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Ma l’Iran non è l’Iraq

di Massimo Fini - 07/11/2005

Fonte: lineaquotidiano.it

Stati “canaglia”

Capisco l’ansia di
Gianfranco Fini di
voler essere il “primo
della classe” nelle proteste
contro le dichiarazioni del
presidente iraniano (“L’entità
sionista dovrebbe essere
cancellata dalle mappe del
mondo”), gravi ed inaccettabili,
ma non meno gravi ed
inaccettabili di quelle del
presidente americano che
non una, ma più volte ha
detto di voler cancellare dalle
mappe del mondo gli “Stati
canaglia”, fra cui comprende
l’Iran; e che in un
paio di casi, Afghanistan e
Iraq, non si è limitato ad
affermare, ma ha reso concrete
quelle minacce aggredendo
quei Paesi islamici.
Capisco quest’ansia perché
il presidente di An ha una
lunghissima coda di paglia
avendo militato per anni in
un partito, l’Msi, che si
richiamava espressamente
al fascismo su cui pesa la
vergogna, la criminalità, di
aver emanato le leggi razziali
e antisemite.
Ma Fini è un ministro degli
Esteri e ha il dovere di far
prevalere sui suoi interessi
personali quelli nazionali.
Un ministro degli Esteri non
può partecipare a una
manifestazione indetta da
un giornale di parte, contro
uno Stato con cui intratteniamo
relazioni diplomatiche;
non ha la libertà di
Giuliano Ferrara o di qualsiasi
altro privato cittadino
che voglia manifestare la
propria solidarietà con lo
Stato d’Israele. Questo per
la forma. Per la sostanza il
ministro degli Esteri non
può non sapere (come lo sa
il ministro della Difesa,
Antonio Martino, che infatti
è stato molto più cauto astenendosi
da manifestazioni
plateali) che, dopo Nassirya,
la sostanziale incolumità
dei nostri soldati è stata
garantita dai servizi segreti
iraniani che nella parte sciita
del territorio iracheno
hanno un’influenza determinante.
Né può ignorare che
l’Italia intrattiene importanti
scambi commerciali con
l’Iran.
Né può pensare di poter
trattare l’Iran allo stesso
modo dell’Iraq, come vorrebbero
americani e israeliani.
L’Iran non è l’Iraq, è un
grande e popoloso
Paese, di antichissima cultura
(la Persia) e i suoi dirigenti
non possono essere trattati da
criminali. Perché non sono criminali.
Eccessi verbali a parte, la
Repubblica islamica d’Iran, nel
suo quarto di secolo di vita, non
ha mai aggredito alcun Paese,
ma al contrario è stata aggredita
(da Saddam Hussein cui gli occidentali,
quando si profilava la
vittoria iraniana, ottenuta, con
valore, sul campo di battaglia,
fornirono le famose armi chimiche
perché le usasse sui soldati di
Khomeini e poi sugli sciiti e sui
curdi iracheni).
Saddam era un dittatore, l’Iran
è una tecnocrazia che non è la
democrazia di tipo occidentale,
ma non può essere nemmeno confusa
col potere di uno solo. Ecco
perché le dichiarazioni di Fini,
dopo l’incontro con Sharon (“un
Iran in possesso di un’arma
nucleare sarebbero un grave
pericolo non solo per Israele, ma
per tutta la comunità internazionale”)
sono irrealistiche e solo un
favore reso alle leads americane.
Innanzitutto l’Iran sta perseguendo
un programma nucleare
ad usi civili ed è da tempo in trattative
con Gran Bretagna, Germania
e Francia per avere aiuti
in questo senso, disposto, in cambio,
ad accettare ispezioni. Inoltre
un Iran armato nuclearmente
non sarebbe un pericolo per nessuno,
perché l’atomica può servire
solo come deterrente, per la
difesa.
Ho già scritto su questo punto,
ma preferisco far svolgere il
ragionamento all’insospettabile e
autorevole commentatore americano,
William Pfaff che ne ha
scritto sull’Herald Tribune, il 13
agosto. Nessuna media potenza
nucleare, dice in sostanza Pfaff,
può usare l’atomica perché ciò
“avrebbe per l’aggressore risultati
catastrofici”. Inoltre Pfaff fa
notare che è stata proprio la
politica aggressiva degli americani
“a rendere le armi nucleari
ancora più attraenti per i Paesi
che non le hanno: sono una risorsa
politica e un deterrente contro
attacchi stranieri” (e infatti l’Iraq
è stato attaccato, la Corea
no).
E un altro osservatore insospettabile,
italiano questa volta, Sergio
Romano, fa osservare come
l’Iran sia “circondato da potenze
che possono raggiungere il suo
territorio con le loro armi nucleari:
la Russia, l’India, il Pakistan,
la Cina, Israele e, di là dalle
frontiere irachene, gli Stati Uniti.
Perché dovrebbe sottostare al
possibile ricatto di uno Stato
nemico?” In realtà, dice un altro
insospettabile studioso americano,
John Mearsheimer, lo scopo
della politica di non proliferazione
imposta dagli USA non è
affatto quello di prevenire possibili
pericoli nucleari “ma di prevenire
tutto ciò che può limitare
la libertà d’azione degli Stati
Uniti nei loro rapporti con gli
altri Paesi: perché uno Stato
dotato di armi nucleari diventa
inattaccabile”.