Americani colpevoli come Saddam
di Massimo Fini - 15/11/2006
N
on è questione se siagiusto o meno impiccare
Saddam Hussein.
Il fatto è che questo processo
non avrebbe dovuto esser mai
celebrato. Poiché Saddam, a
differenza dei suoi due figli,
non ha avuto nemmeno il
coraggio di morire in combattimento
e si è lasciato catturare
come un coniglio, andava
fucilato sul posto o poco dopo,
senza ulteriori cerimonie. Non
è infatti contestabile la potestà
dei vincitori di punire i capi
dei vinti, come si è sempre fatto
da che mondo è mondo, ma
di farlo nelle forme del processo,
della legge, del diritto. Con
questi processi, il cui capostipite
è quello di Norimberga, i
vincitori non si accontentano
più di essere tali, ma pretendono
anche, in virtù della loro
vittoria, di essere moralmente
migliori dei vinti, così da
poterli, appunto, giudicare. Il
che fa coincidere diritto e
morale con la forza: la forza
del vincitore. Scriveva il giurista
liberale americano Rustem
Vambery su The Nation il primo
dicembre del 1945, quando
si prospettavano i processi di
Norimberga e di Tokyo:
«Chiunque conosca la storia
del diritto penale sa quanti
secoli, quanti millenni ci sono
voluti per affermare esattamente
l’opposto: il prevalere
della forza del diritto sul diritto
della forza».
I processi dei vincitori ai
(…) vinti sono aberranti anche
perché hanno sentenze già scritte.
Il vincitore, infatti, non potrà
mai ammettere di aver avuto
torto. Non è certamente un caso
che il processo principale a
Saddam, quello su cui si è focalizzata
l’attenzione internazionale,
riguardi un fatto del 1982,
marginale e limitato nel numero
delle vittime, legato, oltretutto,
ad un attentato compiuto contro
il raìs di Baghdad, dove gli
occidentali non sono per nulla
implicati.
Molto più in sordina si svolge
un secondo processo che
riguarda, tra l’altro, la strage di
Halabya, dove l’esercito iracheno,
usando armi chimiche,
"gasò" e uccise tutti i 5.000
abitanti di quel villaggio curdo.
Ma quelle "armi di distruzione
di massa" gliele avevano fornite,
in funzione antikhomeinista,
gli americani, i francesi e, via
Germania Est, i sovietici.
Ancora più dirette sono le
responsabilità degli americani
per i massacri di curdi e sciiti
avvenuti immediatamente dopo
la fine della prima guerra del
Golfo. Come forse il lettore
ricorderà, gli americani, dopo
che i loro "missili intelligenti"
e le loro "bombe chirurgiche"
avevano ucciso 160mila civili,
fra cui 32.195 bambini, lasciarono
al suo posto Saddam Hussein,
cioè il principale responsabile
di quella guerra. "Inspiegabilmente",
ha sempre scritto
la stampa occidentale. In realtà,
non c’è nulla di inspiegabile.
Bush padre lasciò in piedi Saddam
perché reprimesse le rivolte
sciite e curde che gli stessi
americani avevano all’inizio
fomentato per poter fare trionfalmente
e senza danni la loro
passeggiata nel deserto.
Gli sciiti danno fastidio perché
filo-iraniani, i curdi perché il
loro indipendentismo mette a
rischio l’alleata Turchia, dove
vivono dieci milioni di curdi
repressi nel più brutale dei
modi. Quei massacri, quindi,
Saddam li compì anche in conto
nostro e con le armi che noi gli
avevamo fornito. Ma nessun
processo è previsto per questi
fatti molto imbarazzanti per
l’Amministrazione americana.
Comunque sia, il processo a
Saddam si è fatto. E il raìs,
com’era prevedibile, è stato
condannato a morte. Sul Corriere
della Sera il liberale Piero
Ostellino, in polemica con chi
(Bonino, Pannella, Cossiga e
altri) vorrebbe commutare la
pena nell’esilio, scrive che non
possiamo applicare i nostri
princìpi, i nostri valori a «un
Paese tanto culturalmente lontano
da noi» (Corriere, 8/11).
Giusto. Giustissimo. Ma il liberale
Ostellino, tanto diverso dai
liberali d’un tempo, non si rende
conto di darsi una formidabile
zappata sui piedi, sui suoi e
su quelli di tutti coloro che,
come lui, hanno sostenuto a
spada tratta la guerra a Saddam
per portare in Iraq la
democrazia. Cioè i nostri princìpi
e i nostri valori.