorato (
dye), del tipo deisali con cui si realizzano le vernici luminescenti. La differenza con il sistema sopra descritto è solo
che i pori sono riempiti dalle molecole di
dye invece che dai quantum dots. Per tale motivo si dicevache i nanocristalli di TiO
2 erano stati sensibilizzati dalla dye e le celle realizzate in questo modovenivano dette
nanocrystalline dye-sensitized solar cells. Il loro funzionamento può esserebrevemente illustrato nel modo seguente. I nanocristalli di biossido di titanio sensibilizzati vengono
compattati per sinterizzazione in forma di strato, spesso una decina di micron. Lo strato è incollato
ad una lastra di un conduttore trasparente attraverso cui viene fatta passare la radiazione solare
(contatto anteriore della cella). All’altro lato dello strato dei nanocristalli viene appoggiato un
secondo elettrodo (contatto posteriore) e i contorni del pacchetto vengono sigillati dopo aver
riempito lo spazio interno con una soluzione elettrolitica. I nanocristalli di TiO
2 nel loro complessovanno a costituire il primo elettrodo di una cella elettrolitica che ha il contatto posteriore come
secondo elettrodo. Sotto condizioni d’illuminazione solare, la molecola della
dye assorbe la lucepassando dallo stato fondamentale ad uno eccitato. Poi, entro un tempo breve, essa si diseccita
emettendo un elettrone, che penetra all’interno del biossido di titanio attraverso la barriera
superficiale. L’energia dell’elettrone è tale che esso viene iniettato direttamente nella banda di
conduzione del biossido di titanio. Questo materiale è un buon semiconduttore ad alto
energy gapcon la banda di conduzione contenente pochissimi elettroni (in condizioni termiche normali).
Pertanto, gli elettroni iniettati dalla
dye direttamente nella banda di conduzione possono attraversareil TiO
2 essenzialmente per diffusione senza praticamente subire processi di ricombinazione. Ilmovimento degli elettroni è di tipo diffusivo perché all’interno dei nanocristalli non esiste alcun
campo elettrico dato che la soluzione elettrolitica in cui essi sono immersi, essendo un buon
conduttore, mantiene lo spazio intorno ai nanocristalli equipotenziale (Deb et al., 1997). Gli
elettroni pertanto raggiungono il contatto anteriore per diffusione e, sotto l’azione della differenza
di potenziale esistente tra questo contatto e quello posteriore (potenziale di ossido riduzione della
cella elettrolitica), circolano nel circuito esterno che collega i due elettrodi attraverso il carico,
sviluppando potenza in esso. Una volta raggiunto il contatto posteriore, le cariche vengono
neutralizzate dalla reazione elettrochimica. In questo modo si riesce a realizzare la conversione
fotoelettrica in due tempi ed in due luoghi separati. L’effetto fotoelettrico avviene all’interno della
dye
e la raccolta degli elettroni all’interno del semiconduttore. Ciò in linea di principio costituisceun vantaggio perché aumenta i gradi di libertà, consentendo di ottimizzare il processo di
fotoconversione indipendentemente da quello della raccolta della carica. La neutralità elettrica della
cella viene ristabilita dalla reazione elettrochimica, che, nel caso della cella di Grätzel, avviene in
una soluzione elettrolitica non acquosa contenente la coppia redox ioduro/triioduro in acetonitrile
cosicché gli elettroni fotogenerati dopo aver attraversato il circuito esterno vengono neutralizzati
mediante la riduzione del triioduro a ioduro.
Celle fotoelettrochimiche di questo tipo con efficienza certificata pari al 7% sono state realizzate nel
1994 e da allora è iniziato il tentativo di industrializzazione della tecnologia (McEvoy et al., 1994).
Nel 1996 la tecnologia delle celle di Grätzel era già migliorata al punto tale che l’efficienza,
certificata dal Fraunhofer Institut, si era portato all’11% con una cella da 25 mm
2 a nanocristallidye-sensitized
(Grätzel, 2000). Attualmente sono in corso attività di ricerca e sviluppo per estenderela superficie della cella fino al livello di modulo in modo da verificare la possibilità di interesse del
mercato fotovoltaico.
La cella fotoelettrochimica di Grätzel ha indubbiamente un valore concettuale (ed anche storico)
notevole in quanto essa ha dimostrato sperimentalmente il funzionamento delle nanotecnologie
applicate alla fotoconversione elettrica. Essa tuttavia si presta a considerazioni critiche circa la sua
reale possibilità di raggiungere il campo di alte efficienze necessario per la competitività del kWh
prodotto. Infatti, il processo di elettroluminescenza delle
dyes introduce al primo stadio della catena8
un rendimento basso a causa dell’assorbimento estremamente selettivo e quindi ristretto a piccole
bande delle frequenze luminose. Ciò riduce subito il valore limite dell’efficienza di conversione
ottenibile. Inoltre le molecole delle
dyes hanno tutte la tendenza a decomporsi abbastanzarapidamente nel tempo quando sono esposte alla luce solare cosicché l’efficienza delle celle tende a
degradare. Pertanto la validità del concetto mostra un punto debole nell’uso delle
dyes per realizzarel’assorbimento luminoso, mentre permane alto il valore del meccanismo d’iniezione e di trasporto
delle cariche nei nanocristalli di TiO
2 e del successivo sistema elettrolitico di neutralizzazione deldispositivo.
Nanocristalli quantistici
Il punto di debolezza delle
dyes può essere proficuamente rimosso se al loro posto vengonocollocati nei pori del biossido di titanio altrettanti nanocristalli quantistici di semiconduttori
fotosensibili. Avviene allora che i
quantum dots, fatti ad esempio con i semiconduttori sopradescritti, hanno una grande capacità di assorbimento della luce in quanto essa è limitata soltanto dal
loro
energy gap ed inoltre questi materiali sono estremamente stabili (anche perché possono esserefacilmente protetti dall'ambiente elettrolitico in cui operano). Si ha così che uno strato sinterizzato
(sottile e compatto) di particelle di TiO
2 "sensibilizzate" con quantum dots di banda opportuna puòessere reso fotosensibile soltanto ad alcune componenti dello spettro solare e completamente
trasparente alle altre. Sovrapponendo tra loro diversi strati, ciascuno sensibile ad una delle varie
componenti dello spettro solare, si può realizzare un dispositivo fotoelettrochimico ad altissima
efficienza simile alle celle fotovoltaiche multigiunzione, ma in linea di principio con una tecnologia
molto più semplice (sinterizzazione) e soprattutto più adatta alla industrializzazione su grande scala.
Il modello concettuale fornito dalla cella elettrochimica di Grätzel può servire per immaginare un
dispositivo realizzabile nella pratica, anche se il filone di ricerca sui
quantum dots sembraattualmente allontanarsi da tale modello. La necessità di ricorrere ad un’alternativa emerge non
appena si sottopone il concetto della conversione fotoelettrochimica al vaglio dei criteri d’impatto
ambientale. Infatti, le soluzioni elettrolitiche necessarie per il funzionamento delle celle di Grätzel
mostrano un alto grado di tossicità per cui l’eventuale uso esteso di tali dispositivi, visto nella
prospettiva energetica di grande scala, pone notevoli rischi di rilascio di effluenti chimici, sia
durante il funzionamento degli impianti in caso d’incidente, sia a fine vita operativa per la loro
disposizione in discarica.
Allo stato attuale della conoscenza, sembra che l’alternativa possa venire dall’uso rinnovato del
silicio, sia sotto forma di
quantum dots, sia come biossido di silicio. Ciò è quanto risulta, adesempio, dai programmi d’attività del
Centre For Photovoltaic Engineering dell’Universitàaustraliana del Nuovo Galles del Sud (UNSW:
Centre for Photovoltaic Engineering Annual Report2004
, www.pv.unsw.edu.au ), uno dei principali centri di eccellenza di R&D sul fotovoltaico nelmondo. Qui, nanocristalli quantistici di silicio puro sono stati ottenuti in laboratorio e la possibilità
di modulare la banda di energia proibita tra 1.3 eV e 1.7 eV è stata verificata sperimentalmente. Si
apre quindi la strada per modulare il coefficiente di assorbimento del silicio in modo da impiegare
soltanto questo materiale (stabile e non inquinante) per realizzare i dispositivi fotovoltaici della
terza generazione senza far ricorso ad altri tipi di semiconduttori, tutti, più o meno, ambientalmente
pericolosi. Strati di
quantum dots disposti in modo ordinato in forma di super reticolo sono statiottenuti all’interno di uno strato più spesso e trasparente di SiO
2, dimostrando la possibilità dellatecnologia di realizzare alcuni dispositivi fotovoltaici di terza generazione finora soltanto teorizzati
(ad esempio le celle a elettroni caldi), che potrebbero portare l’efficienza di conversione al limite
del valore teorico calcolato (Green, 2003).
In conclusione, le recenti innovazioni introdotte in campo fotovoltaico dalle nanotecnologie dei
materiali e le acquisizioni concettuali e sperimentali relative alle applicazioni quantistiche che
divengono oggi possibili lasciano prevedere l’avvento di dispositivi fotovoltaici di terza
generazione. Tali prodotti potranno finalmente portare alla competitività del kWh con un margine
9
tale da permettere di tollerare anche i costi aggiunti dai sistemi di accumulo dell’energia. Solo a
questo punto la tecnologia fotovoltaica potrà superare i limiti di sviluppo dovuti all’intermittenza
della generazione e divenire una reale opzione energetica alternativa.
Il percorso storico della tecnologia fotovoltaica, iniziato nel lontano 1839 con l’osservazione
dell’effetto fotoelettrico da parte di Edmond Becquerel, appare oggi tutt’altro che terminato.
Piuttosto, tutto lascia presumere che il futuro del fotovoltaico sia appena cominciato.
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