E c’erano pure i giorni di magra… Il villaggio medievale russo
di Aldo C. Marturano - 28/11/2006
Olga di Kiev nel 945 dopo la morte di suo marito Igor ucciso in un agguato dai Drevljani del fiume Uzh, vicino a Kiev, si reca a Novgorod per riconfermare (o meglio imporre) gli accordi previi già in vigore con la mafia variago-slava di questa città e per far sapere che lei funge da reggente in attesa della maggiore età del figlio, il piccolo Svjatoslav. I traffici nord-sud attraverso il Dnepr perciò: Che continuino senza interruzione! Anzi! Abbiamo visto come Olga si premuri di “appropriarsi” intorno alle rive sud del lago Ilmen di alcune aree forestali chiamate “riserve di caccia di Olga” (Olzhinye lovisc’cia/Олжиные ловища) in modo da poter essere sicura, in caso di tradimenti sempre possibili da parte di questi infidi smierdy del nord, di sfruttare quella parte di “suo” territorio per l’approvvigionamento dei magazzini di Kiev con le preziose pellicce e le altre merci da mandare a Costantinopoli con cui ha stipulato accordi vantaggiosissimi!
E sarà il primo “furto statalizzato” della storia russa! Olga però, da persona attenta e oculata, sa benissimo che quella parte di territorio requisito per sé (Olga è più o meno di quelle parti) intorno a Lagobianco (Belo-ozero/Бело-озеро) è scarsamente abitata da genti finniche imbelli e quindi non ci sono problemi di conflitti con eventuali proprietari, come invece accadrà secoli dopo a Giorgio Lungamano, per l’acquisizione del colle sul quale si costruì Mosca. E’ da notare invece che non si preoccupa di assicurarsi forniture alimentari dal nord poiché non c’è alcun prodotto nordico da mangiare che l’attragga! L’élite kieviana da questo lato è già coperta! Su insegnamento dei grandi commercianti ebrei locali (i rahdaniti), compra direttamente cibi sopraffini dall’estero, in cambio di pellicce, miele e schiavi, come abbiamo tante volte detto ricordando le dichiarazioni del figlio Svjatoslav e spulciando i trattati fra la Rus’ e Bisanzio! Addirittura, Kiev viene a conoscenza persino del riso (Oryza sativa) che, attraverso i rapporti rahdaniti con la Cina, si coltivava nella zona dell’Anticaucaso intorno all’XI sec., sebbene ufficialmente il riso approdasse nella culinaria russa (col nome di grano saraceno) in una nota di un monaco del Monastero di san Cirillo di Lagobianco soltanto nel XVI sec.!
Il Knjaz insomma non teme né carestie né epidemie e si fa servire a tavola ogni ben di Dio! Sappiamo benissimo che i magazzini del suo terem sono pieni zeppi di derrate alimentari d’ogni tipo perché, lo rammentiamo ancora, ce lo raccontano le Cronache!
Questo non vuol dire che nel nord se la passassero male, anzi! A Novgorod, dove abbiamo più prove documentarie, già nell’XI-XII sec. (qualche tempo dopo Olga di Kiev) e dove abbiamo sentore della nascita di una nuova classe dagli smierdy ora diventati artigiani, dalla ricchissima corrispondenza su corteccia di betulla di quel periodo, le cosiddette berjosty, risulta tutta una serie di derrate alimentari che circolavano senza problemi (è divertente leggere la raccolta di E. A. Rybina): segala, frumento o pane di frumento o di orzo, avena, sale, pesce (quest’ultimo è statisticamente il cibo più diffuso, qui al nord), mjod, formaggio (naturalmente sotto forma di formaggio fresco) e burro (o forse olio visto che la parola maslo per olio e per burro è la stessa in russo!). Inoltre dalla storia di quest’ultima città sappiamo che, mentre Kiev in pratica fu distrutta dall’assalto dei Tatari nel 1240, l’evoluzione delle forniture alimentari fu tale che nel 1470 vi si poteva trovare sulla tavola dei bojari locali o dell’Arcivescovo dal vino di Borgogna al riso pilaff, dalle mele ai fichi e tantissime altre bontà “meridionali”.
Ed allora qual è il ruolo “alimentare” del mir nello stato vladimiriano? Può una crisi economica generarsi a partire dal mir e toccare Kiev?
Il problema che assillò l’uomo medievale (ma assilla anche quello moderno!) era quello della fame. Tranquillamente possiamo affermare che tutta la storia umana nasce e si sviluppa minacciata dalla necessità di soddisfare adeguatamente questo bisogno fisico-culturale vitale. Con questa necessità si intrecciano tutte le possibili attività umane e misure collegate quando l’uomo tenta di sottrarsi alle malefatte dei “capricci” della natura (clima, calamità, catastrofi) non ancora imbrigliati dalla sua scienza o dalla sua politica (che oggi però stima potenzialmente onnipossenti!).
Eppure a leggere Matteo 6,16-18, Cristo aveva detto che l’uomo non deve preoccuparsi “su quello che mangerà e berrà” o se il corpo è vestito male e non è in ordine. L’importante è sopravvivere e Dio avrebbe pensato a questo e per questo motivo il Cristianesimo esortava come esempio valido anche per gli uomini di guardare gli uccelli del cielo: “Non seminano, né mietono, né ammassano nei granai, eppure il padre vostro celeste li nutre.” … “Di tutte queste cose si occupano i pagani …Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date come aggiunta.”
E qui conviene dire qualcosa sui Kalekì Perehòzhie per capire la loro funzione societaria, se ne abbiano mai avuta una. Quanto detto nel Vangelo sopra riportato era parzialmente parafrasato da costoro poiché si racconta che raccontassero sull’uliza del mir che avessero una volta chiesto a Cristo come fare a nutrirsi, essi che non coltivavano e si alimentavano solo della parola di Dio. Udito il loro pianto sembra che Gesù avesse detto con la sua voce dal Cielo: “Non piangete! Vi darò una montagna d’oro, un fiume dove scorre miele e sarete sazi e ebbri, vestiti e calzati!” e sembra che i Kalekì Perehòzhie avessero risposto che se avessero ricevuto tutto ciò, ci sarebbero stati liti e guerre perché tutti avrebbero cercato di prendere di più e agli altri. In altre parole, si sarebbero poi dovuti comportare come i bojari o il Knjaz! Bastava invece il suo nome da glorificare e sicuramente attraverso esso si sarebbero saziati e vestiti e calzati! In altre parole, in suo nome avrebbero chiesto l’elemosina e avrebbero vissuto sempre glorificando Dio!
Dunque la fame o l’impossibilità pratica di produrre cibo rappresentava la vera povertà e con la nuova consolante parola evangelica colui che per varie ragioni non riusciva procurarsi col proprio lavoro il cibo quotidiano, ora poteva contare su Dio e sull’obbligo di elemosina imposto dalla nuova religione cristiana, sebbene questi buoni propositi non fossero una cosa nuova nel mir, come noi già sappiamo, poiché tutti i membri del villaggio aiutavano comunque chi non poteva a mangiare e a vestirsi, da sempre.
E allora che cos’era la ricchezza? Il poter mangiare a sazietà e… sempre! Anzi! Per curiosità del lettore possiamo dire che gli erbari del XVI sec. ci informano che una malattia abbastanza diffusa nelle classi nobili era la cosiddetta vyciscenie zhivotu ossia il vomito frequente a causa… del mangiar troppo!
Se le classi dominanti nel Medioevo risolsero il problema della propria fame affidandosi a vari sistemi di prelievo forzato di cibo dalle classi dominate, su queste ultime ricadde tutto intero il compito di affrontare e risolvere i momenti di crisi della produzione di cibo. Siccome parliamo di una civiltà eminentemente agricola, quale era quella della Rus’ di Kiev al momento del suo apogeo, è al contadino, allo smierd, che dobbiamo continuare a rivolgere la nostra attenzione per sapere come il mir affrontava le calamità che si abbattevano sul suo lavoro e sulla sua vita.
Il compito della Chiesa Russa di sacralizzare la persone del Rjurikide che siede sul trono di Kiev, si può dire compiuto intorno al XII sec. proprio quando comincia la disgregazione della Rus’ di Kiev stessa. Tuttavia non è una sacralizzazione “agricola” come si potrebbe chiamarla raffrontandola con quella dei regnanti slavi d’occidente in cui il principe appare come il protettore dei contadini e contadino egli stesso, ma è la sacralizzazione del capo di un potere militare oppressivo e repressivo e dunque pericoloso per il mir. Essa è basata sulla persona del Velikii Knjaz non come intermediario fra gli uomini e le divinità, ma sulla sua potenza armata in grado di dispiegare e il patto sociale primitivo fra la mafia variago-russa e il resto dei sudditi raccolti nei mir si basò sul terrorismo e sulla razzia in un sistema che Jared Diamond ha chiamato con un termine indovinato, cleptocrazia. Giustamente M. Pokrovskii dice che l’occupazione unica che il Knjaz sentì come sua propria fu quello di far guerre e razzie ovunque sui territori vicini! Il Cristianesimo interverrà numerose volte per attenuare la durezza di questo regime, ma prendendo sempre le parti del signore di Kiev, esaltando la sua figura di padre benevolo dei sudditi e nascondendo il sistema perverso della riscossione delle imposte e dei tributi dovuti al mantenimento del lusso della corte kieviana. Lo smierd rimarrà così coinvolto nel mantenimento del Signore (Gosudar’/Государь) in tutti i bisogni vitali di quest’ultimo, sebbene indirettamente e di certo non solo con le derrate alimentari. Nei documenti c’è un accenno alla riorganizzazione del flusso di cibarie provenienti dalla campagna verso Kiev al tempo di Jaroslav, ma è poca cosa, quando ci accorgiamo che il cibo accumulato nei magazzini del terem del Velikii Knjaz è un insieme di prodotti eminentemente esportati e non consumati. Il Velikii Knjaz non ha problemi di fame, ma di scelta del cibo!
Il contadino, che è sempre stato il più attento ed antico osservatore della natura, per vincere una minaccia improvvisa di rimanere senza cibo ha posto da sempre la sua massima attenzione sugli altri esseri viventi (e quelli che pensa essere tali) intorno a lui per capire come questi riescano a superare eventuali simili crisi. Una volta individuate le soluzioni che crede di vedere adottate dai suoi simili “inferiori”, le sperimenta su se stesso. Come animale foresticolo inoltre ha a disposizione una casistica molto ampia e si accorge che, sebbene la fame sia la minaccia più terribile che incombe sulla sua vita, entro certi limiti temporali e spaziali essa può essere scongiurata con vari espedienti che poi va migliorando con il passar del tempo!
Ad esempio, ha notato che d’inverno alcuni animali per non dover inutilmente cercare e non trovare il cibo che loro necessita… dormono! Alcuni fanno provviste, altri si ingozzano e riescono a tener in serbo il cibo in più per i momenti di fame. Altri migrano per tornare con la buona stagione e riprendere a vivere nell’ambiente avito. Ci sono quelli che vagano nella foresta e talvolta si avventurano fuori di essa alla ricerca di cibo e, se non ne trovano, soccombono! Le piante sono le più straordinarie. Vanno in quiescenza perdendo le foglie e riducendo la loro vita al minimo possibile o restano nascoste sotto la neve o sotto il ghiaccio fino a quando il sole le risveglia a nuova vita. Altre vivono una sola stagione ed evitano la cattiva stagione affidando il compito della vita alla discendenza. Siccome l’uomo fa parte di questo universo, non ci sono dubbi! Devono esserci anche per lui delle misure in qualche modo altrettanto efficaci quanto quelle degli animali e delle piante, per evitare la fame. E qui si scontra con il fatto che il cibo per lui non è solo alimento, ma prima di tutto oggetto di cultura, di distinzione di classe e di religione, etc. come d’altronde abbiamo visto già nel corso di questa nostra ricerca.
Oggi noi, vivendo nella parte più “fortunata” del mondo, abbiamo relativizzato questo bisogno impellente di cibo e ci siamo organizzati per poterlo soddisfare senza grandi sforzi, ma esiste ancora grandissima parte della popolazione della Terra che non riesce a sopravvivere alla fame o alla malnutrizione e ne rimane talmente debilitata da risultare handicappata per il resto della vita, addirittura mettendo in forse l’esistenza della società in cui vive. Dice Camporesi che il problema della fame non è la mancanza delle derrate, ma il fatto che esse siano concentrate in luoghi dove c’è meno bisogno! Alla fine però è la fame che costruisce le società umane e perciò ne regola le relative attività. Di qui si muove la nostra storia e di qui crea colonialismo e imperialismo, guerre e distruzioni.
Da un certo punto di vista però la fame è positiva perché spinge l’uomo all’esperimento e alla ricerca o lo orienta verso la sublimazione religiosa e l’abnegazione. Non ci deve meravigliare perciò, se la fame cronica del Medioevo (perle classi menabbienti) si era rifugiata nella religione e nella spiegazione magica dell’universo. Non solo! Per lo smierd (al contrario del contadino europeo occidentale suo contemporaneo) era proprio il suo Paganesimo che gli offriva le maggiori garanzie per risolvere tutti i problemi legati alla produzione del cibo e alla sua preservazione.
Diciamo la verità! Difficilmente il contadino si lascia sorprendere dalla carestia poiché è abituato da sempre a mettere roba da parte per qualsiasi infausta occasione. Infestazioni, epidemie e epizoozie (persino le cavallette sono registrate dalle Cronache nella zona di Kiev nel periodo di nostra competenza!) non sono rare né evitabili, ma ciononostante gli si chiede di risparmiare molto più del necessario perché deve pagare tributi e accise! Finché le attività militari da parte dell’élite al potere si limitarono lungo i fiumi fra Kiev e Novgorod e in qualche altra città (Polozk, Pskov, etc.), il mir non ne fu coinvolto direttamente, ma quando il numero dei membri della dinastia dei Rjurikidi aumentò, aumentando di conseguenza le pretese a conquistarsi un territorio sempre più grande o ritagliato da quello di altri sul quale vivere – nel senso di trafficare con le materie della foresta – il villaggio vide giungere la bella stagione come un periodo da temere e non più da gioire perché… era proprio il momento in cui gli eserciti fratricidi si mettevano in moto. Se si poteva in qualche modo sopportare che i giovani fossero requisiti per far da fanteria, era invece insopportabile che i principi per gli scontri fra loro usassero proprio i campi coltivati. Tutto il lavoro dei campi si distruggeva senza alcun indennizzo possibile…
Rivediamo allora tutta la serie di misure che furono messe in atto, forse con una scientificità maggiore e con una migliore tecnica delle altre popolazioni d’Europa, contro tutti gli eventi che potevano causare la fame!
La prima misura, naturale e più ovvia, fu quella di cibarsi a sazietà (kormit’sja dòsyta) quando ce n’era! Attenzione! Non vogliamo dire una banalità, vogliamo sottolineare invece quali fossero gli atteggiamenti dello smierd russo rispetto al “pranzo” quotidiano e ai piry celebrativi. Era normale rimpinzarsi a più non posso fino a star male quando c’era una festa! Ma una persona che si riteneva sazia prima del tempo, dava adito al sospetto degli altri commensali che parte del cibo che gli era stato offerto era finito in altri posti invece che nel suo stomaco, è ciò non era ammesso!
Un’altra misura anti-fame erano i digiuni, già noti nel mir pagano… ma come misura curativa! Con l’introduzione dal Cristianesimo invece, oltre ai due giorni settimanali (mercoledì e venerdì) si aggiunsero ben tre lunghi periodi di astinenza (prima di Pasqua, prima di Natale e prima dell’Assunzione). I monaci li praticavano normalmente, abituandosi ad un consumo minimo di cibo e sublimando la fame nell’ascesi cristiana. Quando fu detto che anche i credenti dovessero far lo stesso, l’imposizione nel mir contadino fu preso come una misura profilattica contro chissà quali spiriti maligni. Poi col passar del tempo, il costume del digiuno diventò un uso talmente radicato che fu sempre rispettato con rigore nel mir, persino nel periodo sovietico! Non staremo qui ad entrare nei dettagli di questa complicata prescrizione religioso-culturale perché non è l’intento della nostra ricerca, ma sottolineiamo che il digiuno fu accettato di buon grado dallo smierd come rito magico poiché talvolta non mangiare aiutava a guarire da lievi malanni. Addirittura, siccome Febbraio era chiamato scherzosamente bokogrei/бокогрей ossia scaldafianco riferendosi al fatto che l’Orso comincia a sentire i primi raggi caldi del sole e si volta sul fianco, il digiuno prima di Pasqua era associato al letargo di molti di questi “amici della foresta”! In questo periodo perciò era “sconsigliato” recarsi nel folto… a digiuno! Quello la Chiesa intendeva per digiuno non era però un’astinenza totale dal cibo, ma il rifiuto di alcuni cibi considerati superflui e voluttuari come la carne, al posto della quale era ammesso il pesce di cui lo smierd era da sempre grande consumatore. Per il resto il vegetarianesimo regnava sovrano fra i preti russi! Da questo lato perciò la dieta tradizionale in pratica non ne risentiva…
La classica misura anti-fame rimaneva comunque quella di risparmiare le derrate alimentari negli anni d’abbondanza, conservandole! Una tecnica in cui lo smierd eccelleva e che andava sempre più raffinata con l’accumularsi delle esperienze e dei contatti con l’esterno. Già il freddo intenso aiutava moltissimo a conservare a lungo, ma poi all’entrata della nuova stagione calda una derrata come la carne andava tutta consumata, pena la perdita in marciume. L’affumicamento invece era migliore per il pesce, benché richiedesse maggior dispendio di tempo e di materiale e non sempre riusciva a puntino, quanto al sapore. L’essiccazione era preferibile per le derrate vegetali le quali, sia all’aria aperta sia in casa col caldo della pec’ka, riusciva a mantenere a lungo frutti e tantissime altre erbe per il consumo differito. Procedura che era assolutamente preferita per la conservazione delle piante usate come medicamenti o spezie.
A tutte queste attività, è inutile sottolinearlo, presiedevano gli spiriti benevoli coi quali occorreva collaborare per la riuscita, mentre abbiamo visto come gli spiriti malevoli o dispettosi potessero condurre lo sforzo dello smierd all’insuccesso. Ed inoltre lo smierd, credendo di interpretare correttamente le parole del suo pop, si rifugiava in proverbi e detti antichi, quando doveva invocare o scongiurare in relazione a queste operazioni così delicate della conservazione.
La salagione e l’uso della salamoia rimasero però i processi più usati.
Ritorniamo un momento sul sale visto che la lontananza dal mare e dalle correnti di acqua salata del mir era un impedimento non indifferente per averne tanto a disposizione. A Novgorod-la-grande al tempo del suo apogeo (XII-XIII sec.) come “fabbrica” della Rus’ di Kiev, i cibi conservati in salamoia erano articoli di produzione e di scambio molto richiesti. Il sale si ricavava dalla concentrazione in grandi caldaie di rame dell’acqua salata di Rusa (oggi Staraja Rusa). Successivamente il sale diventò un grosso affare per i conventi quando si assicurarono la concessione per estrarlo ovunque si potesse. Val la pena qui ricordare che naturalmente per bollire l’acqua occorreva moltissima legna da ardere e solo i conventi proprietari di grandi estensioni di foresta nel nord, se lo potevano permettere. Nelle vicinanze del Mar Bianco si scavavano pozzi profondi fino a 5-6 sagene (1 sazhen/сажен pari a ca. 2 m) da cui si pompava l’acqua salata. Questa veniva posta in grandi padelle quadrate (zreny/црены) che erano messe sul fuoco a bollire senza interruzione per qualche giorno. Dopodiché venivano lasciate raffreddare e così il sale cristallizzava e si poteva raccogliere in forma solida. Questo sale per i monaci, ai quali in pratica era vietato il consumo di carne, era importante per conservare il pesce, ma poi in gran parte veniva anche venduto per venire incontro alle esigenze degli smierdy e delle fabbriche di pesce salata di Novgorod e dintorni. In questa città dunque si produceva cibo conservato non solo per l’approvvigionamento d’una popolazione di forse 40 mila abitanti o più, ma anzitutto per la produzione commerciale. La Volynia, regione subcarpatica vicina a Kiev, invece sfruttava i propri giacimenti di salgemma facendone commercio diretto anche con i nomadi turcofoni della steppa. Nel mir quindi giungeva sale cristallino da queste fonti sopradette non per la conservazione delle proprie provviste, ma per la lavorazione del surplus! Quasi con sicurezza possiamo dire che parte del sale consegnato alle famiglie “in conto lavorazione” veniva in realtà usato per i bisogni di casa, come deduciamo dai proverbi che circolavano sull’argomento, senza farlo sapere al “signore committente” locale!
La preoccupazione dello smierd per la conservazione di tutto quanto si poteva onde evitare strettezze inaspettate era una garanzia di sopravvivenza e tutto doveva esser fatto per poter avere un’izbà sempre piena fino alla prossima semina.. Ogni segno nella natura doveva essere notato e registrato, per prepararsi al meglio o al peggio.
Nella nostra ricerca abbiamo raccolto tutta una lunga serie di detti dello smierd sulle previsioni meteorologiche, addirittura a lungo termine, ma è al grande filologo russo V.I. Dal’ il quale cinquant’anni fece il grande lavoro di catalogare tutte le espressioni, i detti, i proverbi e simili delle Terre Russe che dobbiamo la possibilità di fare deduzioni e ipotesi sui vari argomenti che abbiamo trattato finora. Seguendo dunque Dal’, a partire da gennaio infatti c’erano anche le previsioni del tempo e del raccolto che si sarebbe fatto!
Il clima giocava un ruolo molto importante, come è logico.
In generale sulla Pianura Russa però non piove molto. La precipitazione più frequente è la neve che comincia a cadere agli inizi di novembre e dopo aver imbiancato tutto, gela! Infatti i venti che soffiano da nord fanno sì che il paesaggio muti improvvisamente. Raffreddano talmente le superfici che animali, uomini e cose, imprigionati dal gelo, cercano di muoversi il meno possibile. La stessa foresta cambia nei suoi ritmi di vita, come sappiamo.
Malgrado ciò l’uomo cerca una prevedibilità ed una precisione che il tempo meteorico, persino osservato oggi col computer, ancora non dà e perciò l’unico modo per ottenere una previsione sulle future difficoltà dell’anno che arriva è rivolgersi al signore dell’universo, al Creatore, il quale conosce come funziona il “suo” creato e può intervenire, se sollecitato in modo giusto.
Abbiamo già accennato a come invocare la pioggia e come scongiurare la grandine e quindi non ritorneremo sull’argomento, ma, per non dare l’idea che lo smierd fosse un uomo primitivo e ignorante, ricorderemo che gli stessi riti si celebravano (e si celebrano tuttora!) nel resto d’Europa allo scopo di superare un’inaspettata siccità. Con l’arrivo del Cristianesimo perciò s’invocarono al posto degli dèi (gli Slavi meridionali avevano conservato il nome della dea della pioggia, Dodola!) i santi che ne avevano preso il posto. E quando la pioggia tardava, si gridava al pop: “Si innalzino le icone!” e le immagini sacre erano tirate fuori dalle chiese ed erano portate in giro per i campi (o a alla fonte più vicina) affinché la Madre Umida Terra (ora rappresentata dalla Vergine Maria) si ricordasse di richiamare al suo dovere la santa pioggia al più presto! E se poi la pioggia o il ghiaccio che si scioglieva causavano inondazioni? In realtà a soffrirne era solo Novgorod-la-grande che si trovava subito dopo l’efflusso delle acque dal grande lago Ilmen. Il mir le subiva molto meno perché l’inconveniente era stato già previsto col posizionamento su un’altura!! Dunque l’acqua c’era ma non era da temere eccessivamente.
D’altro canto l’acqua è stata sempre un elemento comune nella storia russa. Sotto le sue varie forme di neve, ghiaccio, acqua salata, acqua sotterranea, pioggia, grandine, acqua di lago, acqua di fiume ha dominato su tutti gli eventi storici di questi popoli fino all’ultima grande guerra a metà del secolo scorso… Soltanto col mare il russo non ha una grande familiarità. Certamente ai novgorodesi era ben conosciuto, ma per lo smierd rimaneva qualcosa di misterioso, di lontano, di inimmaginabile. Aveva forse dimenticato l’eredità dei suoi antenati che avevano vissuto e dominato le rive meridionali del Baltico? Eppure qualcosa simile al mare c’era nell’enorme estensione dei grandi laghi del nord o del Mar Caspio a sud (chiamato nelle saghe russe Mare di Hvalin ossia Mare di Horesmia), ma queste regioni nel XI-XII erano pressoché sconosciute agli Slavi della Pianura.
Tuttavia la mitologia slava faceva del mare (okijan/окиян) un immenso involucro liquido avvolgente tutto l’universo. Veniva fuori dalle viscere della Madre Umida Terra (che a sua volta poggiava su due enormi balene immerse nel mare che movendosi provocavano terremoti!) e poi saliva al cielo per ricadere a gocce o in altra forma. Il Libro Azzurro, misteriosa opera medievale russa, ha questi racconti sul mare e sul Re del Mare e sulla sua paredra, la regina Mar’ia Morevna. Costoro abitavano in un palazzo sull’isola chiamata Bujan con a guardia dei lupi!
L’ambiente marino fece sempre paura allo smierd (*More, il mare, associato a *Mor, la morte) e chi raccontava dalle sue esperienze sul perdersi delle navi o del sorgere di mostri all’orizzonte raccoglieva nel mir meraviglia e incredulità, se non spavento. Oggi sappiamo che gli oceani, regolano il regime delle piogge sul territorio circostante fino a molti chilometri di distanza all’interno e abbiamo una facile giustificazione scientifica del ciclo delle acque, ma nel lontano Medioevo il clima e la pioggia (o le precipitazioni, in generale) erano regolate dalla volontà di forze divine e se la pioggia, in particolare, tardava a cadere o ne cadeva troppa, la colpa era dell’uomo che non aveva saputo attenersi ai dettami rituali che regolavano il suo rapporto con gli dèi dell’universo e costoro ora lo punivano.
E allora che fare quando le piantine del campo seminato seccano o crescono deboli e malaticce senza pioggia? Che fare quando a volte il gelo resiste oltre il dovuto e la semina non si può fare? Dice un vecchio e consolante proverbio russo: “Vivi in mezzo alla foresta e non conoscerai mai la fame! (Vozle lesa zhit’, golodu ne videt’’!/Возле леса жить‚ голоду не видеть !)” E’ questa la soluzione? E’ il ritornello del raccogliere cibo nella foresta? Chissà…
Nè è la pioggia o il gelo che danno preoccupazioni! A volte è il caldo che provoca improvvisi incendi spontanei e, se non si individua l’autore di un’eventuale svista che ha provocato il malaugurato evento, il fuoco non si può spegnere più perché Svarozhic’ è all’opera! Addirittura, in Bielorussia si pensa che gli incendi della foresta scaturiscano dalla Madre Umida Terra attraverso un essere divino chiamato Zhizhel’/Жижель. Che si fa allora? Se in città questo evento funesto di solito è combattuto con una catena di secchi d’acqua presa dal fiume che passando di mano in mano cercano di spegnere l’incendio e risparmiare le case rimaste intatte (col Cristianesimo la scusa fu che bisognava salvare la santità delle chiese e delle case), nel mir, se il piromane non si sa chi sia, si sta a guardare il disastro finché le fiamme non si sono spente da sole!
Lo smierd però sa come tenersi buono Perun e il suo micidiale fulmine, origine di tutti gli incendi. Per la Pasqua (sovrapposta ad una delle tante celebrazioni pagane antiche) si bruciavano in onore di Cristo Risorto interi barili di pece raccolta per l’esportazione e i carboni che si ottenevano alla fine venivano posti sotto le travi del cerdak, pronunciando sottovoce alcune formule propiziatorie all’indirizzo di Perun affinché fosse mite e paterno.
E che avviene di un mir distrutto da una qualsiasi calamità? Di sicuro era difficile ricominciare tutto daccapo e lo si abbandonava. Quando però arrivò il Cristianesimo questi smierdy sbandati e disperati trovarono rifugio presso i conventi che si costruirono su queste macerie e qui erano impiegati nei campi ora passati in proprietà della Chiesa. Abbiamo anche accennato al fatto che c’erano gli speculatori sulle disgrazie altrui. Nessun aiuto invece c’era da aspettarsi dal Velikii Knjaz di Kiev, anche perché non avrebbe saputo mai che misure prendere.
Purtroppo nel sud della Rus’ di Kiev con le liti intervenute dopo la morte di san Vladimiro nel 1015 in cui i tanti figli non potevano accedere facilmente ai territori sui quali avrebbero dovuto governare (ma dai proventi, soprattutto vivere!), le campagne intorno a Kiev cominciarono a registrare le guerre fratricide fra i principi! Ne abbiamo parlato già sopra, ma se a questo si aggiungono gli scontri a volte giustificati soltanto dalla sete di conquista dei Knjaz russi contro i nomadi della steppa (per la maggior parte delle volte desideravano commerciare e non devastare il mir), si può immaginare come gli smierdy si sentirono sempre più spinti ad abbandonare le terre di frontiera per ritirarsi verso nordest. Cominciò così una nuova migrazione. Fu un discendente di Vladimiro Monomaco (a sua volta, nipote di san Vladimiro), Andrea Bogoljubskii, che dette inizio al fenomeno in grande stile. Colse al volo la situazione di malcontento e, nel XII sec., riuscì a portare con sé verso le terre del Volga tutti gli smierdy volenterosi alla ricerca di pace e lavoro verso l’area intorno alla quale oggi c’è Mosca e fondò una città Vladimir sulla Kljazma per tutte queste persone. Non dobbiamo però pensare che Andrea alloggiò i contadini e lasciò loro le terre acquisite da suo padre anni prima in quel territorio per nulla. Assolutamente no! Gli smierdy caddero così nelle maglie di ciò che sarebbe diventata la servitù della gleba e il demanio del principe (vòtcina). Infatti Andrea si appropriò direttamente della produzione degli smierdy e dette loro un compenso in natura (parte dei raccolti) che, secondo lui, doveva bastare a farli vivere. Fu così abile che la Rus’ di Suzdal’, così si conosceva questa parte della Pianura Russa intorno a Mosca, diventò la più grossa esportatrice di panni di lino e di stoffe di lino con fili d’oro! Naturalmente i proventi andavano tutti nella sua tasca!
Le migrazioni verso nordest comunque si ripeterono, rassomigliando più a deportazioni che a spostamenti volontari, e dettero origine alla nuova popolazione detta dei Grandi Russi (o Russi propriamente detti) e col trasferimento di usanze e costumi si perpetuò il ricordo del mir della Rus’ di Kiev nel territorio del futuro Impero Moscovita.
Tutti sanno che le catastrofi sono ineluttabili e, sebbene preoccupassero, occorreva solo aspettare che passassero via. Quello che invece fa paura letteralmente allo smierd è la debolezza fisica, la malattia debilitante, la costrizione all’inanità. Bisogna capirlo! Secondo la concezione del tempo la colpa è della sua disattenzione o della sua improntitudine a rispettare gli dèi e i riti prescritti. Si è sentito male? Deve quindi nascondere il suo disagio finché può perché ha vergogna della sua presunta colpa! Le forze malefiche (necistye sily) sono sempre in agguato e sono potenti, ma con i dovuti scongiuri possono sempre essere respinte. Dunque, attenzione ai segni e sempre in guardia! Talvolta queste forze annunciano la loro presenza persino nei sogni e ci sono dei giorni nei quali sono più attive che in altri. Ad esempio, il lunedì! Nessuno oserebbe intraprendere qualsiasi cosa d’importante in questo giorno nefasto e gli starozhilez bielorussi… si astengono persino dal cibo!
Ed ecco in poche parole come è concepita la malattia.
Le necistye sily non sono altro che spiriti vaganti che hanno letteralmente fame e vogliono essere nutriti (kormit’/кормить). Trovato l’opercolo giusto, entrano nel corpo dello smierd distratto e vi si installano, magari a volte solo per prova, ma cominciano a nutrirsene da subito. Di qui il malessere. Se è solo una prova, il malessere è passeggero e va via da sé in breve tempo. E se si digiuna, va via ancora più rapidamente!
Talvolta invece la “prova” dura anche a lungo e lo spirito si mostra nel sogno al suo ospite annunciandogli la sua intenzione di voler rimanere nel suo corpo e farlo suo strumento o prigioniero (zalozhnik/заложник) per un certo tempo oppure per sempre, fino alla morte. Entra allora in scena il lecez che deve riconoscere lo spirito per tentare di farlo venir fuori dal soggetto ammalato. Naturalmente lo smierd è una persona pratica e quindi non si fida solo di parole consolatorie o promesse senza fine e la sua prima mossa, prima di ricorrere ad un lecez (questa è una parola russa tarda che indica chiunque abbia conoscenze di farmacognosia o di pratiche magiche e religiose per curare ferite e simili), s’informa in giro su chi abbia avuto i suoi stessi sintomi e come ne sia venuto fuori o comunque sia finita la sua storia.
Ripetiamo qui che la Chiesa temeva znaharki e kolduny perché credeva nelle loro conoscenze scientifiche e curative, ma attribuiva i loro atti al Demonio il quale, a seconda dei suoi disegni, poteva anche guarire. Per questa ragione le znaharki, che d’altronde erano dei membri delle famiglie degli smierd, furono lasciate ad operare visto che nessun altro servizio sanitario esisteva a livello del mir.
In realtà, come sappiamo, la prima ad essere coinvolta nel recupero della salute è la moglie dello smierd. E’ costei che gli darà le prime cure. Soltanto se la guarigione non ci sarà, si preoccuperà di ricorrere alla znaharka di famiglia o a quella consigliata da qualche vicino. Abbiamo già detto nel corso di questo lavoro di alcuni dei rimedi che la donna conosceva e applicava, ma ci rammarichiamo che non ci siano documenti sulle malattie più frequenti anteriori al XIV-XV sec. perché così avremmo potuto appurare quali morbi si curavano e si guarivano in casa.
Individuata allora quale forza malefica si è impadronita del corpo vivente e riconosciutane la potenza, la cura è un tentativo di scacciarla per ripristinare la situazione di sanità. La cura perciò non è tanto un aiuto a ricostituire o a rafforzare le difese del corpo quanto invece quella di mettere a disagio lo spirito malefico per costringerlo ad abbandonare il copro di cui si è impadronito per nutrirsi. In realtà, se riflettiamo bene, la medicina “moderna” non fa altro che fornire sostanze “in più” al corpo umano che lo aiutino a combattere l’essere che lo ha invaso per ucciderlo o costringerlo a lasciare il corpo attraverso un metabolismo modificato. Solo negli ultimi tempi si sta cercando di intervenire sulla struttura stessa del corpo per modificarla in modo da neutralizzare lo spirito malefico (agente patogeno, si chiama oggi).
Come mai gli è capitato il malanno proprio adesso? Dalla lunga esperienza accumulata lo smierd sa che ci sono giorni e periodi particolari in cui gli spiriti malefici si aggirano fra gli uomini e evidentemente non è stato all’erta proprio in quei giorni nefasti.
Vediamone qualcuno. Uno spirito particolarmente fastidioso e micidiale era Kikimora, di cui abbiamo parlato, che si aggirava per l’aria già ai principi di marzo. Per questo motivo, all’inizio dell’anno, ogni padrona di casa chiamava uno znahar’ affinché compisse i riti necessari a liberare l’izbà dallo spirito. Col Cristianesimo questo rito si fissò al 4 marzo, festa di san Gerasimo, e la sera prima lo znahar’ entrava in casa dopo che tutti componenti della famiglia si erano alloggiati presso il vicino. Con le sue formule, con la scopa e un rastrello cercava Kikimora in tutti gli angoli, liberando lo spazio sotto la pec’ka dalla cenere infetta che si era raccolta. Finalmente la mattina dopo annunciava che lo spirito ormai si era allontanato per sempre.
Un altro periodo pericoloso, ma siamo in inverno e stavolta il pericolo minacciava specialmente le bestie di casa, era quella della Morte della Vacca (Korov’ja Smert’/коровья смерть) che si aggirava per il mir proprio nella prima decade di febbraio. Questo mostro volante aveva l’aspetto di una megera bruttissima con lunghi artigli al posto delle unghie e già in autunno ci si era preoccupati di tenerla a bada con i riti appropriati. Si era fatta la cosiddetta opahivanje ossia una specie di processione di un giro completo intorno ai campi e a tutto il mir per ricacciare la Morte nella foresta. Evidentemente questa si era aggirata per tutto l’inverno alla ricerca di vittime ed ora riappariva nel mir per vendicarsi sul bestiame.
Come entrare però in un’izbà quando tutti continuano a stare chiusi lì dentro al caldo? O come penetrare nelle stalle a cui si è provveduto a sbarrare anche qui le aperture? L’izbà non ha finestre se non gli occhi per sfiatare il fumo e questi in questi giorni venivano ispezionati uno per uno, visto che faceva un po’ più caldo, e chiusi accuratamente con stoppa di erbe speciali secche, alla sera. Lo stesso si era fatto per le stalle… Se in quelle ore si vedeva un qualsiasi uccello in volo, non poteva che essere la Morte, sotto mentite spoglie. Dunque attente, o donne! Voi che curate le bestie! A volte, nel dubbio, era meglio chiamare subito una znaharka di professione che andasse in giro a controllare i fori e far gli scongiuri necessari. Compenso? Una lauta cena a base di… focacce di cipolla!
E qui naturalmente ci fermiamo perché citare gli innumerevoli riti contro le necistye sily sarebbe troppo lungo e torniamo invece al rapporto fra lo smierd e la malattia intesa come impedimento alle attività produttive. La malattia non deve durare a lungo poiché, se ciò avvenisse, porrebbe lo smierd e la sua famiglia alla mercè di altri e tutti sarebbero legati ad un debito da scontare che limiterebbe la libertà futura non soltanto del malato, ma anche dei suoi congiunti.
Che succede in caso di epidemie? Nelle Cronache a volta sono descritte malattie che colpiscono indiscriminatamente, ma dobbiamo riconoscere che sono di solito dei “mali di città” che toccano il mir solo marginalmente. La peste del 1348 che devastò l’Europa, qui nelle terre Russe (e pensare che era partita dalla steppa del Don!) colpì Novgorod-la-grande anni dopo e devastò solo le grandi città (poche) tanto che la raccomandazione per evitare le recidive fu proprio quella di fuggirsene nella campagna! Purtroppo non abbiamo notizie dettagliate delle malattie dello smierd, salvo su uno strano morbo che attacca i maschi Polesciuki del Pripjat’ riportato nell’enciclopedia, Russia Pittoresca e chiamato Koltun/Колтун. Secondo la nostra fonte era una crescita di capelli selvaggia in un angolo della testa che poi si impiastricciavano e si consolidavano quasi in una massa unta di peli, impossibile da togliere. Il Koltun cadeva da solo ed era considerato un medicamento… quasi miracoloso per certe malattie! Un altro morbo era la famosa Porcia/Порча e ancora un’altra la malattia “isterica” chiamata Klikuscestvo. Quest’ultima ci interessa in particolare poiché non toccava gli uomini, ma le donne. Le ricerche su questo morbo sono state condotte nel XIX sec. da un medico russo a nome N.V. Krainski, come riporta la Linda J. Ivanits, che ce la presenta così: “Il Klikuscestvo era in primo luogo una condizione femminile caratterizzata dal gridare, dall’imprecare e dal cadere per terra durante la messa, nel pieno di una processione religiosa o in presenza di icone, incenso ed altri oggetti di chiesa. Le Klikusci, come erano chiamate le vittime del morbo,di solito lamentavano dolori indefiniti nella regione pubica o al cuore. Alcune relazioni parlano di schiuma alla bocca o disturbi allo stomaco.” Confrontando il Klikuscestvo con la Taranta Pugliese, come è descritta ed interpretata da Ernesto De Martino, con i suoi riti di canto e danza (sublimazioni più accettabili dei gridi e del contorcersi per terra) e con la cura in bagni di acqua fredda, in analogia a quanto avviene per la malattia “russa”, ne restiamo sorpresi perché la cosa è inspiegabile se non la si rimanda ad un patrimonio magico-religioso comune europeo. Ad ogni buon conto la donna è posseduta in entrambi i casi dal Diavolo (necistaja sila) e bisogna quindi scacciare lo spirito impuro affinché guarisca. La malattia, è facile immaginarlo dalla conduzione femminile dell’economia domestica, metteva in crisi tutta la casa…
Altro conto erano invece le ferite, i danni fisici per guerra e simili che disabilitavano la persona per un certo tempo, se non per il resto della vita. E il Cristianesimo benedisse anche le guerre di Kiev perché erano condotte contro i nomadi… infedeli!
Se il Monastero delle Grotte di Kiev ebbe da subito un ospedale per i propri monaci e se accolse feriti e uomini del Knjaz nelle sue case di cura, per lo smierd l’unico ospedale più vicino restò la famosa banja. D’altronde non esiste izbà che non abbia una banja propria per la famiglia dove lavarsi e dove rilassarsi, ma anche dove guarire dai più complicati malanni fisici e psichici. La banja russa naturalmente ha un nome derivato dal basso latino banea (lat. class. balnea) ossia i bagni in acqua calda e fredda che i romani prediligevano, anch’essi per la cura delle malattie più disparate, costruendosi le loro monumentali Thermae disseminate in tutta l’Europa e lungo le rive del Mediterraneo. Malgrado ciò la banja rimane una tipica “istituzione” russa e si distingue da qualsiasi altra. Nelle Cronache è nominata per la prima volta quando si racconta dell’accoglienza dei Drevljani a Kiev da parte di Olga. Costei obbligò gli ambasciatori a lavarsi e poi, chiusi e nudi nella banja di legno, furono bruciati vivi. In una redazione leggendaria delle Cronache del XIV sec. si parla inoltre della meraviglia di sant’Andrea, inviato a cristianizzare il nord russo, che racconta come i popoli di questa regione si trattengano nella banja ad altissima temperatura e come poi si frustino con rami di betulla (veniki) fino a far diventare la pelle rossa paonazza. Più interessante ed attinente è invece la menzione del 966 d.C. quando nello Statuto di san Vladimiro (Ustav) è indicata come “presidio igienico per i debilitati” (zavedenija nemogusc’c’ih/заведния немогущих) o l’accenno che ne fa il predicatore francescano di Ratisbona Bertoldo nel 1200 che tuona contro la licenziosità di questi “bagni di famiglia dell’Oriente”…
Come abbiamo detto, la banja è un tipico costituente della vita dello smierd e del mir e perciò merita una concisa descrizione delle effettive possibilità curativa dei trattamenti ivi eseguiti.
Esistono due tipi di banja: quella detta “nera” (po-cjornomu⁄по–черному) e quella “bianca” (po-belomu⁄по–белому). Quella nera è la più antica ed è chiamata così perché l’ambiente dove brucia il fuoco per produrre aria calda aveva solo un foro in alto per farne uscire il fumo e perciò le pareti a lungo andare si coprivano di fuliggine. Si procede così. Si accende il fuoco e si chiude l’unico foro di scappamento. Quando dopo qualche ora l’interno è ben caldo (ca. 140 °C), si apre il foro superiore e la bocca inferiore d’entrata e si lascia ventilare onde liberare dall’anidride carbonica ed altri gas pericolosi per breve tempo. Dopodiché si spruzza acqua sulle pareti ancora bollenti e si introducono i bagnanti nudi che vi rimarranno a lungo a loro piacimento (la temperatura non scende così velocemente e quindi il soggiorno può diventare abbastanza lungo: un’ora e più). E’ bene subito dire che tutta quest’operazione è molto laboriosa oltre che molto lunga. L’effetto terapeutico della banja “nera” è dovuto anche al fatto di essere di legno e di trattenere alcune aldeidi volatili nel soffitto e nelle pareti che vaporizzano o si sciolgono con l’acqua e, inalate dal paziente col vapore, agiscono con beneficio sulle vie respiratorie. Per curiosità del lettore, informiamo che nelle izbe siberiane la pec’ka era così grande (fa molto più freddo che nella Pianura Russa e quindi serve una stufa più grande) che talvolta era usata essa stessa come banja non potendone costruire di apposite mentre si era in frontiera nel XVI sec.
La banja che vediamo oggi è diventata già più complicata con vestibolo etc., ma già più semplice nella gestione e nel XII sec. era già apparsa quella montata su pali (anche su un palo solo) fuori dell’izbà. Qui dentro c’era un forno (gornìza o meglio più popolarmente kamelenoc’ka) dove si arroventavano i sassi di fiume. Se l’aria era troppo secca, con un lungo mestolo si spruzzava acqua sui sassi roventi e il gioco era fatto! Aveva inoltre sedili lungo le pareti e persino a due altezze per godere di regimi di temperature diverse e col fornetto al quale abbiamo accennato poteva essere usata per ore e ore senza dover vedere la temperatura abbassarsi. Era stato previsto un tubo di sfogo per i gas di combustione e all’esterno si trovava una vasca (ossia un grande tino di legno) per le abluzioni all’uscita con acqua fredda (ricavata, in caso di cura, dalla neve marzolina sciolta!).
Molti studi sugli effetti di questi bagni caldi “russi” ormai concorrono nel dire che alla temperatura dell’aria di 70 °C con una umidità costante di 10-30 % è possibile attraverso il sudore intervenire su molte malattie con effetti soddisfacenti. La prima a ricavarne benefici effetti è la pelle e, col sudore, anche il metabolismo interno e il sistema di pulizia del sangue. Poi vengono le vie aeree inumidite e inturgidite e, con un massaggio apposito, tutto il sistema muscolare può essere ravvivato. Altri effetti profilattici sono ottenibili, se la banja viene usata con regolarità. Qui ci fermiamo, rimandando alla letteratura, ripetendo che la banja rimaneva un luogo sacro e pericoloso allo stesso tempo, visto che il corpo si esponeva senza difese a qualsiasi spirito malefico!
Come recuperare i liquidi persi col sudore? La bevanda principe era il kvas.
Prepariamo il malto per fare il kvas
(da Mir Enciklopedii, Mahaon, 2004)
Il Malto (Solod/Cолод). Si prenda un contenitore di legno ben pulito e col fondo secco coperto da una teletta di lino. Si dispongano poi in modo omogeneo per quanto possibile circa 200 g. di semi di frumento o di altro cereale sul tessuto e si ricoprano con un’altra teletta. Si versi ora molto lentamente in modo da non sconvolgere gli strati, dell’acqua tiepida per inumidire e bagnare i semi. Se ne verserà un po’ e si aspetterà che il lino la faccia passare e ritorni ad essere quasi secco. Poi se ne verserà ancora, ma sempre attenti a non eccedere. Fatto ciò, si lascia il contenitore aperto e si attende un giorno e una notte. Il grano o il cereale germinerà e il seme sembrerà allungarsi. Si tirano fuori i semi e si asciugano con una teletta e, ben asciutti, si pestano o si macinano fino a diventare farina. Questo è il malto.