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Resoconto conferenza Geopolitica del Mediterraneo: il futuro del Libano e della Palestina

di Augusto Marsigliante - 16/11/2006

Una sala della Trasfigurazione gremita –e non poteva essere altrimenti, considerata la rilevanza dell’evento- ha accolto i due ospiti che hanno dato vita all’incontro, organizzato dal CPE, riguardante la situazione politica del Vicino Oriente alla luce dei gravi accadimenti degli scorsi mesi. Alla conferenza, dal titolo “Geopolitica del Mediterraneo: il futuro del Libano e della Palestina” sono intervenuti il Console Generale del Libano in Italia, Hassam Najem, e il Presidente dell’Associazione Benefica di Solidarietà col Popolo Palestinese, Mohammad Announ. Moderatore della conferenza il Direttore di “Eurasia”, Tiberio Graziani.

 

L’introduzione di quest’ultimo ha posto l’accento in particolare sulle caratteristiche geopolitiche del Mediterraneo: un “mare interno” che ha visto nascere e scomparire numerose civiltà. Periodi di guerra e di pace si sono alternati tra loro, ma da sessant’anni a questa parte, i popoli che si affacciano sul Mare Nostrum non conoscono pace. L’entità statuale sionista, infatti, unica al mondo per la quale i confini non siano stabiliti una volta per tutte (confini mobili, in continuo allargamento), persegue senza sosta l’obiettivo della realizzazione di un “Nuovo Medio Oriente”, così come caldeggiato dal governo di Washington.

 

Graziani ha quindi lasciato la parola al Console libanese. Nel suo intervento, il diplomatico del Paese dei Cedri ha compiuto una panoramica storica del suo paese, fino ai recenti drammatici avvenimenti.

Da sempre terra di conquista a causa della sua invidiabile posizione geografica, nella prima metà del secolo scorso il Libano è stato conteso fra le principali potenze coloniali europee, in particolare Francia ed Inghilterra. Anche il Console naturalmente considera il 1948 una data spartiacque nella storia del Vicino Oriente; da allora, i popoli che lo abitavano da millenni, non hanno avuto tregua.

Il terrorismo sionista nei confronti del Libano è una costante che sovente si è ripetuta negli ultimi decenni: Sabra e Shatila, il bombardamento di Canaa, i 150.000 morti della guerra civile fomentata da Israele in primis, e decine di altre incursioni, bombardamenti, provocazioni… A tutt’oggi l’entità sionista occupa ancora alcune fattorie e villaggi nel sud del paese.

Durante i criminali bombardamenti dello scorso luglio, costati la vita a 1400 libanesi (la maggior parte dei quali bambini, “Errore tecnico” secondo il primo ministro sionista Olmert), ricorda il Console, non sono state risparmiate le terribili “bombe a grappolo” che continuano a mietere vittime a più di tre mesi dal termine dell’aggressione. Vale la pena aggiungere che Israele, quarta potenza militare mondiale, e unica legibus soluta, dotata di oltre 200 testate atomiche –mai dichiarate- non si è fatta scrupolo, aggredendo un paese che dispone di un potenziale militare inferiore di circa 500 volte, di utilizzare altre armi vietatissime dalla Convenzione di Ginevra, come quelle al fosforo. A tutto ciò va aggiunta la distruzione completa di 73 ponti, centrali elettriche, aeroporti, porti, e l’interruzione delle principali vie di comunicazione del paese.

Il diplomatico ha poi ricordato le centinaia di Libanesi ancora detenuti nelle carceri sioniste e inoltre la necessità che, essendo il Paese dei Cedri uno Stato pienamente indipendente e sovrano, sia esso stesso a decidere il proprio destino, senza interferenza di chicchessia, men che meno da parte di Israele. Un chiaro riferimento alle continue intrusioni negli affari interni libanesi da parte di potenze straniere in merito alla questione del disarmo di Hizbollah.  

“E’ ora che in Libano e in tutto il Vicino Oriente” ha concluso l’ambasciatore” torni a risplendere la pace –Salam-“.   

 

E’ stata quindi la volta di Mohammad Hannuon, il quale, in un accorato intervento, ha elencato le cifre dell’Olocausto palestinese: un vero e proprio genocidio, portato avanti con fredda e spietata determinazione. Oltre 4.000 morti palestinesi dall’inizio della Seconda Intifada, un Palestinese su tre è stato almeno una volta in carcere –si consideri che ai fini di legge un Palestinese è considerato maggiorenne al compimento dei 15 anni, a differenza dei giovani israeliani che maturano in più tarda età, 18 anni-, in ogni casa almeno una persona è stata assassinata dall’entità sionista o si è immolata per la Causa. Di fronte a tutto ciò, sottolinea Hannoun, il diritto alla Resistenza per un popolo, così come sancito anche dall’ONU, è per il popolo palestinese del tutto legittimo, di più, sacrosanto. E’ anche, ha specificato, una questione di cultura: chi vuole la pace deve anche impegnarsi concretamente, e non solo a parole, per il suo effettivo raggiungimento.

Da parte palestinese, si arrivò perfino a rinunciare all’80% dei territori, a beneficio dell’entità sionista, pur di ottenere una pace duratura. Ma poiché nel progetto del “Nuovo Medio Oriente” non è prevista la sopravvivenza di un solo palestinese né tanto meno la creazione di un’entità statuale, la carneficina prosegue. Così quello palestinese continua ad essere un popolo senza terra, e Israele continua ad arrogarsi il diritto di spostare arbitrariamente i propri confini, come se attorno all’entità sionista ci fosse solo un grande deserto. E di decidere unilateralmente piani di pace, “Road Map”, costruzioni di muri, e così via. Senza contare centinaia di risoluzioni ONU sistematicamente violate come fossero carta straccia; l’unico paese insomma ad essere al di sopra del diritto internazionale. Diventa quindi doveroso denunciare l’ennesima atrocità come il massacro di 19 Palestinesi avvenuto pochi giorni or sono. Alla fine di tutto questo discorso, risulta chiaro quindi che è Israele a non volere la pace, perché questa Cultura è totalmente estranea al governo di Tel Aviv.

 

In chiusura, i relatori hanno risposto alle questioni poste loro da un pubblico numeroso ed interessato. Fra gli altri, l’accorato appello di un giovane libanese al rappresentante palestinese, affinché si raggiunga quell’unità interna necessaria a fronteggiare un comune e potente nemico;

e l’intervento di Alessandra Colla, direttrice di “Orion”, che ha stigmatizzato la profonda differenza che intercorre tra Resistenza e terrorismo: nella distorta percezione comune –alimentata dai media addomesticati-, un martire che combatte per la Causa del suo Popolo è considerato un terrorista, mentre l’esercito occupante un paese straniero viene legittimato dal fatto stesso di indossare una divisa e di portare la pace e la democrazia –con l’aiuto di fosforo bianco e uranio impoverito-. Si arriva perciò all’assurdo logico e semantico di considerare eroe un mercenario italiano morto in Iraq al soldo di qualche “agenzia di sicurezza”, e all’opposto considerare terrorista chi combatte l’oppressore facendosi saltare in aria a un posto di blocco o al passaggio di una pattuglia.

 

Si è così concluso quest’importante appuntamento organizzato dal CPE, ennesima occasione per poter analizzare il presente momento storico con lucidità e consapevolezza. Un’opportunità sempre più rara, in tempi di pensiero unico.