Tav in Val di Susa: “era una piccola grande opera pubblica”
di Carlo Gambescia - 07/11/2005
Fonte: lineaquotidiano.it
Tutti ricorderanno Claudio
Baglioni quando
cantava a squarciagola
la fine di “un piccolo grande
amore”. Bene, se gli abitanti
della Val di Susa, sindaci e
comunità locali in testa,
dovessero vincere la battaglia
anti-Tav, di sicuro nessuno di
loro soffrirebbe la mancanza
di questa “piccola grande”
opera pubblica. Piccola, perché
è poca cosa, rispetto a
quell’ altro grande macello
che è la costruzione del Ponte
sullo Stretto. Grande, perché
così viene presentata dal
Governo, e (udite, udite)
anche dalla stessa sinistra
riformista e ambientalista, che
comanda a Torino e in Piemonte.
A dire il vero il problema
non è semplice: la costruzione
della linea Tav Lione-
Torino eviterebbe il
passaggio di seimila
camion al giorno, ma
rischia anche di provocare
dissesti ambientali di
proporzioni bibliche. In
una valle, è bene ricordarlo,
ricca di parchi e
che vive di turismo.
Sono aspetti che Mercedes
Bresso, attuale presidente
della Regione Piemonte
e autrice di un
manuale di economia ambientale,
dovrebbe conoscere. E
invece pare di no: dal momento
che è favorevole al progetto.
La cosa è curiosa, perché i
principi di precauzione, qualità
della vita e lentezza da lei
invocati, quando era in cattedra,
contrastano con la costruzione
della Tav in un’area già
intasata da due strade statali,
una linea ferroviaria, e un’autostrada
che va da Rivoli a
Bardonecchia. Quanto sono
lontani i giorni in cui la prof
scriveva, con lo sguardo
sognante, di “economia della
contemplazione” (Per un’economia
ecologica, Nis,1993,
pp. 346-349)…
Ma l’aspetto più negativo della
questione è l’incapacità di
ragionare pacatamente: chi
muove una critica viene subito
definito nemico del progresso.
Mentre i valligiani
sanno benissimo che tra inizio
e fine dei lavori potrebbero
trascorrere almeno
venticinque anni (altro che
2018…): la vita di un’intera
generazione, che rischia di
crescere, cuccandosi polveri
di amianto sollevate dall’ennesima
galleria costruita
sotto le Alpi. Per poi
ritrovarsi, come avviene coi
parcheggi urbani, punto e a
capo: dal momento che
anche il traffico merci, stando
agli standard di crescita,
dovrebbe raddoppiare, e quindi
annullare i vantaggi della
Tav.
Perciò, per ora, l’unica vera
scelta è tra dodicimila camion
al giorno e una grande abbuffata
di tumori, malattie polmonari,
polmonari,
puzze, rumori e velocità:
tra morire travolti da un tir o
di cancro. E, comunque sia,
l’ecosistema della Val di Susa
ne risentirà, e di brutto: è il
capitalismo bellezza…
Che fare? Indico tre possibilità:
la Terra del Fuoco (un esilio
sciccoso, specie se si è di
sinistra); puntare su un diverso
modello di sviluppo (ma
bisognerebbe prima mettersi
d’accordo su quale); o infine,
appoggiare sul piano politico
e mediatico, le popolazioni
della Valle in lotta: aiutarle a
vincere una battaglia esemplare.
Puntando soprattutto sul
potenziamento della linea ferroviaria
esistente, visto che
risale a Quintino Sella. E i
camion? Si potrebbe cominciare
rimodernando le linee
ferroviarie nazionali e favorendo
con facilitazioni tariffarie
il traffico delle merci su
rotaia invece che su gomma.
Insomma, la scoperta dell’acqua
calda.
(…) Come finirà? Con le
elezioni politiche alle porte,
ma anche con la necessità
bipartisan di papparsi i
fondi Ue destinati all’opera,
non è facile fare previsioni.
Se restassero uniti,
sindaci e popolazioni, circa
ottantamila persone,
potrebbero anche farcela.
Ma molto dipenderà dai
media (le cose potrebbero
mettersi male per i valligiani,
se stampa e televisione
decidessero di staccare
la spina). Quanto ai
partiti che appoggiano la
battaglia (Verdi, Comunisti
Italiani, Rifondazione),
una volta al governo, dopo
le elezioni, potrebbero
cambiare idea. Continuerebbe
a dire no solo l’ala
radicale (disobbedienti,
centri sociali, eccetera). E
ovviamente anche i duri e
puri tra gli abitanti del
posto: come i soldati giapponesi,
rimasti eroicamente
a combattere da soli nella
giungla. Al che, se una
parte dei sindaci e amministratori
locali, dovesse
tirarsi in indietro, la Tav in
Val di Susa non troverebbe
più ostacoli. E un altro
pezzettino d’Italia potrebbe
sparire.
E poi dice che uno si butta
coi soldati giapponesi, pardon,
di Bardonecchia…