Mezzo milione di rifugiati iracheni in Giordania trattati come criminali
di Christian Elia - 07/12/2006
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Fuggire dalla guerra per finire in un carcere. Questo è il destino di tanti iracheni in Giordania, almeno secondo l’organizzazione non governativa Human Rights Watch, che si batte per il rispetto dei diritti umani: in un rapporto accusa il governo di Amman di discriminare i profughi provenienti dall’Iraq.
Da profughi a criminali. Dall’inizio della guerra in Iraq, nel marzo 2003, fino a oggi, sono circa 1 milione gli iracheni che sono fuggiti dal Paese in fiamme, dilaniato dal conflitto tra ribelli e forze di occupazione e dalla lotta interreligiosa tra sunniti e sciiti. Molti di loro sono riparati in Giordania. Ma dopo un primo periodo nel quale l’accoglienza è stata buona, anche grazie al lavoro di una serie di ong, il vento è cambiato e, come denuncia Hrw, gli iracheni si sono trasformati per la legge giordana da profughi a immigrati clandestini. Nell’indagine di Hrw, un documento di 110 pagine, vengono denunciati arresti arbitrari ed espulsioni forzate che, secondo l’ong statunitense, configurano una vera e propria deportazione di massa, ancora più grave perché gli iracheni espulsi verso un Paese dilaniato dalla guerra, dove sono esposti a violenze di ogni tipo.
Di nuovo in fuga. Quando è scoppiata la guerra, per far fronte alla massa di profughi che premeva alle frontiere della Giordania, il governo di Amman aveva concesso una serie di visti turistici agli iracheni in fuga, in attesa di una soluzione più stabile. Ma con l’andare del tempo, secondo le autorità giordane, la situazione è diventata insostenibile per quello che è un piccolo paese e, invece dell’agognato permesso di soggiorno come profughi politici, sono cominciati a fioccare i decreti d’espulsione. Il presidente degli Stati Uniti George W. Bush, nell’ultimo vertice con il re giordano Abdallah II, alla fine del mese scorso, ha chiesto di rispettare i diritti dei profughi iracheni, ma il governo di Amman non pare in grado, senza aiuti sostanziosi, di gestire una crisi umanitaria di queste proporzioni, visto che si parla di quasi 500mila persone.
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