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Gaza nella tenaglia

di Christian Elia - 01/12/2006

Una manifestazione per chiedere la fine dell'assedio di Gaza
Il 2 dicembre, a Tel Aviv, si terrà una grande manifestazione che segnerà l’ultimo e principale atto di una campagna iniziata un mese fa per chiedere la "fine dell’assedio di Gaza". La manifestazione, e tutte le iniziative che l’hanno preceduta, sono state organizzate da una coalizione di associazioni israeliane e arabo – israeliane, che si battono per il rispetto dei diritti dei palestinesi.
 
una manifestazione per la palestinaUn oceano di sigle, un unico fine. L’elenco delle sigle, raccolte in un sito dove si può firmare la petizione a favore della fine dello strangolamento della Striscia di Gaza, è molto lungo: Coalition of Women for Peace, Anarchists against the Wall, Gush Shalom, Hadash, Balad, High School Seniors Letter, Rabbis for Human Rights, University Student Coalition – Tel Aviv, Yesh Gvul, Ta'ayush, Maki, Banki, Israeli Committee Against House Demolitions, The High Follow-Up Committee for the Arab Citizens in Israel, Combatants for Peace, Alternative information center e tante altre ancora. La manifestazione principale è quella di Tel Aviv, ma sono 78 le città dove tutti quelli che hanno aderito alla campagna si riuniranno in tempi e modalità differenti. Tra queste si possono ricordare città importanti come Barcellona, Siviglia e Valencia in Spagna, Marsiglia e Parigi in Francia, Londra e Liverpool in Gran Bretagna, Milano e Roma in Italia, San Francisco e New York negli Usa fino ad arrivare a Honolulu nelle isole Hawaii e Città del capo in Sudafrica. Una mobilitazione di massa, insomma, ma in molti potrebbero restare perplessi di fronte a un impegno del genere per la Striscia di Gaza, visto che per tanta gente, dopo il ritiro dei militari e dei coloni israeliani nell’estate 2005, non esiste più un’occupazione del territorio che divide l’Egitto dalla Terra Santa.
 
bambini a gaza sulla spiaggiaDall’occupazione alla prigione a cielo aperto. La realtà sul terreno è molto differente da come l’opinione pubblica si è abituata a pensare. La situazione della Striscia di Gaza, se possibile, è peggiore adesso che un anno fa. Alcuni dati, raccolti per lo più da associazioni israeliane che si battono per la difesa dei diritti umani, come B’Tselem, possono aiutare a formarsi un’opinione in merito: circa l’80 percento della popolazione della Striscia vive sotto la soglia di povertà (meno di 2 dollari al giorno). Negli ultimi quattro mesi, a causa delle operazioni militari condotte dall’esercito israeliano nella Striscia, sono morti più di 300 palestinesi, dei quali più della metà erano civili, 61 bambini. Circa il 70 percento della forza lavoro della Striscia è inoccupata e senza nessuna forma di sussidio. Il 28 giugno, l’aviazione israeliana ha bombardato la principale centrale elettrica a Gaza, lasciando alla popolazione civile 6 – 8 ore di corrente elettrica al giorno, con tutte le conseguenze immaginabili per gli ospedali e la conservazione dei generi alimentari. Nessuna attività di commercio resiste alla crisi economica che attanaglia la popolazione: i prodotti non entrano e non escono dalla Striscia. La situazioneè a un punto di non ritorno.
 
medici a gaza soccorrono un feritoUn quadro devastante. L’economia della Striscia, anche in passato, viveva su tre pilastri fondamentali: la fornitura della mano d’opera per le aziende in Israele, la percentuale delle tasse e dei dazi doganali che per gli accordi di Oslo Israele deve riconoscere ai palestinesi, e gli aiuti umanitari della comunità internazionale. Adesso tutti questi canali sono chiusi. La mano d’opera, dall’inizio della Seconda Intifada nel 2000, non ha più rappresentato una possibilità di sopravvivenza per la popolazione palestinese. I valichi sempre chiusi per la paura degli attentati hanno comportato la perdita di migliaia di posti di lavoro. La percentuale delle tasse, da anni, non viene versata ai palestinesi con una scusa o con l’altra. La stessa decisione che hanno preso, con motivazioni differenti, Unione europea e Stati Uniti che, da quando la popolazione civile ha premiato il partito islamico Hamas alle elezioni, hanno bloccato la maggior parte degli aiuti umanitari perché Hamas è ritenuta un’organizzazione terroristica a Bruxelles e a Washington. Il risultato è stato quello di ridurre la popolazione alla fame.
 
Tensione alle stelle. La crisi economica e la fame hanno polarizzato le tensioni interne alla società palestinese nella Striscia di Gaza. Le due anime politiche, rappresentate dai sostenitori di Hamas e da quelli del partito Fatah, orfano della guida di Arafat, sono arrivate allo scontro aperto. Il vecchio establishment dell’Intifada non accetta il sorpasso alla guida della società palestinese, mentre Hamas è stata paralizzata, fin dall’inizio, dal blocco internazionale. L’avversione tra le due parti è sfociata in uno scontro aperto, anche armato. L’anarchia sembra regnare nella Striscia, come dimostra anche il fenomeno dei rapimenti lampo di giornalisti e cooperanti occidentali, un tempo sconosciuto alla società palestinese. La stessa società civile palestinese è paralizzata perchè, a causa del mancato pagamento degli stipendi, continui scioperi bloccano la scuola, la polizia e la sanità.
 
un tank israeliano nella Striscia Piove sul bagnato. In questo clima, alla fine del giugno scorso, con una dinamica ancora poco chiara, è stato rapito un militare israeliano, il caporale Gilad Shalit. La reazione del governo di Tel Aviv è stata durissima, con l’operazione Pioggia d’Estate, che ha visto la Striscia di Gaza cinta d’assedio e bombardata furiosamente. In autunno, poi, per porre fine al lancio di razzi artigianali Qassam, in particolare verso la città israeliana di Sderot, è cominciata l’operazione Nuvole d’Autunno, che si è tramutata in un’altra mattanza, in particolare nella cittadina di Beit Hanoun, nella zona settentrionale della Striscia. In particolare, anche se ci sono ancora polemiche in merito, Israele non avrebbe risparmiato neanche sulle armi non convenzionali, utilizzando gas letali.
Ecco perché la Striscia non è stata liberata, ad agosto 2005, ed ecco perché, in 78 città del mondo, ci sarà chi scenderà in piazza per chiedere che l’inferno di Gaza finisca.