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Prigioniero 325. Delta Camp. Il francese di Guantanamo (recensione)

di Luigi Lollini - 07/12/2006

 
Memorie «Prigioniero 325. Delta Camp» di Nizar Sassi per Einaudi. La testimonianza di un giovane vigilante di Lione che non sapeva nulla di Islam politico, andato in Afghanistan per amore delle armi e finito a Guantanamo


Nizar Sassi, cittadino francese, figlio di immigrati tunisini, nato nel 1979, vissuto alla periferia di Lione, per più di due anni è stato prigioniero delle forze armate degli Stati Uniti a Guantànamo. Torna in patria nell'estate del 2004, resta nelle carceri francesi fino al gennaio 2006. Se la storia racconta nel volume Prigioniero 325, Delta Camp. Dai sobborghi di Lione a Guantànamo - Einaudi, colana di Sile libero, traduzione di Giusi Barbiani, pp. 172, euro 13,50 - è vera, Nizar Sassi non è mai stato un islamista, né tanto meno un membro di Al-Qaida. È una guardia privata: in polizia non l'hanno voluto anche se incensurato. Ha la passione delle armi: vorrebbe sparare per diletto, senza uccidere, senza straziare corpi umani, come in un videogioco, ma con armi vere. Gli spiegano che esiste un paese remoto in cui si possono maneggiare armi da fuoco senza problema. La politica non gli interessa, vuole solo vivere per qualche settimana come il protagonista di un film. La sua vacanza in Afghanistan, con documenti falsi, sarà prima faticosa e deludente - dove lo addestrano si marcia a lungo, si mangia poco, si spara di rado - poi assai rischiosa: quando ormai si decide a tornare a casa qualcuno si schianta contro le Torri gemelle di New York e molto presto qualcun altro comincia a bombardare l'Afghanistan.

A Guantànamo sperimenta i limiti della democrazia statunitense e di ogni libertà recintata da confini statali. Guantànamo non è un carcere che reclude uomini processati e condannati; non è un campo di detenzione per prigionieri di guerra in cui si applichi la Convenzione di Ginevra; non è neanche una colonia penale per ergastolani: Guantànamo è però uno dei luoghi più «reali» del mondo contemporaneo. Nizar non è tuttavia un filosofo, né un intellettuale, né un attivita politico. Per lui la realtà, fino a Guantànamo, erano soltanto le auto per strada, le ragazze, la famiglia, il lavoro quotidiano. Così, dopo anni di angoscia e soprusi, appena gli viene concesso un regime carcerario meno duro, può finalmente vedere un film americano: «In programma c'è il Dvd de L'uomo ragno, in versione francese. Divoro le immagini con gli occhi. Sono più di due anni che non vedo la vita reale, quella all'esterno, con la gente che cammina per strada, le macchine che suonano il clacson, le donne carine che sorridono. Sento che la mia voglia di vivere non è mai stata così forte».

Nizar Sassi, grazie alle pressioni di alcuni connazionali, è tornato alla «vita reale». Ora che è tornato a vivere nei sobborghi di Lione, ora che è di nuovo un cittadino, ci si chiede se riuscirà a esserlo fino in fondo. La sua testimonianza è un primo passo. Il libro, conclude l'autore, è stato scritto per spiegare come può finire a Guantànamo chi non è nato «con un kalashnikov in mano», per ringraziare chi ha lottato con tenacia per la sua liberazione e per ricordarci tutti coloro che, privati di ogni diritto civile, a Guantànamo sono ancora umiliati e reclusi.