Ritratto di un Paese tragico, ma non serio; ridicolo, ma non comico
di Stenio Solinas - 07/11/2005
Fonte: lineaquotidiano.it
Gli inaffondabili di Arrigo Specchi
Una volta finito nel tritacarne della società dello spettacolo, alla fine ciò che resta di te non è la parte migliore.
Gli “inaffondabili”
sono
quelli che nella
vita restano
sempre a galla.
Cambiano i governi, scompaiono
i partiti, c’è la recessione,
la terra trema e arriva
la bufera e loro sono sempre
lì, immarcescibili, più o meno
inappuntabili, quasi sempre
ancora presentabili. Anche se
incarnati in forme fisiche
sono una categoria dello spirito,
un principio kantiano,
esprimono una visione della
vita: resistere, comunque e
sempre, a qualsiasi costo, in
nome di sé stessi.
Gli Inaffondabili (Marsilio,
261 pagine, 16 euri) s’intitola,
appunto, il libro di Francesco
Specchia che raccoglie trentasette
ritratti di personaggi della
vita pubblica italiana che a
quel concetto si rifanno: da
Maurizio Costanzo a Marco
Pannella, da Paolo Liguori a
Aldo Biscardi, da Giovanni
Minoli a Giorgio Albertazzi.
Specchia è una firma del quotidiano
Libero e conduce un
programma televisivo di un
certo successo su un’emittente
lombarda: scrive bene, non
è impacciato sullo schermo,
ha già alle spalle un paio di
libri di sociologia della letteratura
e un Diario inedito del
Grande Fratello, sorta di
resoconto quotidiano di quello
che fu il primo reality show
dell’etere, non ha ancora quarant’anni.
L’uomo giusto per
un libro del genere, insomma.
Inaffondabile non è di per sé
sinonimo di uomo per tutte le
stagioni, né il simbolo del trasformismo,
del doppiogiochismo,
del voltare gabbana. Certo, un
innaffondabile per eccellenza è stato
il principe di Talleyrand, uno che
attraversò la Rivoluzione, il Terrore,
il Consolato, l’Impero, I Borboni,
i Cento giorni, la Restaurazione,
come una salamandra. Ma era un
altro secolo, un altro Paese, un’altra
storia. Qui bisogna accontentarsi...
Comunque, di Marco Pannella si
potrà dire tutto, ma non che non
insegua una sua personale coerenza;
di Giampiero Mughini si potrà
criticare la fede juventina, ma non
l’indipendenza di giudizio; di Sergio
Romano la produzione sterminata,
ma non l’anticonformismo,
eccetera. Eppure, in modi diversi,
continuano a essere presenti nella
nostra esistenza da quasi quarant’anni,
sono invecchiati insieme con
noi. Ci sono quelli come Bud Spencer
che hanno incarnato più vite,
quelli come Alda Merini che sono
sopravvissuti a sé stessi, quelli
come Roberto D’Agostino che si
sono reinventati. Inaffondabile, in
fondo, fu un bastian contrario come
Guareschi, che si sé era solito dire:
“Non muoio neppure se mi ammazzano”...
I libri-intervista di solito ci lasciano
un po’ freddi. Diceva Mario Missiroli
che “l’intervista è un articolo
rubato”. Se riesce ti prendi il merito,
anche se esso di solito va all’intervistato,
se fallisce fai ricadere la
colpa su di lui,
anche se di
solito sei tu che
non lo hai
saputo stimolare.
Come tutti i
generi giornalistici
legati
all’attualità,
l’intervista
invecchia presto
e quasi
sempre invecchia
male.
Specchia che è
ancora giovane
ma che ha dietro
di sé buoni
maestri e buone
letture lo sa
benissimo e
quindi si è premunito
con una
serie intelligente
di accorgimenti:
un ampio cappello introduttivo,
delle note a margine atte a storicizzare
e a riepilogare per il lettore,
un forte spirito descrittivo che
dall’uso sapiente dei particolari fa
capire del soggetto in questione
molto di più di quanto lo stesso non
voglia dire. L’accenno al fatto che
Gad Lerner, durante l’intervista,
tenga a sua volta acceso un registratore,
per registrare chi lo sta registrando,
ne coglie il carattere
meglio di una seduta psicoanalitica...
I trentasette inaffondabili scelti da
Specchia lo sono in base a un criterio
assolutamente personale. I politici
sono pochi (il che è un bene), i
giornalisti e gli uomini di spettacolo
sono molti (il che non è necessariamente
un male), gli scrittori sono
quasi inesistenti (gli inaffondabili di
pregio in questo campo, ahimé,
sono tutti morti...). Il parterre,
comunque, rimane di prim’ordine e
la lettura anche. Ci sono alcune
uscite (battute, pezzi di dialogo,
considerazioni) assolutamente da
manuale. Che Vincenzo Mollica, il
pachidermico giornalista televisivo
sia “un’anima gentile incastonata in
un trullo da ristrutturare” è un dato
di fatto. Che non parli mai male di
nessuno è invece opinabile, come
lui stesso spiega in terza persona:
“Mollica non tratta bene tutti. Mollica
sceglie di
chi trattare, è
un concetto
diverso. Se
una cosa non
mi piace, non
me la filo di
pezza, è una
mia filosofia”.
Il suo non avere
infine tessere
politiche,
ma “la tessera
del ‘Club dei
23’ degli eredi
di Giovannino
Guareschi” un
titolo di merito
che farà sì che
in futuro ce lo
faremo piacere
anche se non
ci piace.
Che dire poi
del racconto
delle censure politico-gastronomiche
di Edoardo Raspelli, il più
grande cronista di cibi vivente? “La
prima, nell’87, dall’Espresso, perché
abbassai il voto a un ristoratore
iscritto alla P2; la seconda a Gente-
Viaggi quando ne bocciai un altro,
amico di Almirante; la terza quando
diedi quindici ventesimi a Romolo
al porto di Anzio. Secondo l’amministratore
dell’Espresso, Marco
Benedetto, era un covo di fascisti di
merda. Era incazzato nero, anzi
incazzato rosso”. Replica di Specchia:
“Giocarsi il posto per due
tagliatelle”. E Raspelli: “Ma dài: la
stessa frase che mi disse un direttore
del Gruppo Caracciolo. Ma che
discorso del cacchio! Già questo è
un lavoro da ridere, diciamo un po’
di ripiego, ma se cambio il voto, se
mi gioco la dignità, ai miei figli che
gli dico?”.
Nel libro alcune piccole confessioni
spalancano abissi di sincerità e fanno
simpatia. Roberto D’Agostino
che dice: “Volevo essere Paolo Isotta
e mi sono trovato con Marenco e
Luotto, potevo essere un critico
cinematografico, invece Mario Cecchi
Gori mi diede sessanta milioni
di lire per costruire un film sulle
tette di Eva Grimaldi...”. Ignazio La
Russa che ammette: “Se non avessi
fatto il politico mi sarei dato al
cabaret”. Bruno Vespa che fa
capire: “Essendo io assistito
dalla Provvidenza, chi mi fa
del male arriva un momento
nella vita che se ne pente.
Così, autonomamente”.
cosa dire dei rimpianti di
Pannella: “A parte il fatto di
selezionare prima le domande
cretine che mi fanno, nessuno”.
Altre volte una frase vale più
di una biografia. “È tra
concetto benevolo di “cupola”
e quello letterario, alla
Vitaliano Brancati, di “copula”,
che Michele Guardì ha
dipanato la propria esistenza.”.
Una semplice domanda
manda in tilt un ragionamento:
“Solo gli imbecilli non
hanno dubbi” pontifica
Luciano de Crescenzo: “Ne
sicuro?”. “Senza dubbio...”.
Nell’insieme Gli inaffondabili
è, attraverso una serie di
incontri, lo spaccato di un
certo tipo di Italia come da
qualche decennio a questa
parte si è venuto raffigurando.
Scrive Sandro Parenzo
nella sua introduzione al
volume che “è il ritratto di
un Paese tragico, ma non
serio, ridicolo, ma non comico”,
e per molti versi ha
ragione. Ci sono momenti in
cui il narcisismo di alcuni
intervistati è così imbarazzante
che provi tu vergogna
per loro, altri in cui la vocazione
alla bugia è talmente
palmare da fare quasi tenerezza.
Nelle parole di alcuni
“perdenti di successo”, Paolo
Liguori, Giampiero Mughini,
per fare solo due nomi,
avverti il rimpianto di essere
stati utilizzati male e al tempo
stesso la consapevolezza che,
una volta finiti nel tritacarne della
società dello spettacolo, alla fine
ciò che di te resta non è la parte
migliore. Nella prosopopea di altri,
quelli che al cronista non hanno
mai da dare più di “quindici minuti
del mio tempo”, avverti l’eco di un
Paese gonfio come una rana, ma
che prima o poi scoppierà”.
Non affonderanno nemmeno allora,
ma almeno si sgonfieranno.