Ecosistema e civiltà
di Edward Goldsmith - 06/11/2005
Fonte: edwardgoldsmith.com
Le società vernacolari, organizzate in famiglie e comunità e la società moderna, atomizzata, proiettano sul mondo uno sguardo molto divergente. L'ecologia completa e l'ecologia riduzionista riflettono queste due visioni del mondo assolutamente contraddittorie. Un ecosistema in fase pionieristica, cioè ai primissimi stadi del suo sviluppo, dopo aver subito una discontinuità naturale (eruzione vulcanica, terremoto ecc ...) o prodotta dall'economia umana (sviluppo industriale, disboscamento, costruzione di una grande diga...) presenta un insieme di tratti strettamente legati. In un certo senso è il meno vitale degli ecosistemi, quello in cui i caratteri distintivi della vita appaiono meno evidenti, per la semplice ragione che non hanno avuto il tempo di manifestarsi. Fra le altre cose, un ecosistema pioniere si dimostra molto produttivo, il che è apprezzabile per la società moderna produttivista, che ne può prelevare la biomassa, apparentemente in eccesso, trasformarla e metterla in vendita sul mercato internazionale. Il motivo per cui è così produttivo è che le piante pioniere, molto vigorose, crescono in un ambiente semplificato, relativamente aleatorio, libero dalle costrizioni tipiche degli ecosistemi organizzati. Fin dal primo momento i processi naturali di guarigione sono all'opera per permettere all'ecosistema di raggiungere le diverse tappe della successione ecologica verso lo stadio climax. L'ecosistema climax, invece, è pochissimo produttivo di biomassa in eccesso, perché è lo stadio più stabile nelle condizioni particolari e perché, una volta raggiunto, la successione si ferma. Nel mondo naturale in effetti, nessun processo continua indefinitamente, tutti si trovano circoscritti in un ciclo di azioni e reazioni. Nell'ecosistema giunto allo stadio climax (cioè a maturità), i cambiamenti si riducono allo stretto necessario per la manutenzione e le riparazioni dell'immensa vitalità che contiene. Lo scopo non è la produzione in eccesso. Gli ecosistemi pionieri presentano altri tratti così strettamente legati che la presenza degli uni implica quella degli altri. Vi si trova poca diversità e organizzazione. Di conseguenza i loro elementi costitutivi sembrano disposti in disordine, a caso. Inoltre sembrano isolati, suscettibili di uno studio riduzionista, vale a dire individuale. Questi componenti sono anche competitivi, giacché affrancati dalle costrizioni della partecipazione alla coesione con l'insieme, che sono costrizioni interne, autoimposte. Solo si esercitano le pressioni esteriori: competizione, predazione e la cosiddetta gestione (management), né raffinata né efficace. La storia degli ecosistemi pionieri si trova dunque punteggiata di discontinuità notevoli, spesso imprevedibili, alle quali si adattano solo con cambiamenti strutturali di grande ampiezza (caduta e esplosione di popolazioni). Caso, individualismo, competizione, controllo esterno approssimativo e instabilità, queste sono le caratteristiche tipiche dell'ecosistema pioniere; quelle di un mondo in cui le caratteristiche degli esseri viventi restano in germe. Questi tratti sono anche distintivi della società e dell'ambiente degradato di oggi, risultati inevitabili dell'avanzamento industriale che a torto ci viene insegnato a identificare col progresso. Sono le caratteristiche di quello che Eugene Odum chiama un dis-climax.
Le caratteristiche di un ecosistema climax sono diametralmente opposte. Un simile ecosistema è ordinato e il suo comportamento è teleologico, cioè orientato a un fine, quanto meno quello di mantenere l'ordine generale dell'ecosfera. Gli individui vi si integrano a diversi livelli di organizzazione, nel caso della nostra specie: la famiglia, la comunità locale e poi la società. L'ecosistema nello stadio climax, inoltre, dispone di notevoli capacità di autoregolazione per ammortizzare l'impatto delle discontinuità, esterne o interne, sia modificando l'ambiente per proteggersi dai suoi rigori, sia aumentando la propria resistenza alla rottura. Le due strategie proteggono la sua struttura di base dal cambiamento, aumentando la stabilità - o omeostasi - dell'ecosistema. La sua sorte, di conseguenza, dipende molto meno da un gioco brutale di forze esterne. Ordine, teleologia, integrazione, cooperazione, contributo al mantenimento dell'ecosfera. Stabilità e controllo interno caratterizzano l'ecosistema allo stadio climax, ma essi caratterizzano anche le civiltà umane naturalisticamente più evolute, capaci cioè di rispondere alle proprie aspirazioni sociali e spirituali in un ecosistema climax senza degradarlo. Quelle che rispondono particolarmente bene a questa descrizione sono le comunità di cacciatori-raccoglitori. Le popolazioni forestali che praticano l'agricoltura itinerante sui bruciati sanno quasi altrettanto bene muoversi in un ecosistema climax senza distruggerlo. Coloro che passano per essere i più arretrati si trovano dunque vicino al vertice della maturità ecologica, biologica e sociale. Chiaramente qui si tratta di comunità che possono godere di un ecosistema climax già dato alla cui stabilità contribuiscono con la propria forma di vita. Un livello ancora più alto si potrebbe considerare quello delle comunità umane che, per rispondere alle proprie aspirazioni sociali, morali e spirituali, riescono a portare un ecosistema, in un tempo significativamente più breve di quanto farebbe la natura lasciata a se stessa, dallo stadio pionieristico allo stadio climax. Si tratta, come nell'oasi, partendo da una situazione di disastro naturale di rendere la terra abitabile per il maggior numero di forme di vita, che perciò si sentano arricchite dalla presenza umana. È il compito della simbiosi su cui si misura il livello di maturità e che impone una conversione profonda dell'organizzazione sociale ed economica attuale. Può esservi una crescita spirituale umana senza conseguenze per l'ecosfera? Individualmente sì, ma certamente no sul piano sociale. Il livello di una società e la sua stessa capacità di sopravvivenza si misura nei suoi rapporti con la natura.
La moralità di Gaia
Un'etica biosferica, cioè compatibile con la visione ecologica del mondo in cui viviamo, sarebbe soprattutto un'etica che aiuta l'uomo ad assistere il raggiungimento del principale scopo di Gaia che è mantenere la stabilità della biosfera o omeostasi di fronte ai cambiamenti, mentre un comportamento immorale sarebbe quello che riduce l'omeostasi di Gaia e perciò squilibra la struttura fondamentale del cosmo.
Questa era indubbiamente la considerazione che avevano del comportamento etico le società vernacolari del passato. Le leggi, i costumi e le abitudini in quelle società venivano rispettate non solo perché avevano la forza morale di essere state promulgate dagli antenati all'alba dei loro ordinamenti, come la chiama Radcliffe Brown, [1] ma anche perché il comportamento che vi si conformava era visto come capace di mantenere l'ordine del Cosmo. Finché tale ordine veniva mantenuto l'uomo poteva prosperare: se veniva perturbato di fatto l'equilibrio della natura era intaccato e inevitabilmente seguiva il disastro.
Il compito fondamentale nella vita dell'uomo vernacolare era perciò quello di mantenere l'ordine del Cosmo, il che si vedeva realizzare realizzando i rituali prescritti, partecipando alle cerimonie prescritte e in generale osservando la legge tradizionale della sua società. Questa legge la considerava morale e tale che si applicava non solo all'uomo e alla società a cui apparteneva ma anche alla natura e certamente al Cosmo stesso.
Don Placide Tempels, nel suo celebrato libro Bantu Philosophy nota:
"Il comportamento morale per i Bantu è quel comportamento che serve a mantenere l'ordine del Cosmo e che perciò rende massimo il benessere dell'uomo. Il comportamento immorale è quello che riduce il suo ordine, minacciando così il benessere dell'uomo ... " [2]
Questa affermazione si può applicare altrettanto bene alle società vernacolari in ogni parte del mondo. In molte di queste società, la trama dei comportamenti che è giudicata etica è chiamata con una parola che denota sia l'ordine del Cosmo che il "sentiero" la "Via" che si deve seguire per mantenere quell'ordine. Gli Antichi Greci usavano la parola "Dike" che voleva anche dire rettitudine, virtù, onestà e giustizia. Il "Tao" cinese è un concetto molto simile che si riferisce alla "rivoluzione dei cieli" quotidiana e annuale. Secondo de Groot il Tao
"rappresenta tutto ciò che è corretto, normale o giusto nell'universo; che non devia certamente mai dal suo corso. Conseguentemente comprende tutti i rapporti corretti e giusti degli uomini e degli spiriti, che soli promuovono la vita e la felicità universale." [3]
Tutte le altre azioni, che si oppongono al Tao, sono "scorrette, anormali, innaturali" e portano "sfortuna e al male." La nozione buddista di "Dharma", l'"Asha" persiana, e la "Rita" dei Veda sono concetti molto simili: si riferiscono tutti alla Via che l'uomo deve seguire se vuole mantenere l'Ordine del Cosmo, la sola Via che è veramente morale dato che ottenerla significa assicurare il benessere del mondo degli esseri viventi, mentre allontanarsi da lei può solo provocare disastri come alluvioni, siccità, epidemie e guerre.
Anche se molti popoli tribali sembra che non abbiano formulato la nozione della Via in un modo così esplicito, la loro nozione di moralità resta la stessa. Il comportamento morale è anche qui quello che si conforma alla legge tradizionale e che, allo stesso tempo, serve a conservare l'ordine del Cosmo: il comportamento immorale, d'altra parte, è tabù. Roger Caillois scrive:
"Un atto è tabù se disturba l'ordine universale che è contemporaneamente quello della natura e della società ... per conseguenza la terra potrebbe non produrre più i raccolti, il bestiame potrebbe essere colpito da infertilità, le stelle potrebbero non seguire più il loro corso prefissato, la morte e la malattia potrebbero perseguitare la terra." [4]
Conclusione
Secondo questi criteri,evidentemente, non può esistere un'impresa più immorale di quella a cui la nostra società moderna è così totalmente votata: lo sviluppo economico o progresso che comporta la sistematica sostituzione della biosfera con la tecnosfera. Un simile progresso deve inevitabilmente portare alla distruzione, cioè l'annichilimento, del mondo degli esseri viventi. Certo, le alluvioni, le siccità, le epidemie e le altre massicce discontinuità, la cui gravità aumenta ogni anno, sono solo i sintomi di questa distruzione: sono il prezzo da pagare per l'immoralità delle politiche economiche a cui ci siamo dedicati con tanto impegno.
Il solo modo per ridurre la gravità di queste discontinuità è abbandonare quelle politiche e cercare di ricostituire, nella misura in cui è ancora possibile, il mondo naturale che abbiamo così irresponsabilmente distrutto. Certo se vogliamo sopravvivere su questo pianeta per più di pochi decenni, non possiamo far altro che ritornare alla Via e perciò adottare ancora una volta l'Etica della Biosfera, che la Via così fedelmente rispecchia.
Note
1. A. R. Radcliffe-Brown, Structure and Function in Primitive Societies. Cohen and West, London 1965.
2. Placide Tempels, La philosophie bantoue. Traduit du neerlandais par A. Rubbens. Presence Africaine, Paris 1949.
3. H. de Groot, The Religion of the Chinese, London, 1910.
4. Roger Caillois, L' homme et le sacré. Gallimard, Paris 1952.