Tutti conosciamo le stragi compiute in Italia dai tedeschi, e dai loro complici fascisti, all’indomani dell’8 settembre 1943. Poco si sa, invece, di quelle che vennero perpetrate in Sicilia dalle truppe angloamericane che sbarcarono nell’isola all’inizio del luglio dello stesso anno per cominciare la lenta salita dell’Italia. A distanza di tanti anni, esse riemergono, grazie a un drammatico libro di Giovanni Bartolone, Le altre stragi. Le stragi alleate e tedesche nella Sicilia del 1943-1944 (Prefazione di Francesco Fatica, Officine Tipografiche Aiello & Provenzano pp. 195, € 15,00). Accanto al racconto di orrendi e gratuiti crimini compiuti dai soldati tedeschi sulla popolazione inerme, il testo, infatti, narra anche fatti terribili, ai più sconosciuti, che non mettono assolutamente in buona luce quei militari, inglesi e statunitensi, sbarcati sulle nostre coste per liberarci.
Non è tutto ora quel che luccica... Tutti noi abbiamo in mente una significativa immagine scattata da uno dei più grandi fotografi del nostro tempo, Robert Capa. Questi, assai noto per aver seguito molto da vicino le vicende del Secondo conflitto mondiale, scattando, nel 1944, numerose fotografie del “D-Day” (ossia del 6 giugno, giorno dello sbarco delle truppe angloamericane in Normandia), seguì anche diverse altre vicende belliche, fra cui quelle dell’occupazione angloamericana della Sicilia. L’immagine in questione ritrae un pastore siciliano anziano e basso di statura, così basso che il giovane soldato statunitense accovacciato sulle sue lunghe gambe sembrava quasi più alto di lui. Ci siamo sempre chiesti in che lingua comunicassero, ma la mano scura del contadino sulla spalla del militare e l’espressione serena di quest’ultimo ci convincono che si capissero, anche se, senza dubbio, con qualche difficoltà. Il pastore stava indicando al soldato, tendendo il proprio lungo bastone, la direzione della ritirata delle truppe tedesche, che si trovavano a Troina, una postazione strategica verso la strada per Messina. Questa foto di serenità, questa idea di racchiudere dietro la bandiera statunitense solo sentimenti positivi e sani valori di lealtà, sembra offuscarsi dopo la lettura del libro di Bartolone. L’autore ricostruisce, attraverso testimonianze e documenti, le stragi compiute dai soldati angloamericani (non solo, quindi, dai tedeschi, di cui si occupa la seconda parte del saggio) nella Sicilia che progressivamente veniva occupata. I fatti sono agghiaccianti, le morti di civili spesso inermi ed incolpevoli sono frutto di un addestramento rigido di chi imponeva ai soldati di sentirsi, prima che uomini e soldati, killer, perché «sono immortali»: è ciò che sosteneva George Patton, generale alla guida della VII Armata, quella appunto che sbarcò sulle coste sicule. Così venivano create delle vere e proprie macchine di morte, uomini creati per uccidere altri uomini con o senza uniforme, proprio come Stanley Kubrik ci mostra in quel capolavoro dell’arte cinematografica che è Full metal jackets (1987), il cui finale segna il momento più alto della tragicità della guerra: l’uccisione di una persona.
Due ostacoli da scavalcare, in nome della Storia La ricerca appassionata dell’autore sembra essere contrastata da due fattori: il primo è il tempo, lo scorrere degli anni, che pian piano farà sì che molte di quelle voci, molte di quelle testimonianze, come quella di Giuseppe Ciriacono, che a tredici anni assistette, il 13 luglio 1943 a Piano Stella, vicino Caltagirone, alla fucilazione del padre, scompariranno. Quella di Bartolone è così una sfida contro il tempo. L’invito dell’ultima pagina del libro è quasi una preghiera per chi voglia farsi avanti e con la propria testimonianza desideri aggiungere un altro tassello alla ricostruzione di qualche strage o segnalarne qualche altra. La ricerca è certosina, carica di passione di chi ama la verità, di chi vuole rendere giustizia a chi non l’ha mai avuta, per far sì che la storia renda omaggio a chi è morto senza una ragione precisa, ma solo perché indossava una camicia nera, come quelle persone uccise nei campi, per il colore dei loro abiti, non precisamente indossati per manifestare un’appartenenza politica, ma solo per esprimere un lutto familiare. L’altro fattore con il quale l’autore deve scontrarsi è istituzionale. Infatti, a dir suo, molti storici tendono a tacere queste vicende per non offuscare la buona luce che illumina la bandiera a stelle e strisce quando si parla della Liberazione d’Italia. Lo stesso fanno i governi che dimenticano queste vittime creando un vero e proprio muro di gomma attorno a chi vuol rendere una luce più chiara e veritiera riguardo queste vicende. E non gli si può dare troppo torto... Se è vero che senza gli angloamericani non ci saremmo facilmente liberati dell’oppressiva dittatura fascista e del turpe giogo nazista, è anche vero che, salvo pochissime eccezioni (quelle, ad esempio, degli stupri di massa effettuati nel Basso Lazio dai marocchini), gli storici di parte antifascista hanno ovattato le tragedie causate dalla coalizione vincitrice, accusando, peraltro, di falsità le denuncie portate avanti dagli storici di parte fascista. Dopo la “scoperta” delle foibe, sarà ora la volta delle stragi angloamericane?
Stragi di povere persone inermi Il lavoro di Bartolone è diviso in due parti: la prima dedicata alle stragi degli angloamericani, la seconda, meno estesa, riguarda, come accenavamo, quelle di stampo tedesco. Sembra ancora inconcepibile che la popolazione possa essere vittima allo stesso tempo tanto degli uni quanto degli altri. Se infatti a rigor di logica i tedeschi ormai, alla fine della guerra, vedevano gli italiani come un popolo “traditore”, dall’altra parte gli angloamericani avevano davanti solo gente stremata dal conflitto e dalla povertà che ben difficilmente poteva rappresentare, per loro, un reale pericolo. Ovviamente, nessun motivo esisteva per compiere tali nefandezze: la guerra purtroppo disumanizza. Basti citare le parole di Bartolone in merito alla succitata strage di Piano Stella:
«Furono assassinati a colpi di fucile mitragliatore il profugo di Vittoria Giovanni Curciullo, il figlio tredicenne Sebastiano, e i calatini Giuseppe Alba, Salvatore Sentina e il reduce della prima guerra mondiale Giuseppe Ciriacono. Solo il figlio dodicenne del Ciriacono, Giuseppe, fu risparmiato. Tutti erano stati prelevati da un vicino rifugio costruito artigianalmente [...] L’eccidio avvenne nel podere n. 26[...] I militari, visti fallire i tentativi di calmare i pianti del bambino con cioccolatini, decidono alla fine di abbandonarlo nella notte nei pressi d’Acate [...] Giuseppe Ciriacono assiste anche ad un tentativo di violenza contro M. G., una bella ragazza diciottenne, da parte di un soldato americano. Nessuno di loro aveva compiuto atti ostili contro gli invasori o possedeva armi. Anzi, qualche ora prima avevamo curato un soldato americano ferito. Per maggiore sicurezza gli abitanti del borgo, alla notizia dell’invasione, avevano interrato le doppiette da caccia, bruciato o nascosto i ritratti di Mussolini e coperto di calce o gesso le frasi inneggianti al Duce. Questo perché, come ricorda una testimone, Rosa Smerlo, “gli americani ce l’avevamo con Mussolini, e appena avessero letto il suo nome avrebbero distrutto la casa...” ».
Non c’è bisogno di commento a tale drammatica sintesi. Forse è anche impossibile commentarla, perché si tratta di atti incomprensibili da parte dei “liberatori”. La causa di tutto questo, non va assolutamente dimenticato, è la sciagurata adesione del regime fascista italiano al criminale progetto tedesco. Tutti questi morti, senza quell’assurda guerra, conosciuti e no, non ci sarebbero stati. Sicuramente alle vittime delle stragi di Piano Stella, di Biscari, di Comiso, di Castiglione, di Vittoria, di Canicattì, di Paceco, di Butera, di Santo Stefano di Camastra (solo per citarne alcune) bisogna prestare più attenzione, più cura: è questo l’appello che trapela dalle pagine di questo libro, in cui il messaggio dell’autore è tutto finalizzato alla giustizia che questa gente merita. Il lavoro di Bartolone, carico di notizie tratte da studi compiuti sulla materia da vari studiosi locali, da citazioni puntigliose e dalla trascrizione di dichiarazioni dei testimoni, si pone come documento alternativo, scomodo, che offre un punto di vista inusuale di questi avvenimenti tragici, che ancora oggi, purtroppo, non hanno avuto il loro giusto spazio nel grande libro della Storia.
Carmine De Fazio
C. D. F., esperto di Cinema, Musica e Spettacolo, nonché di Storia, collabora con varie riviste culturali, tra cui www.scriptamanent.net.È anche socio di Bottega editoriale Srl.
(direfarescrivere, anno II, n. 9, novembre 2006) |