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La scrittura della valle dell'Orhon

di Miguel Martinez - 06/12/2006

Divagazioni

Nella profonda Mongolia, tra le montagne e la steppa, scorre il fiume Orhon.

Da qualche parte, lì vicino, il 18 luglio del 1889, l'esploratore russo Nikolaj Jadrincev scoprì una serie di statue e di stele, risalenti (si sarebbe saputo solo più tardi) all'ottavo secolo dopo Cristo. Alcune delle quali riportavano iscrizioni in una scrittura sconosciuta.

Somigliava esteriormente alle rune germaniche, ma solo perché l'uso della pietra richiedeva tecniche simili di incisione.

Oggi, possediamo alcune centinaia di iscrizioni, e qualche frammento di libri, in questa scrittura, provenienti da a un'area che va dalla Mongolia fino all'Europa orientale, e alcuni di questi testi sono più antichi di oltre mille anni; ma il termine, "alfabeto dell'Orhon" è rimasto in uso.

In realtà, testi nello stesso alfabeto erano stati notati e raccolti in Europa almeno dai tempi dell'avventuroso, pignolo e folle medico tedesco Daniel Gottlieb Messerschmidt (1685-1735), inviato dallo zar Pietro il Grande a esplorare per otto anni la Siberia meridionale, dove per "esplorare" si intende, chiaramente, scoprire cosa si poteva prendere e chi poteva creare dei problemi.

Messerschmidt fu anche il primo a raccogliere informazioni serie sui misteriosi mammut i cui corpi congelati venivano rinvenuti di tanto in tanto in Siberia.

Il ghiaccio che si scioglie sui mammut crea anche la prima, piccola crepa nelle certezze creazioniste: certo, la Bibbia non dice che le specie non si potevano estinguere, ma la cosa in qualche modo stona con un quadro ordinato di specie coeve.

Trovo qualcosa di significativo nel fatto che tutte queste cose siano avvenute insieme, e nel contesto della conquista della Siberia, un evento drammatico quanto quella dell'America (anche se un po' meno tragico per i popoli nativi). Che però non ha lasciato la minima traccia nel nostro immaginario.

Eppure c'è di tutto: la figura di Pietro il Grande, lo spietato modernizzatore, che provocò la fuga nella taigà dei cristiani tradizionalisti dei suoi tempi;resti di animali misteriosi e alfabeti sconosciuti; mondi naturali e culturali di enorme interesse; avventurieri di ogni nazionalità, saccheggiatori, dementi e mistici, scienziati che hanno scelto di vivere disagi inimmaginabili.

Ma tutto questo non è mai entrato nella mitologia mediatica. Che ci proietta e riproietta, invece, la storia degli Stati Uniti: il pellegrinaggio di una catena di eroi, dei Founding Fathers, che vanno dai puritani a George Washington, dagli esploratori del West fino a Franklin Roosevelt e Martin Luther King, li conosciamo tutti anche noi.

Gli Stati Uniti non solo non sono "senza storia", non potrebbero esistere senza storia, perché quella storia, continuamente reinventata, è il racconto della Missione, del Destiny salvifico e imperiale.

Ma torniamo alla scrittura della valle dell'Orhon.

Una copia dei testi arrivò a Vilhelm Thomsen (1842-1927), il figlio di un postino che aveva studiato arabo, persiano, giapponese, cinese, romanes e qualche altra decina di lingue, diventando professore di linguistica comparata a Copenhagen. In tempi in cui non circolavano certamente CD interattivi e non c'erano laboratori linguistici multimediali, e in cui non ci si poteva mettere d'accordo con il proprietario di un ristorante cinese per fare conversazione, esistevano persone capaci di apprendere le lingue più remote: Karl Gustav Jung, ad esempio, sapeva scrivere in latino, e conosceva il greco e il sanscrito.

Vilhelm Thomsen riuscì a decifrare la scrittura. E la prima parola che lesse fu l'antico nome del dio del cielo, Teñri, in una forma arcaica di turco:

"Teñri teg Teñri yaratmış Türk Bilgä Kağan sabım..."

"Come Dio, da Dio posto quale guida dei turchi, Bilge Kagan, ecco la mia parola..."

Questa scoperta, compiuta con l'assoluta innocenza degli scienziati veri, avviene negli anni in cui il mondo occidentale, o occidentalizzato, è furiosamente impegnato a reinventarsi tradizioni. Tradizioni che dovranno essere instillate nelle scuole, e che si cristallizzano quindi attorno alle lingue in cui quell'insegnamento verrà trasmesso, secondo il modello della République francese.

E' l'epoca in cui si inventa il serbocroato, ci si dedica a speculazioni ardite di filologia germanica. Un certo  Eliezer Yitzhak Perelman cambia il proprio nome in Eliezer Ben-Yehuda e inventa una lingua nuova, il cosiddetto ebraico moderno, venendo per questo scomunicato dalla comunità ortodossa.

Nel 1906, Ettore Tolomei stila il Prontuario dei nomi locali dell'Alto Adige, creando - spesso di sana pianta - una versione italiana per non meno di 16.735 nomi di città, villaggi, montagne, fiumi, ruscelli e località del Sudtirolo.

E così, quando Kemal Atatürk - il nome, ricordiamo, vuol dire Padre dei turchi - crea un popolo, dota quel popolo di una lingua. Che si basa sul turco che era già parlato, ma ha un orientamento completamente diverso: non a caso, l'imposizione della nuova forma della lingua si accompagna a una nuova scrittura e persino a un nuovo copricapo, con la violenta soppressione del fez.

E anche a una nuova storia. Così le iscrizioni scoperte da un russo in Mongolia e tradotte da un danese si trasformano nelle radici di una lingua mediterranea.

Qui potete vedere le cosiddette rune dell'Orhon; per installarle come font sul vostro computer, potete fare clic in alto sulla parola tıklayınız.