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A proposito di de-crescita e post-sviluppo: interrogare il mito del progresso

di Salvo Vaccaro - 18/11/2006

 



In quest'ultimo anno, grazie a rilevanti servizi sui settimanali di massa e a coinvolgimenti in trasmissioni televisive (più o meno) di qualità, sembra che il pensiero di Serge Latouche sia fuoriuscito dai limiti ristretti degli addetti ai lavori o degli attivisti no global che l'hanno adottato da tempo tra i propri maitres-à-penser.
In questa sede è forse utile allora iniziare un percorso di approccio alle tesi di Latouche per afferrarne il senso intrinseco e l'effetto di senso voluto e ricercato, nonché l'uso strategico che supera le medesime intenzioni dell'autore. Siccome il pensiero di Latouche si innesta a sua volta in una catena di ragionamenti e riflessioni antecedenti la sua apparizione nel "mercato" delle idee teoriche e pratiche concorrenti tra loro sia per cogliere il mondo, sia per orientarlo mettendosi a servizio di qualche movimento di trasformazione reale, inizierò con una chiarificazione terminologica a mo' di introduzione di metodo - che appunto vuol dire di percorso.
I nomi cardinali sono due: de-croissance e après-developpement, ossia de-crescita e post-sviluppo. Essi non sono sinonimi, seppur in parte sovrapponibili, non sono neutrali già dal loro definirsi a partire da un altro sostantivo preso a punto di referenza, e infine non sono acontestuali rispetto al senso consolidato ed al luogo di provenienza di tali termini.

Sviluppo
Il concetto di sviluppo ha una storia risalente all'epopea illuministica, in cui si irrobustisce l'idea tutta moderna che la direzione verso cui tende il mondo delinea una traiettoria di progressione in avanti, di progresso appunto, e ciò significa un carattere assiomaticamente definito in termini positivi, quindi da valorizzare al massimo. Già il fatto di concepire il mondo come una unità di cui misurare gli scarti rispetto alla sua immobilità è figlia della scoperta copernicana che esautora il comodo posto dell'uomo al centro di tutto, per affidargli il compito di far girare la terra, esattamente come altrove dall'uomo era da ricercare il motore immobile su cui tutto verteva e grazie a cui tutto il resto girava, si muoveva (non più dio, ma il sole). Moderno è ciò che si muove, rovesciando la positività dell'immobilità di una terra piatta e ferma (modello tolemaico), e la direzione verso cui tale movimento si indirizza è nelle mani di un uomo non più garantito in nulla e da nessuno. Quindi più tutto si muove, più il mondo si sviluppa, progredisce, e per ciò stesso migliora perché non sta fermo, non si fa arrestare. Il pendolo del processo simbolico di valorizzazione viene tolto dal lato della conservazione, per oscillare verso la parte riformatore, dinamica, progressista appunto. Non è quindi per mera coincidenza temporale che dai Lumi provengano tutte le teorie radicali di rivoluzione del mondo.

Crescita
Il concetto di crescita è più recente, legandosi alla misurazione di tale progresso in termini per lo più econometrici: il PIL che fotografa la ricchezza prodotta, tradotta in termini monetari, da un sistema produttivo nelle sue varie fasi di produzione-scambio-consumo. La misura segna il destino di un sistema-paese, che lega la qualità asserita come valore positivo, come modello valido da diffondere, al segno + precedente la cifra del pil annuo (lordo e procapite). L'evoluzione di un sistema-paese viene così strettamente legata alla crescita economica, sulla falsa riga di una evoluzione infantile letta esclusivamente in termini di crescita di peso e di altezza - parametri esterni affidabili ma che ogni genitore responsabile si guarderà bene dal considerare totalizzanti, in quanto la qualità della crescita di un bambino nei suoi processi di apprendimento intellettivo è anche segnalata da fattori impalpabili e non riducibili immediatamente ad una cifra quale il peso e l'altezza.
Ovviamente il sistema di capitalismo statuale non è estraneo tanto all'idea di sviluppo fatale che enfatizza il progresso come cornice necessaria ad ogni passo della società, per cui, come ci ricorda Humpty Dumpty in Alice's Wonderland, chi si impadronisce del senso di tale sostantivo, detta la lettura del quadro; quanto all'indice della crescita come dimensione onnivora che ingurgita smodatamente per crescere a dismisura in una opulenza strabica e colpevolmente immemore della violenza con cui sviluppo e crescita si tengono insieme, quella violenza del capitalismo statuale (che si appropria di una dimensione pubblica anche privatizzandola e che al tempo stesso garantisce entro limiti ben precisi il dispiegarsi del privato tutelato dal pubblico statuale) che in cambio di benefici per pochi, colpisce i più (il modello della società dei due/terzi dilatato oggi su scala globale).

Interrogare il mito del progresso
De-crescita e post-sviluppo, in tal modo, intendono innanzitutto segnare una netta linea di cesura rispetto al presente concettuale, interrogando in senso critico il mito del progresso senza limiti e della crescita quantitativa come misure non solo possibili dei livelli qualitativi dell'esistenza al mondo e del mondo, ma anche come lenti auspicabili di lettura dello stato di salute del pianeta da cui ricavare strategie discorsive che rafforzino tali miti. In altri termini, non è possibile ridurre ogni aspetto di qualità della vita alla sua misurazione quantitativa e pertanto alla sua riduzione a cifre esitate da un calcolo economico necessariamente schiavo delle pratiche materiali dei sistemi produttivi e del carico di valore simbolico innervato in esse come olio negli ingranaggi. Indubbiamente, le soglie di collasso ecologico raggiunte da questo modello di capitalismo sfrenato rappresentano un segnale a monte della necessità di lasciar respirare il pianeta dai ritmi di incremento quantitativo raggiunti e sintetizzati nei miti politici della crescita e dello sviluppo, vere e proprie ossessioni di ogni élite di potere al governo ovunque.

Una sfida politica, non solo concettuale
Ma de-crescita e post-sviluppo non sono solo sfide concettuali e teoriche, bensì intendono anche essere sfide politiche reali, ossia traducibili in parole d'ordine per altre linee di evoluzione del mondo e quindi delle poste di conflitto in gioco, dei progetti di alternativa presentabili, degli stili di condotta e di gestione dell'esistenza al mondo praticabili sin da oggi. Proprio perché ogni nuova idea non nasce nel vuoto pneumatico o nel chiuso di un cervello solitario, de-crescita e post-sviluppo sono idee che possono nascere solo nell'ambito di società cresciute e sviluppate, anche troppo evidentemente, dati gli sprechi e le rapine che consentono ad una minoranza del pianeta di usufruire di risorse altrove disponibili ma sottratte ai legittimi proprietari secondo quelle regole di appropriazione privata che devono valere per tutti ma non per alcuni (come ci ricordava Orwell nella Fattoria degli animali). È ovvio quindi che tali parole d'ordine siano territorialmente circoscritte alle nostre società affluenti, ma non perché crescita e sviluppo riguardano solo noi, già arrivati ai limiti della crescita e dello sviluppo; quanto perché là dove crescita e sviluppo dovrebbero ancora arrivare secondo la traccia segnata dal capitalismo statuale nelle sue differenziati fasi geo-storiche (in cui cioè il conflitto geoculturale e socio-economico-politico è a uno stadio da noi sorpassato ma altrove in atto secondo modalità specifiche), proprio là non c'è all'ordine del giorno de-crescita e post-sviluppo perché crescita e sviluppo funzionano solo se esclusive e discriminanti per principio. Non è solo per ragioni legate alla insostenibilità planetaria che de-crescita e post-sviluppo dovrebbero ammantare di sé ogni dinamica nel e del mondo, ma anche perché esse sole sarebbero in grado di orientare il pianeta verso un assetto non autodistruttivo per tutti, anche per coloro che, esclusi e perciò aspiranti alla crescita e allo sviluppo nei termini seguiti dai più fortunati, dovrebbero coniugare, finché sono in tempo, le loro legittime aspirazioni al miglioramento qualitativo dell'esistenza ad un modello specifico che, se proprio vuole assicurare qualità della vita, non può che ripudiare i concetti e le pratiche di crescita e sviluppo, per reinventare una esistenza collettiva e plurale su una scala planetaria di de-crescita e post-sviluppo. Se crescita e sviluppo funzionano necessariamente non per tutti, poiché il capitalismo promette abbondanza e privilegi per pochi ma non per tutti, allora de-crescita e post-sviluppo si incaricano di pensare una terra in cui la qualità della vita diventi prioritaria commisurando le quantità attuali da ridistribuire equamente come un sottoprodotto di una tale idea di terra.

Interrogativi aperti
Detto altrimenti, le idee di cui si fa portavoce sofisticato Latouche, concernono, ma in modi diversi perché differenti sono le condizioni attuali, sia la trasformazione di un modello capitalistico che deve frenare se non vuole scontrarsi con i propri limiti di sostenibilità globale, sia l'adozione di una dinamica sociale ed economica distante dall'asse congiunto di crescita e sviluppo là dove esse dovrebbero ancora arrivare in base al diktat manualistico dell'economia politica capitalistica. Una duplice sfida differenziata, pertanto, anima la teoria della de-crescita e del post-sviluppo. Quanto esse possano essere lanciate in luoghi molto divaricati quanto a pratiche di vita; quanto esse possano essere adoperate come parole d'ordine politiche entro i limiti di compatibilità dettati dal capitalismo statuale globale; quanto esse possano essere concretizzate da un dispositivo tutto politico di stato, seppure profondamente rinnovato perché da radicalizzarsi a sinistra, ecco alcuni degli interrogativi che aleggiano intorno alle tesi di Serge Latouche, dal cui approccio sarà anche proficuo dibattere nel merito degli effetti di senso, simbolico e politico insieme, delle valide provocazioni intellettuali di uno studioso che compara la nostra civiltà con altre civiltà imperniate sul dono piuttosto che sullo scambio, sulla dissipazione piuttosto che sull'incremento produttivo, sulla fantasia mi(s)tica piuttosto che sul cinismo realistico che esautora il pianeta dalla felice pulsione all'utopia.