Dossier su Rémy Chauvin
di Giovanni Monastra - 07/11/2005
Fonte: estovest.net
Rémy Chauvin, nato a Tolone nel 1913, etologo di formazione zoologica, allievo del grande P. P. Grassé, è stato direttore del Centro Nazionale Francese per la Ricerca Scientifica (CNRS), docente di psicofisiologia alla Facoltà delle Scienze di Strasburgo e professore di etologia e sociologia animale alla Sorbona di Parigi. Si è dedicato particolarmente allo studio delle formiche e delle api, portando alla luce aspetti insospettati della loro vita sociale.
Autore di numerosissime opere (più di duecento pubblicazioni e una ventina di libri), tra cui un monumentale Trattato di biologia delle api (Masson, 1968 - 5 voll.), alcune delle quali tradotte anche in Italia da tempo: Il comportamento degli animali (Laterza, 1978), La società degli animali (Laterza, 1984), Il mondo delle formiche (Feltrinelli, 1976), Il mondo dell'insetto (Il Saggiatore, 1967), I superdotati Armando, 1977).
Rémy Chauvin o il rifiuto del caso
Articolo di Jean-Marie Pelt, professore di biologia vegetale presso l'Università di Metz, presidente dell'Istituto Europeo di Ecologia, da Le Monde del 13.01.1989.
R. Chauvin, la cui penna è decisamente generosa, sta per darci la sua ultima opera, Dio delle stelle, dio delle formiche. Questo titolo, un po´ provocatorio, è a immagine dell'autore: un grande uomo di scienza che tuttavia appartiene alla specie di coloro i quali si possono definire dei "rompiscatole". A volte si è convinti, a volte infastiditi, altre divertiti, ma sempre sedotti. A leggere R. Chauvin non ci si annoia mai. Lui non teme la polemica seguendo lo stile degli scienziati del XIX secolo che non esitavano a impugnarla con dovizia. Non si presentò candidamente all'Accademia delle scienze dopo aver strapazzato qualcuno dei suoi membri? e nonostante ciò, che carriera!
Questo professore alla Sorbona ha pubblicato un'opera di duemiladuecento pagine in cinque volumi: Trattato di biologia delle api, apparso come per caso molto seriamente in quel grazioso mese di Maggio 1968, quando l'alveare universitario in piena sciamatura aveva ben altre gatte da pelare.
In questo libro, scritto da uno zoologo, ecco che subito i botanici -anche loro- hanno importanza. I teorici dell'evoluzione generalmente trascurano il mondo delle piante. Chauvin ripara a questa "dimenticanza" spiacevole e introduce, di fatto, nella sua riflessione una considerevole massa di dati fino ad ora trascurati. L'autore -come una volta il suo maestro Grassé- parte in guerra contro un darwinismo "di stretta osservanza", questa religione nata nel XIX secolo i cui dogmi sono singolarmente invecchiati.
Il punto più interessante, a mio avviso, è la critica della nozione del caso, critica che Chauvin riprende senza sosta sotto forme differenti. Questa nozione di caso -al centro anche della teoria neodarwiniana- sarebbe la causa della disperazione delle società contemporanee. Essa determinerebbe l'idea ormai profondamente consolidata nelle mentalità che la vita è totalmente priva di senso in quanto sorta dal caso attraverso il gioco cieco delle mutazioni. Ora per Chauvin questo non è il solo punto, tale idea di caso che si rifà al pensiero greco si fonda su una scienza del tutto rudimentale e contestabile. È questa dunque l'immagine del mondo che ci fornisce la scienza contemporanea? Possono delle persone saperlo per mezzo di nuove idee che non hanno ancora fatto il loro cammino.
Ma un libro come questo accelera con forza il processo di presa di coscienza! I "biogenetisti", che cercano di fabbricare la vita e che fanno in questo senso degli enormi progressi, ci informano che la vita non avrebbe potuto affatto evitare di apparire sulla terra in ragione dell'acqua che essa contiene e della sua distanza dal sole. E non soltanto di nascerci, ma di apparirvi sotto la forma che giustamente conosciamo; la materia non è altro che una macchina atta a formare la vita ovunque sia possibile -e fin nelle regioni più lontane dell'universo come attestato da questi strani messaggeri che sono i meteoriti.
Certo, la vita è nata dallo scontro casuale delle molecole, ma queste erano cosiffatte da non poter reagire altrimenti, poiché le combinazioni possibili erano in partenza estremamente limitate; esse conducevano spontaneamente all'autocomplicazione constatata, quindi alla vita che ne deriva. Sfortunatamente, di questi aspetti oggi ben noti dell'evoluzione "prebiotica" primordiale, gli evoluzionisti classici non hanno tenuto molto conto. La loro dottrina consiste nell'affermare che le mutazioni si producono per caso, e che l'ambiente le seleziona eliminando le non convenienti e le meno adatte. Ma la riflessione è preziosa giacché oggi si sa che sono gli esseri viventi che creano il loro ambiente. I botanici non sapevano da tanto tempo che l'atmosfera è stata esclusivamente fabbricata dalle piante, che hanno così modificato la terra da cima a fondo, rendendo la vita possibile sotto l'azzurro che è proprio del nostro pianeta?
L'ambiente è dunque creato dalla vita. Un domani come spiegare i cicli straordinari dei parassiti che passano per due o tre ospiti successivi prima di completare il loro ciclo vitale? Nel distoma epatico, per esempio, avviene uno spaventoso sperpero di modo che, su quindici milioni di uova deposte, solo una quindicina riusciranno a perpetuare la specie. Questi parassiti accumulano le difficoltà e mettono contro di loro tutte le probabilità di sopravvivenza; e tuttavia sopravvivono da milioni di anni.
Non ci si può non interrogare sul modo in cui il caso avrebbe solo selezionato le complicazioni più folli e più improbabili... Fermiamoci qui per costatare semplicemente che il neodarwinismo ha trionfato facendo astrazione da tutti i fatti che lo infastidiscono: questi fatti li ha spazzati, poi nascosti sotto il tappeto, ma questo ha finito per creare una grossa gobba, impossibile oggi da nascondere.
Chauvin presenta una visone enigmatica dell'universo attraversata da un disegno la cui portata ci sfugge, ma la cui realtà ci si impone! In questo disegno l'uomo è senza dubbio sovranamente importante, anche dal punto di vista della scienza contemporanea. Poiché egli modifica interamente il corso dell'evoluzione, non è che, bene o male, la conduca ormai a modo suo? Ecco, dunque, che la scienza moderna volta le spalle alla disperazione della fatalità e si apre a ciò che sarà forse domani un´immensa avventura, con i suoi rischi, ma anche con le sue speranze! Amo le avventure, e non solo quelle delle piante. Amo Chauvin scrittore e visionario, non solo scienziato. Amo dunque questo libro che vuole essere letto anche se a volte fa digrignare i denti. Sto dimenticando il suo titolo, Dio delle formiche, dio delle stelle. Perché queste formiche? Chauvin le ha studiate per quaranta anni, lui sa come utilizzano la loro arte e ne ha largamente attinto l'ispirazione della sua filosofia e del suo libro.
Senza dubbio è questo il passaggio più curioso di tutta l'opera... Lascio a voi scoprirlo!
Recensione:
La biologia dello Spirito, di Rémy Chauvin, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo, 1995, pp. 256, lire 24.000
Dio delle stelle, Dio delle formiche, di Rémy Chauvin, ed. Paoline, Cinisello Balsamo, 1991, pp. 144, lire 18.000.
Rémy Chauvin, nato a Tolone nel 1913, etologo di formazione zoologica, allievo del grande P. P. Grassé, è stato direttore del Centro Nazionale Francese per la Ricerca Scientifica (CNRS), docente di psicofisiologia alla Facoltà delle Scienze di Strasburgo e professore di etologia e sociologia animale alla Sorbona di Parigi. Si è specializzato nello studio degli insetti sociali (formiche, api), portando alla luce aspetti insospettati della loro vita. I risultati delle lunghe ricerche sono contenuti in più di duecento pubblicazioni e in una ventina di libri, tra cui un monumentale Trattato di biologia delle api (Masson 1968 - 5 voll., 2200 pp.). E' ben noto, da tempo, anche in Italia. Infatti fin dagli anni sessanta sono stati pubblicati vari suoi libri, di argomento etologico, ad opera di notissime case editrici: Il mondo dell'insetto (Il Saggiatore, 1967), La società degli animali (Bompiani, 1971 e poi Laterza, 1984), Il mondo delle formiche (Feltrinelli, 1976), Il comportamento degli animali (Laterza, 1978), L'etologia (Einaudi, 1979), eccellente sintesi di questa disciplina.
All'elenco va aggiunto, I superdotati (Armando, 1977), che in Francia ha venduto più di centomila copie, dedicato ai bambini con eccezionali qualità intellettive, argomento a cui non poteva rimanere indifferente uno studioso degli psichismi propri ai viventi, quale è Chauvin. Talora le sue idee sembrarono strumentalmente funzionali in chiave anti-Lorenz, fondatore con Tinbergen della scuola obiettivistica, dato che lo studioso francese è propenso a considerare altri aspetti, spesso inconsueti, oltre all'innato, nella valutazione delle basi comportamentali degli animali. La sua posizione, a tale proposito, è differente da quelle degli innatisti spinti, ma anche degli ambientalisti, che fanno risalire tutto ai condizionamenti esterni.
L'etologo francese dichiara espressamente di essere più interessato ai comportamenti complessi che ai gesti isolati, la cui sommatoria, successiva all'analisi, gli appare riduttiva e fuorviante se non si va oltre. Lo "psichismo" è una dimensione rilevata da Chauvin in moltissime specie e la sua manifestazione, pur avendo una chiara base genetica, non gli appare deterministicamente dettata dai cromosomi: infatti, studiando individui cospecifici, o lo stesso soggetto esaminato in successione nel tempo, ci mostra numerosi esempi di strategie, tra loro diverse, atte a risolvere il medesimo problema ("variabilità comportamentale"). Queste scoperte gli sono state possibili mediante l'uso di un metodo di indagine (per altro comune pure ad etologi come Dembowski, Gromysz), lontano sia dal riduzionismo laboratoristico dei comportamentisti, che alienano l'animale dall'ambiente, sia dalla pura descrizione, talora aneddotica, dell'agire spontaneo in natura.
La tecnica consiste nel porre l'animale di fronte a dei problemi, per capire le diverse potenzialità comportamentali proprie ai vari soggetti nel superare sfide insolite. "Si vede bene, allora, come il centro di interesse del naturalista si sposti nettamente su quello che fa l'animale, invece di occuparsi esclusivamente del come lo fa. Perchè lo fa in cento modi diversi", scrive Chauvin (L'Etologia, p.28). Ne consegue che i migliori risultati si possono ottenere esaminando i comportamenti più complessi, strutturati e inventivi, in quanto ricchi di plasticità, come, ad esempio, l'attività costruttiva e gli stessi rituali di accoppiamento.
Un etologo noto anche al grande pubblico della televisione, Giorgio Celli, a cui dobbiamo in parte la diffusione del pensiero di Chauvin in Italia, ha scritto che lo studioso francese "ha una predisposizione peculiare per l'eresia. Ama le ipotesi audaci, ha un gusto spiccato per il paradosso, l'analogia e la metafora, figure retoriche che egli riesce spesso a trasformare, quasi miracolosamente, in autentici grimaldelli sperimentali... Ogni libro di Chauvin è costruito attorno a un'ipotesi, che ordina, magnete gnoseologico, tutto il materiale sperimentale, presentandocelo in una nuova, suggestiva, configurazione... Il comportamento degli animali non va studiato dal basso, ma dall'alto... Il rovesciamento del canone epistemologico dal semplice al complesso, nell'altro dal complesso al semplice, teorizzato da Chauvin, e che potremmo chiamare analisi-inversa, ha indotto da sempre l'etologo francese a interessarsi degli aspetti più macroscopici e complicati del comportamento" (prefazione a L'Etologia, pp. XII-XIII).
In definitiva l' "analisi-inversa", di cui parla Celli, si configura come un approccio di tipo olista. Si tratta del sovvertimento di uno dei capisaldi delle classiche procedure conoscitive basate sui paradigmi riduzionisti della scienza egemone nel Novecento, la scienza "normale", intesa nella accezione propria a T.Kuhn. E Chauvin ha dimostrato che questo slittamento epistemologico è fecondo di risultati sperimentali. Non meraviglia, quindi, che un autore aperto a tali concezioni abbia apprezzato molto le idee di un paleontologo sanamente "eretico" come Roberto Fondi, tanto da stendere una favorevolissima prefazione al suo La révolution organiciste (Livre-Club du Labyrinthe, Paris, 1986), edizione francese, riveduta e ampliata, di Organicismo ed evoluzionismo, Intervista sulla nuova rivoluzione scientifica (il Corallo - il settimo Sigillo, Padova e Roma, 1984).
In concomitanza con l'uscita in Francia del testo di Fondi, Chauvin pubblica il suo primo libro di critica serrata al riduzionismo in biologia, di cui il darwinismo in tutte le sue forme costituisce una manifestazione infestante, metastatica, basata su "superstizioni". Si tratta de La biologia dello spirito, seguito poi da Dio delle stelle, dio delle formiche, dove riprende espressamente le tesi oliste di Fondi, tesi, per altro, apprezzate anche di recente dall'epistemologo Ervin Laszlo (cfr. Alle radici dell'universo, Sperling & Kupfer, Milano, 1993).
A questo punto si impongono alcune brevi considerazioni. Ci sembra, infatti, molto indicativo il destino contraddittorio delle idee di Chauvin in Italia, destino che rivela la pervicace esistenza, nel nostro paese, di una censura editoriale sottile, ma inflessibile. Infatti nè Giorgio Celli, nè altri estimatori, si sono minimamente curati di diffondere le più recenti riflessioni controcorrente dell'entomologo francese, appunto perchè ormai troppo eretiche, quindi pericolose per la nomeklatura scientifica italiana, data l'alta qualificazione del loro autore. Così è sceso il silenzio. La parola d'ordine deve essere stata: ignorare. Nessuna casa editrice famosa se ne è curata. Tutto troppo perfetto per ritenerlo casuale.
E, paradossalmente, proprio Chauvin ci insegna che il caso riveste un ruolo modesto perfino nell'agire della natura. Siamo agli antipodi della Francia, quanto a tolleranza nel dibattito scientifico: lì, tra le varie recensioni positive, ne è apparsa addirittura una su Le Monde (13/1/89), dedicata a Dio delle stelle, dio delle formiche, dal titolo "Rémy Chauvin o il rifiuto del caso" di Jean-Marie Pelt, qualificato esponente del mondo accademico, professore di biologia vegetale presso l'Università di Metz, presidente dell'Istituto Europeo di Ecologia. L'etologo francese viene definito "un grande uomo di scienza che tuttavia appartiene alla specie di coloro i quali si possono definire dei 'rompiscatole'. A volte si è convinti, a volte infastiditi, altre divertiti, ma sempre sedotti. Leggendo Rémy Chauvin non ci si annoia mai".
Crediamo che l'attitudine provocatoria, in senso positivo e fecondo, dell'entomologo transalpino non potrebbe essere sintetizzata meglio. Il tipo di ricerca da lui condotto ci ricorda spesso quella del biologo elvetico Adolf Portmann, secondo il quale nelle retrovie della scienza esistono, di fatto, numerosi problemi basilari ancora aperti, ma che l'assoluta maggioranza degli scienziati ritiene già risolti in modo soddisfacente. Non a caso gli studiosi che se ne occupano vengono spesso emarginati o denigrati.
Così, da noi, meritoriamente, solo le edizioni Paoline hanno pensato di fare conoscere le idee e le riflessioni di Chauvin sulla natura, il suo divenire, le sue leggi. La biologia dello spirito (arricchito da numerose note esplicative del curatore scientifico della casa editrice italiana) e Dio delle stelle, dio delle formiche si leggono in sequenza, quasi come un unico testo, nonostante alcune forse inevitabili ripetizioni. L'idea di programma, dietro cui si cela un Artefice che talora ricorda certi tratti dell'Uno plotiniano, nel suo aspetto immanente alla natura, fa da filo conduttore ai due libri, anche se, in parte, è presente in altri precedenti.
Si potrebbero pure riscontrare alcuni punti di contatto con i teorici della Gnosi di Princeton. L'autore vede l'evoluzione del vivente diversamente da un processo lineare di accrescimento della complessità: piuttosto come un insieme, irreversibile, di esplosioni di vita, discontinue, a vari livelli e in varie direzioni, contrassegnato da una estrema libertà creativa, talora incredibile per la complicazione dei risultati ottenuti. Chauvin spazia, con dovizia di esempi, tra insetti, uccelli, mammiferi, senza per questo dimenticare il mondo delle piante, quasi sempre trascurato dagli evoluzionsti darwiniani. Proprio studiando certe relazioni assai strette e di estrema complessità, tra animali e vegetali, ci si rende conto che risulta impossibile ritenere il caso l'artefice di simili realtà. Una selezione ambientale cieca che agisca su variazioni puramente stocastiche, cioè casuali, sia pure per un lungo periodo di tempo (altro mito darwinista), non può dare luogo agli stupefacenti fenomeni di mimetismo che in natura spesso avvengono senza alcun vantaggio per chi li possiede. La selezione può solo stabilizzare, senza creare forme nuove.
Il pensiero casualista, nel suo semplicismo, denunciato dall'autore, dimentica (di proposito) che il mimetismo spesso non riveste carattere adattativo poichè è gratuito, inutile per la lotta della vita. Infatti a volte vengono imitati modelli di organismi anch'essi oggetto di predazione o le somiglianze possono presentarsi tra specie geograficamente lontane o, comunque, situate in ambienti diversi (ad esempio, foresta e piantagioni), per cui i predatori non sono gli stessi, cosa che rende inutile mimare la specie non commestibile. Chauvin rileva che la vita è un fiorire di soluzioni e strategie comportamentali differenti, atte a risolvere in modo sempre soddisfacente uno stesso problema, talora con mezzi elementari, talora invece con raffinatissime complicazioni, che coesistono nel medesimo ambiente. Ciò lo induce ad asserire che non esiste "necessità" nel processo evolutivo, in quanto ogni sua creazione risulta difficilmente valutabile con criteri utilitaristici, ma sembra piuttosto come "l'arte per l'arte". Quindi, tanto meno gli appare credibile la sociobiologia, spesso smentita dai dati sperimentali.
Da parte nostra ricordiamo che i darwinisti, ad esempio, non riescono a comprendere nei loro schemi il successo in natura degli organismi asessuati, semplici nella loro visione, accanto a quelli sessuati, estremamente più complessi, tanto che un noto biologo, J.Maynard Smith, ha definito la loro esistenza "uno scandalo evolutivo" (Nature, 324, 1986).
Come ha osservato Pelt, nella citata recensione, "il neodarwinismo non ha trionfato che facendo astrazione da tutti i fatti che lo infastidiscono: questi fatti li ha spazzati, poi nascosti sotto il tappeto, ma questo ha finito per creare una grossa gobba, impossibile oggi da nascondere". Chauvin, continuando nella critica alla sopravalutazione del ruolo selettivo dell'ambiente, sottolinea che nell'intestino delle termiti, si sono "evolute" forme parassitarie assai complesse accanto a forme molto elementari: con tutta evidenza il sito in cui vivono non può aver favorito alcunchè, essendo omogeneo, per cui ne deriva che, se questi organismi "seguono un loro programma, che prescinde dall'ambiente, allora l'interesse va spostato dall'ambiente alla programmazione" (Dio delle stelle, p.134).
Recentissime acquisizioni (1993) hanno confermato la ridotta rilevanza delle "nicchie ecologiche" quali strumento ambientale per far nascere nuove specie: infatti i pesci della famiglia dei Ciclidi si sono differenziati in modo impressionante pur vivendo nello stesso luogo, quasi a dimostrare una spinta endogena venata di psichismo. D'altra parte, la mutazione genica, anche quando ricorre di frequente, non equivale a evoluzione: è il caso dei batteri, fluttuanti dal Precambriano attorno alla stessa struttura di fondo (lo aveva già notato Grassè).
Bisogna, invece, fare riferimento all'idea di programma globale, mutuata dal mondo dell'informatica, il "magnete gnoseologico", di cui parla Celli, che imprime un nuovo ordine e un nuovo significato a una gran quantità di dati sperimentali, presentati con accuratezza nei due libri. In definitiva esso costituisce la metafora di una volontà soggiacente e permeante la natura, di cui i singoli esseri non hanno coscienza, una goethiana "forma impressa che viva si sviluppa", situata al di là del tempo, ma agente nel tempo, non direttamente sperimentabile, però evidente nei suoi effetti. A questo proposito l'autore introduce, come Fondi, alcune idee della nuova fisica (Costa de Beauregard, Fantappiè, Wigner, Bohm), ricordando che nell'universo relativista esiste un diverso concetto di tempo, lontano da quello postulato dal positivismo, inteso come flusso unidirezionale oggettivo.
Il tempo, come già ipotizzava Aristotele, sembra essere più che altro un attributo della psiche, che lo vede come una successione lineare di eventi divisi tra un passato perduto per sempre, un presente fuggevole e un futuro ignoto. Per la nuova fisica, invece, esso è un unico evento, dove possono avere senso sia le cause iniziali che quelle finali, senza scadere in un finalismo estrinseco e ingenuo, da lui definito "bernardinismo" (da Bernardin de Saint-Pierre), che Chauvin rifiuta. Piuttosto il suo finalismo è equiparabile "a un affossamento o a un pozzo, che con la sua semplice presenza attira e raccoglie le acque vicine" (Dio delle stelle, p.123): un attrattore, appunto.
Facendo riferimento a una immagine olista, secondo cui il mondo vivente è "un unico organismo", situato tra i poli del macrocosmo (le stelle) e del microcosmo (le formiche), ambedue regolati dall'Artefice, l'etologo francese afferma che il modo in cui la nostra mente "agisce sul corpo è probabilmente, in sintesi, un esempio di come la volontà evolutiva opera sulla materia animata" (La biologia, p.19).
Proprio per suffragare questa ipotesi, l'autore riporta i dati di alcuni interessanti, e indiscussi, esperimenti di parapsicologia condotti da Carrol Nash, tesi a verificare se sia possibile influenzare le mutazioni geniche mediante la volontà umana. In effetti i risultati ottenuti con sessanta soggetti, in presenza di un egual numero di provette contenenti una sospensione di batteri Escherichia coli, si sono dimostrati statisticamente significativi: la mutazione da una forma all'altra del microrganismo si era realizzata secondo la direzione "desiderata" dai collaboratori alla sperimentazione.
Rifiutando di vedere l'evoluzione come un processo lineare che culmina casualmente nell'uomo, Chauvin studia con estrema cura tutte le forme di psichismo, tra cui, importantissima, la "coscienza di sè", presenti anche in gruppi zoologici lontani dall'uomo, come gli uccelli, ricchi di stupefacenti esempi di capacità "riflessiva" (osservazioni in parte analoghe sulla "identità" di primati e uccelli sono state fatte di recente da Danilo Mainardi).
Così Chauvin infrange un altro tabù dei neodarwinisti, quello dello studio maniacale dei soli primati, considerati aprioristicamente gli animali più evoluti anche dal punto di vista psichico, in quanto anticamera della nostra specie: nulla di più unilaterale. La sua posizione, però, lo porta a ridare dignità all'uomo in quanto tale, con la sua estrema complessità, non più frutto fortuito di un cieco processo, ma un essere in cui sono sintetizzati multiformi caratteri presenti separatamente in varie specie animali, tra loro spesso filogeneticamente lontane, un essere qualificato dal sapere riconoscere il vero, il bello e il bene.
Sotto il profilo antropologico, Chauvin definisce l'uomo come colui il quale "accende il fuoco, cuoce gli alimenti e seppellisce i morti", ma anche invoca gli dei: è quindi aperto verso l'Alto (La biologia, p.216). "Svalutare l'uomo -scrive- fu, in effetti, un'impresa sciocca e dannosa, perseguita per anni da materialisti e meccanicisti famosi nel tentativo di spiegare il complicato attraverso il semplice, il tutto mediante le parti, la psicologia umana per mezzo di quella del topo" (La biologia, pp.204-5). Contro questa esasperazione analitica Chauvin lotta con fermezza, in nome di una conoscenza globale, integrale, conoscenza che si incentra sull'imitazione, a vari e tra vari livelli, di cui la natura, nei suoi processi ricorsivi, ci fornisce numerosi esempi: essa, infatti, "tende a imitare se stessa senza un preciso motivo, tanto che viene da chiedersi chi sia l'imitatore e che cosa imiti" (Dio delle stelle, p.136).
A conferma delle osservazioni di Chauvin, possiamo ricordare lo stupefacente esempio degli eterocefali glabri, roditori ipogei, quindi mammiferi, che presentano un altissimo livello di socialità, "imitando", ossia riproducendo alla perfezione la struttura coloniale degli insetti sociali, specie api e vespe, compresa l'esistenza di una regina (P. W. herman e al., Le Scienze, ottobre 1992)! L'Autore ci suggerisce che la natura, satura di informazione, nel suo operare è ancora misteriosa, e probabilmente lo sarà sempre per la scienza moderna: "l'essenza della natura ama nascondersi", diceva Eraclito.
Oggi i teorici del caos e dei frattali devono riconoscere che esiste un ordine soggiacente al mondo fisico, di cui si può percepire qualcosa, ma che resterà inconoscibile a causa di radicali impedimenti di ordine gnoseologico (cfr. J. Briggs, L'estetica del caos, red, Como, 1995). L'evoluzione procede in senso circolare, forse a spirale: dall'alto può sembrare un cerchio formato da molteplici cerchi sovrapposti, più o meno coincidenti. I vari soggetti finiscono con l'identificarsi, in un gioco cosmico di ruoli mutevoli a più livelli, dove si evidenzia l'ordine costruttivo della natura, lontano dai nostri modelli fabbricativi, analitici, banalmente meccanici, ordine di cui siamo parte e tutto.
Per finire, una critica e un aggiornamento. Se ci sembra interessante il concetto di "programma", riteniamo però che Chauvin avrebbe dovuto ricordare meglio i limiti di questa metafora: come infatti ha dimostrato Roger Penrose la logica sottostante i calcolatori è irrimediabilmente diversa da quella che presiede i processi mentali, anche inconsci.
Inoltre l'affermazione che l'atmosfera primordiale era costituita da idrogeno, metano, ammoniaca e acqua andrebbe aggiornata seguendo le più recenti teorie, secondo cui invece a farla da padroni erano l'anidride carbonica e l'azoto, espulsi dai vulcani, in un'atmosfera arroventata dall'effetto serra, per cui i famosi esperimenti di simulazione condotti da Stanley Miller in laboratorio sono privi di valore (cfr. J. Horgan, In the beginning, Scientific American, Feb. 1991). Ma si tratta di rilievi minimi.