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L’alienazione americanista che inquina il mondo

di Arai Daniele - 11/12/2006

 
 

Il gran dilemma dell'ora presente riguarda l'egemonia degli Stati Uniti nel mondo.
Corrisponde tale potente influenza nella vita internazionale ad un valido modello di civiltà?
Rappresenta esso un fattore di continuità o di abbandono del concetto d'ordine e di pace fondato su una verità vitale per l'uomo, come fu intesa dagli albori della storia conosciuta?
Un fatto è certo: sotto il dominio di un potere alieno da sani princìpi di civiltà, l'umanità intera è esposta, a dispetto d'ogni parvenza di benessere, ad un'inesorabile decadenza spirituale, che è anche causa di un letale squilibrio vitale.
Ciò si può verificare nel rapporto col mezzo ambiente che, riguardo gli USA, è senza dubbio squilibrato in rapporto al resto del mondo.
Ma qui ci interessa il modo di pensare e ancora più, di credere, all'origine delle tendenze americane.
Vediamo allora il rapporto ideale che deve sussistere tra civiltà, pace e amore per la verità, tra il potere materiale e una visione spirituale consolidata, quale è quella cattolica.
Perché quando il corso democratico dello gnosticismo ecumenista, estraneo alla verità e al diritto naturale, avrà per braccio armato la nazione più potente della storia, gli Stati Uniti d'America, dove impera l'idea massonica, il mondo sarà privato di una vera civiltà, ovvero di un potere umano capace di far rispettare il vero ordine, e potrà solo degenerare.
S'intende per civiltà quell'ordine teso alla perfezione del bene comune, non solo materiale, ma soprattutto spirituale, morale ed intellettuale, da custodire osservando le leggi della natura e delle norme positive ispirate alla giustizia, con lo scopo precipuo di far crescere le coscienze dei popoli nella conoscenza del vero, nella ricerca del bene e nel rispetto del bello.
Si può anche definire civiltà uno stato di vita per cui la società è capace non solo di assicurare ai suoi membri l'insieme di beni occorrenti al perfezionamento temporale, ma di offrirli in dovizia secondo una giusta gerarchia, in cui i beni onesti (intellettuali, morali e religiosi) hanno la preminenza (Regis Jolivet, «Vocabolario di Filosofia»).
Ecco il processo civilizzatore operato dall'ordine cristiano che, pure di fronte alla povertà materiale genera il bene sociale, e non l'inverso, come voleva Calvino, per il quale il benessere materiale indicherebbe la predestinazione al bene e perciò al vero.
Gli USA rappresentano l'apice di tale benessere, ma non sembra che stiano costruendo una pace e una civiltà volta al vero, tanto meno alla spiritualità umana; la ricerca della sapienza non fa parte del prevalente modo di pensare americano.
Lo storico Arnold Toynbee, nella conclusione della sua introduzione al libro «The Gods of Revolution», dello storico Christopher Dawson, (Minerva Press, NY, 1975) sulla Rivoluzione americana associata a quella francese, dice: «L'estremo paradosso della Rivoluzione è che, nell'atto di rimuovere l'impianto del cristianesimo tradizionale, aprì la via per un ritorno all'idea atavica delle religioni pre-cristiane, ossia l'adorazione del potere collettivo umano, che fu la religione pagana dell'Impero Romano e delle città-Stato Greche, incorporate dall'Impero Romano. Tale adorazione del potere umano rappresenta il 99 % della religione di circa 99 % della presente generazione dell'umanità. Riusciremo a liberarcene? Ma dove ci porterà se rimarremo schiavizzati da essa?»


Si osservi, però, che quando Toynbee parla di religione del potere umano collettivo ovvero della democrazia, preoccupato com'è della decadenza delle civiltà, allude ad un potere virtuale che solo appare collettivo perché la stragrande maggioranza pensa di esercitarlo, ma che dietro il paravento della «sacra volontà popolare» cela in realtà un altro potere.
Se così non fosse, perché auspicare che ci si dovrebbe ben liberare di tale schiavitù?
L'asserzione dello studioso implica, infatti, la realtà di un centro di potere invisibile, di cui forse lui stesso fa parte in segreto che, lasciando la maggioranza convinta di dominarlo, la comanda.
Ma se Toynbee si accorge di questo dilemma, altri studiosi di talento, come Karl Popper, affermarono che l'America è «la migliore società mai apparsa nella storia».
Domina dunque un inganno intellettuale aenza precedenti che inganna gli stessi americani.
Vediamo un esempio che riguarda l'attuale democrazia americana.
Poiché è nella Costituzione di un Paese che sono scritte le regole del potere del suo governo, c'è da domandarsi quali siano oggi le basi della Costituzione americana, cui il mondo dovrebbe rifarsi.
Non vi è dubbio che i padri fondatori degli Stati Uniti hanno voluto scrivere una Costituzione secondo le loro convinzioni cristiane: di soggezione a Dio e al Decalogo.
Era l'idea ferma di Washington, di Thomas Jefferson e di altri.
In tal modo, tra le Costituzioni repubblicane del mondo moderno, soltanto quella degli USA ha messo per scritto che la libertà del cittadino è soggetta alla Legge di Dio.
Quindi, anche se la Rivoluzione americana del 1776 aveva idee simili a quella francese del 1789, la Costituzione che ne derivò non era interamente illuminista né volterriana, ma, per usare le parole di Herman Melville, il patriota americano autore di «Moby Dick»: «Fondamento di ogni progresso morale dell'umanità», una costituzione soggetta al «grande Iddio democratico», «centro e circonferenza di ogni democrazia... della nostra divina eguaglianza».
Accade, però, che: «Negli Stati Uniti d'oggi a guidare il governo non è più questa costituzione scritta.
Nel marzo del 1991 il presidente Bush (padre), a Camere riunite, emanò la 'Joint House Resolution 104, Public Law 102-14', con cui la data di nascita di rabbi Menachem Schneerson fu dichiarata come 'giorno dell'istruzione' in USA. Nel preambolo della nuova legge, viene detto: 'Il Congresso riconosce la tradizione storica di valori etici e di principi che sono la base della nostra società civile e su cui la nostra grande nazione è fondata'. Nel testo, ci si aspetterebbe l'evocazione della «tradizione storica» e dei «valori etici» americani, enunciati da Jefferson, da Washington e da Payne: libertà sotto Dio, uguaglianza, democrazia, ma, ecco il seguito. «Questi princìpi e valori etici sono stati la base della società fin dall'alba della civiltà, quando essi furono conosciuti come le sette leggi noachicche». «Il Congresso USA, perciò, dal 1991 ha per riferimento, come base sociale, le leggi dei tempi diluviani. In America non vige la Costituzione, ma le norme talmudiche riservate a noi goym
». (Maurizio Blondet, «Chi comanda in America», EFFEDIEFFE, Milano, 2002)


Se il riferimento alla «tradizione storica» e ai «valori etici» americani di libertà e uguaglianza sotto Dio, enunciato da Washington e da Jefferson, era cristiano, ora esso è «sostituito», in nome della democrazia, da una norma precedente a Cristo: le «sette leggi noachicche».
Ciò vuol dire che, in nome della democrazia, il potere dominante oggi può rivedere, non la Costituzione, che non è dogma, ma il «fondamento di ogni progresso morale dell'umanità»: il principio di civiltà.
Esso può essere rivisto dai poteri presenti, nonostante ciò implichi una «revisione indietro» riguardo alla soggezione a Dio: dal perfezionamento della Legge in Cristo alle leggi elementari del tempo pagano di Noè! Che senso può avere questa «revisione»? 
Per ritornare al pensiero di Toynbee, constatiamo quanto sia vicino all'«adorazione del potere umano», che si manifesta con la lettura del passato e del futuro secondo i poteri oggi prevalenti.
Mettono avanti il nome di Dio, «in God we trust», per poi decidere la «fede» con cui fidarsi di Dio.
Come spiegare una tendenza così astrusa con parole semplici?
Per il pensiero cristiano, formato nella visione del Bene = Vero, l'essere umano deve vivere come pensa e pensare come crede, cioè secondo la Verità rivelatagli per procedere nel bene ed evitare il male. Altrimenti cade nell'opposto: crede come pensa e pensa come vive ovvero forma il proprio pensiero secondo le tendenze economico-politiche e le mode.
E quanto è vero per le persone vale pure per il corpo sociale.
Ma chi ha perso la visione cristiana si trova col dilemma: è lo spirito che deve guidare il corpo o il contrario?
Dal momento che la vita del mondo si svolge in mezzo a violenze, ingiustizie e corruzioni, la mentalità che si adegua all'impero del corpo materiale finisce per seguire illusioni, falsità ed errori che spingono a prendere per buone le soluzioni di ideologie materialiste per erigere un allettante «nuovo ordine». Finisce, in sostanza, per credere e pensare secondo la tendenza di vita del mondo che è, come chiariva Pio XI, «l'intemperanza delle passioni, che così spesso si nascondono sotto le apparenze del bene pubblico e dell'amor patrio».
Di questa ricorrente tentazione dei popoli oggi si fa portatrice la potenza americana: pensare come si vive nel presente.
E tale modo di pensare diviene maestro di vita.
E' un problema grave che si può illustrare col gaio esempio delle telenovele, aggiornate per seguire le preferenze del pubblico; un «grande fratello», programmato per abolire i personaggi meno apprezzati nei sondaggi di gradimento!
L'idea, proiettata nella vita reale, suscita la brama di mutare la vita sociale in una «fiction» secondo l'idea che la gente gradisce avere di sé.
E' lo strapotere dell' «io moderno», secondo il consumismo «culturale»; è il paradosso dell'uomo decaduto che si fa arbitro dell' ordine terreno, negando che ci sia l'ordine originale, anzi, lasciandosi convincere che a corrompere la naturale bontà dell'uomo sia proprio il credere in un ordine divino (Rousseau).
A partire da questa «ipotesi», una nuova classe di intellettuali ha ritenuto necessario creare un «nuovo ordine mondiale», mentale, morale, sociale e infine religioso, secondo l'ora presente.
Non è forse questa la linea di pensiero gnostico, riguardo alle fedi, quella di invocare il passato per adattarlo alle preferenze del presente?


Questa equazione rivoluzionaria, del «solve et coagula», non è quella che fa navigare le ideologie tra la violenza e la liberazione religiosa per ottenere l'emulsione delle varie fedi in un «revival da new age»?
Non è a tale emulsione che conduce l'attuale «regime ecumenista»?
Dietro al suo aspetto «moderato», perfino «pietoso», non impone esso un nuovo obbligo, «morale»: la confessione che le religioni si equivalgono e quindi ne deriva il «diritto» di scegliere tra esse, come quando si acquista un prodotto nei supermercati?
E' vera libertà «scegliere» una fede, col «solo» vincolo di non confessare apertamente che essa è l'unica vera?
Lo stesso dilemma fu sollevato negli anni settanta dai cosiddetti nuovi filosofi francesi riguardo alla libertà di scelta del regime marxista: «Il marxismo si riassume in un si-ha-ragione-di-rivoltarsi, ma si ha ragione di rivoltarsi contro il marxismo? Se è sì, ecco di nuovo l 'uscita che si blocca. Se è no, il marxismo non si lascia riassumere in tal modo, quindi mente. Io mento, dice il cretese: se mente, dice la verità, se dice la verità, mente. La logica moderna ha accuratamente scrutato le antinomie di questo tipo… Fa' quel che vorrai, ma non ti ribellare contro colui che te lo ordina o ti invischierai in insuperabili contraddizioni.» (André Glucksmann, «I padroni del pensiero», Garzanti, 1977).
Pure la super religione si riassume in un «si-ha-ragione-di-liberarsi» dei dogmi.
Ma si ha ragione di liberarsi della emulsione ecumenistica?
Quanto è detto per la vita personale, a maggior ragione, si estende alla vita sociale che subisce la possente influenza negativa degli usi e deicostumi, sparsi nel mondo scristianizzato, proprio per far abbandonare l'orientamento del vivere come si pensa e del pensare come si crede, a causa dell'idea opposta del credere come si pensa e si vive.
Perché, se l'uomo fu creato da Dio libero per accogliere la Verità, non equivale ciò a credere che essa induca l'uomo ad arrogarsi una scelta religiosa?
Significherebbe, inoltre, l'abuso di voler mutilare la Verità divina dal suo assoluto per trasferirlo alla libertà umana, divinizzandola, come voleva la Rivoluzione francese con la sua dea ragione.
Ebbene, a dispetto dell'apparenza cristiana, a questa si aggancia la religione americanista che, con pari moti libertari e gnostici riguardo la vita dei popoli, ha finito coll' assoggettare le genti ad una legge scritta proprio in funzione della libertà disgiunta dall'ordine.
Ecco il «nuovo ordine», stabilito per garantire anche la libertà del disordine secondo la parola volterriana: «Discordo da quanto dici, ma sono pronto a morire per assicurarti il diritto alla libertà di dirlo». Siccome al diritto di dire segue quello di fare, al delitto di adulterio, tanto per fare un esempio, va assicurato un diritto, per cui la rivoluzione è pronta fino alla morte!
Due mentalità opposte caratterizzano, quindi, il conflitto sociale: la prima, tradizionale, crede che sono i princìpi religiosi che ci trascendono a dover plasmare il modo di pensare e di vivere.
La seconda, modernista, ritiene che sia il fugace impeto della vita sociale a dover forgiare di continuo la mentalità, anche religiosa!
Perciò, «si-ha-ragione-di-liberarsi» dall'ordine tradizionale per creare il diritto al disordine sociale.
E' quanto voleva la Rivoluzione, cui si è accodato il potere americano e poi, incredibilmente, il Vaticano II.
Che ne è allora del diritto-dovere di preservare la dottrina cattolica di fronte alla scalata modernista e della sua super religione mondiale?
Esso rimaneva intatto fino a quando la voce della Chiesa insegnava che l'errore e i disordini da esso causati non costituiscono diritti.
Ma la prepotenza rivoluzionaria, attraverso l'operazione ecumenista, ha ridotto questa sana dottrina a «opinione» proibita.
Nel piano logico e religioso rimane certo che la Verità è una e non dipende da opinioni.
Ma proclamarlo in pubblico significa ormai discriminazione religiosa, secondo un nuovo diritto, anche conciliare, e va condannato.


Il segno della religiosità americanista
Gli USA sono una nazione moderna che non può essere considerata poco religiosa; al contrario, lì, accanto alle fedi tradizionali, sono sorte e continuano a sorgere tante nuove religioni; lì la parola bibblica è citata dovunque e le assemblee e comunità religiose sono quasi una regola sociale.
A causa di ciò in America vige il «pensiero» ecumenista, assunto quasi a «fede» nazionale.
Dato, però, che il principio della fede è fondato sull'ascolto e sul legame tra Creatore e creatura ovvero sulla Verità che procede da Dio all'uomo, mentre l'idea ecumenista va in senso opposto, dall'uomo a Dio, come può attribuirsi a tale «pensiero» un vero carattere religioso?
È la vecchia questione irrisolta tra cattolicesimo e protestantesimo.
Infatti, mentre il primo si fonda su questioni oggettive, sul sacro e sui sacramenti, su tutto quanto proviene da Dio, il secondo amplifica i moti soggettivi delle anime verso l'Alto.
Mentre la musica nella Chiesa cattolica è amalgamata con il rito, nei templi protestanti la musica e il canto costituiscono il rito stesso.
Parimenti, la Scrittura, che per il cattolico va interpretata dall'autorità d'origine sacra, per il protestante è giusto farne un discernimento con una lettura personale e immediata, che i predicatori proclamano dappertutto, nei templi come nelle praterie, nelle strade come nei palchi, con una religiosità libera e tutta umana, quasi che ciò corrispondesse alla religione rivelata.
Si noti, però, che il principio della fede fondato sull'ascolto della Parola del Creatore, sulla Verità che procede da Dio all'uomo, è stato da sempre lo spartiaccque tra la religione divina e l'idea umana di religione.
La necessità di governare gli uomini, anche con idee opposte, ha da sempre messo i governanti dei popoli davanti a questo spinoso problema, richiedente una soluzione o di conflitto, o di tolleranza o d'indifferenza.
Infatti, le posizioni opposte si sono sempre inevitabilmente riflettute nel governo delle nazioni e degli imperi.
Già i Romani cogitavano la questione politica della convenienza «ecumenica» con il loro «panthéon» degli dèi d'ogni popolo, causa prima della persecuzione dei cristiani, che non potevano partecipare a tale garbuglio religioso.
Dunque, il loro solo conflitto era con i cristiani che rifiutavano compromessi ecumenici.
Il pensiero religioso romano era, però, comunque rivolto all'Alto, ai princìpi trasmessi, ai valori ereditati, al culto degli antenati: la «pietas» che improntava la loro lealtà e giustizia.
Erano punti in comune con il nascente cristianesimo, a cui l'Impero si convertì, rimanendo per secoli come Sacro Romano Impero ad edificare una civiltà senza paragoni.


Non c'è dubbio che la tentazione «ecumenista», causa di tanti inganni, perché vuol far convivere nel mondo umano ogni visione di verità, è vecchia come la storia.
Già nell'era cristiana essa causò persecuzioni e conflitti all'insegna della parola di Cristo stesso. Studiando poi gli eventi attorno alle grandi eresie, di Ario, di Nestorio, di Sergio da Costantinopoli, ecc., si scorge il contrasto tra la giusta preoccupazione dei Concili Ecumenici d'evitare la convivenza civile tra verità ed errore e quella imperiale di sedarla.
Una cosa è la tolleranza cristiana verso l'errore, un'altra è l'aggiornamento del cristianesimo per animare le «verità umaniste» volute dagli imperi.
La tentazione di accettare compromessi sulle differenze religiose sono dovute a molte eresie, come l'arianesimo e il monotelismo, accettate da alcuni imperatori.
Ma ciò fu superato e preservata la Fede unica.
Si prospetta tale fedeltà per quello che è definito impero americano?
In apparenza sì, ma in sostanza vi è una radicale differenza nella direzione impressa alla visione della vita.
Per i Romani essa era legata alle origini, a quanto era stabilito dall'eternità.
Per gli americani invece essa è volta al futuro attraverso l'immediato presente divenuto la sola norma. La vita democratica con i suoi costumi e bisogni dettano infatti cosa sia bene e cosa male; a tal fine i governanti seguono con sondaggi continui l'opinione pubblica, che indicherebbe il «bene democratico» da applicare al sociale, senza l'interferenza di verità rivelate sul destino umano.
In sintesi, sarebbe la vita sociale a definire il vero, anche se in realtà sono i segreti «centri di potere» a dettare le norme del vivere.
Tale via, mistificata con la parola «democrazia», diviene il modello politico «sacro» e perciò religioso da seguire non solo in Am
erica ma in tutto il mondo.
E' il «nuovo ordine» globale da instaurare con l'aiuto dell'ORU (o URI) che sta alle fedi come l'ONU alle nazioni.
Che una operazione ecumenista «cristiana», un «pancristianesimo»,  come à stato denominato dal Papa Pio XI, possa essere auspicata dai cattolici è possibile solo a causa di un misterioso crollo di Roma.
Ciò contraddice non solo la storia della Chiesa, ma i suoi fondamenti dottrinali.
La Verità rivelata è una, se non si vuole insinuare una blasfema ambiguità divina.


La storia dell'americanismo religioso
Il modo migliore per identificare l'alienazione religiosa americanista é seguire il rapporto USA - Roma.
Visto che gli USA sono i portatori del «nuovo ordine» e allo stesso tempo la seconda nazione cattolica del mondo, i popoli dell'Occidente devono capire di cosa si tratta affinché non accada che si trovino a festeggiare un'incerta «religiosità da panthéon», dove la grande esclusa è la Verità.
La crisi della coscienza europea del XVIII secolo fu levatrice non solo dell'enciclopedismo, delle rivoluzioni nazionali e mondialiste, ma anche dell'americanismo che, come «fede» semplice, egualitaria, liberale ed ecumenista non fu dovutamente contestata all'inizio.
Perciò è divenuta potente abbastanza da superare ogni divergenza e imporsi nel mondo.
Se il dubbio della coscienza europea ha portato a negare che ci sia un ordine superiore in terra e a suggerire l'elaborazione di un nuovo ordine, la Rivoluzione americana ha risolto il dilemma con la «fede» nella superiore democrazia dell'America, esempio per il mondo.
Essa potrebbe gestire in concreto le più grandi antitesi, perfino quella tra vero e falso, perché l'arbitro d'ogni idea sarebbe la cosiddetta opinione pubblica, sempre reperibile dai sondaggi.
Ciò costituisce l'esempio più lampante del fatto che una società, che crede come vive ovvero adattando il vero e il bene a quanto sembra essere una libera scelta di vita, liberale e democratica, rimane in balìa di manipolazioni invisibili da parte di forze occulte e di poteri mondiali, come i centri segreti della Massoneria.
È così che un'intera generazione di cristiani americani, dopo aver subìto un completo lavaggio del cervello, è giunta a scambiare la regola di vita cristiana per la dipendenza consumistica, sicura d'aver scelto una libertà per la quale valga la pena perfino di morire.
In tal modo l'inganno viene mascherato da dea libertà nelle società opulente, pronte a rendere l'anima sull'altare o palco di una super religione ecumenista.
Ma il virus letale, di cui è portatore l'americanismo «cattolico», è stato sottovalutato dai custodi della Fede a Roma, fino a prendere il sopravvento con l'infestazione «ecumenista» mondiale, promossa dal Vaticano II.
E oggi il rapporto si presenta invertito poiché sono gli americanisti a vigilare sulla fedeltà ecumenistica del mondo cattolico.
Il contrasto profondo tra il cattolicesimo e la Rivoluzione americana, di cui l'americanismo «cattolico» si faceva garante, è presentato come definitivamente risolto.
Tale è l'immane minaccia incombente sulla Chiesa universale e sul futuro dei popoli: l'alleanza di ferro tra imperialismo mondialista e conciliarismo ecumenista.
Quanto pareva un fatto nazionale, oggi svela la portata mondiale dei piani «ecumenismi» diretti a intese politiche globali, per lo più segrete, perché indirizzate ad un «compromesso storico» tra opposti, tra il mondo moderno e la Chiesa.
Perché compromesso storico?
Perché è stato sempre ritenuto contrario ad ogni principio logico della politica, dunque inconcepibile. Oggi cosa è impossibile alla rivoluzione democratica che medita l'unione totale delle verità cristiane e non, e quale ruolo dovrebbe rivestire questa chimera sulla religione nella futura unione dell'umanità?
Non c'è dubbio che l'unità è una nobile mèta per tutti, in speciale per gli Stati Uniti, che hanno ricevuto un enorme flusso migratorio da tutto il mondo.
Ma quale unità?
Quando si insegue troppo un valore relativo, c'è il rischio di idealizzarlo come assoluto e di tralasciare l'unità cristiana nella Verità («Ut omnes unum sint», Giovanni 17, 21), a favore di una unità nazionale al cui dominio la religione deve piegarsi.
E' vero che l'unità è ora proposta come «principio» religioso dalla nuova Chiesa, da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II; ma ciò non avviene secondo la Verità di Cristo, ma richiamando quelle dell'ONU.
La tentazione «ecumenista» nei vari imperi c'è sempre stata, come si è visto prima.
Qui interessa sapere, però, come, quando e perché essa raggiunse il potere attuale, riuscendo ad annientare le difese cattoliche.
Come essa si sia introdotta nel cattolicesimo senza clamori si sa: attraverso lo gnosticismo e suoi derivati, divenuti forza d'urto politico con la Massoneria.
Sul quando, s'è visto il suo piano e il suo primo tentativo di eleggere un papa che convocasse un concilio orientato ad un nuovo ordine mondiale.
Resta da vedere perché tale piano è dominante oggi senza resistenze cattoliche, anzi con il concorso della Santa Sede, come è il caso dell'U.R.I.
E' forse già in atto a Roma il regime ecumenista intento a mutare Chiesa e coscienza cristiana secondo un «nuovo ordine mondiale»?


L'impero americano
Seguiremo ora, in modo sintetico, la genesi del «nuovo ordine» che doveva presentarsi convincente non solo dal punto di vista sociale, ma soprattutto religioso, per potersi proiettare in un futuro planetario senza confini.
Per farlo si deve seguire la storia, non solo dell'idea che lo ha cullato, ma di chi e di cosa gli era d'ostacolo.
Lo ha cullato l'idea messianica dell'impero americano (1), consolidato nel secolo XX sull'onda impetuosa della democrazia vittoriosa, che raggiunse un potere senza precedenti nel campo militare e tecnologico, irradiante nel mondo un ottimismo impari.
Quanto all'ostacolo, si tratta della Chiesa cattolica e del suo Papato, rappresentanti dell'ordine cristiano universale da molti secoli, ma che dopo le due grandi guerre che avevano sconquassato l'Europa cristiana si trovava assai indebolita e minata dal di dentro da idee moderniste.
Ora, poiché negli Stati Uniti d'America sembravano superate le vertenze tra la Chiesa e il loro americanismo sincretista, tutto faceva pensare che negli anni cinquanta gli USA erano sempre più cattolici.
Nel 1959, ancora nella scia di Pio XII, la popolazione cattolica del mondo era di mezzo miliardo.
Di questi, 39.505.475 erano americani, con un incremento di 3.481.498 rispetto all'anno precedente ed una crescita del 47,8 % dal 1949.
C'erano all'epoca in America 942 ospedali cattolici, e 580 giornali e riviste che raggiungevano la circolazione di 24.273.972 copie. (Enciclopedia Britannica, Book of the Year 1960, pagina 600).
Si noti, però, che la voce («Roman Catholic Church») che riporta questi dati inizia con le seguenti parole, che già indicano una svolta: «Il 1959 si segnala per una stabile crescita dell' inclinazione degli eruditi e delle organizzazioni cattoliche romane di esplorare ogni possibile via di avvicinamento al dialogo con le altre organizzazioni religiose».
Il grande numero di cattolici americani, che rappresentava anche un notevole potere economico, non poteva non incidere sui rapporti della Chiesa di Roma con gli Stati Uniti d'America, specialmente dopo che questa nazione, vittoriosa nelle due guerre mondiali, era divenuta anche la «custode» della libertà e dell'ordine nel mondo contro il comunismo.
La questione in quel periodo era: l'America stava diventando più cattolica o il suo americanismo stava per inquinare il cattolicesimo?
Il fatto è che l'inversione riguardo il senso dell'ascendenza democratica su quella religiosa è iniziata sotto Giovanni XXIII e il Vaticano II, quando tale «inclinazione» si è manifestata come «nuova coscienza democratica della Chiesa».
E così si arrivò a un tacito compromesso tra democratismo modernista di aspetto «cattolico» e l'americanismo massonico.
Una delle scuse per implementare l'americanismo fu il bisogno di unità politica negli Stati Uniti con una popolazione di credenze diverse.
Del resto il cattolicesimo in America aveva fin dall'inizio subìto pressioni affinché facilitasse l'apertura verso altre religioni e favorisse una fede unitaria.
Ciò implicava una certa attitudine religiosa che, pur accettando la nuova «religiosità», mantenesse l'apparenza di fedeltà riguardo al Credo, ma nella nuova carità del «vivere e lasciar vivere», anche di fronte ad errori; «my country, right or wrong» é il cinico «patriottismo» del «non prendere la religione troppo sul serio» quando la patria è in causa.
Ma la formula più corrosiva è sopratutto quella che insinua l'idea che si deve «cercare ciò che unisce e non ciò che divide».
Ecco le frasi chiave a servizio dei nuovi obiettivi per aggiornare la vita cristiana archiviando proprio la Verità di Dio, riducendo la religione a pratica religiosa per uso interno.
Tutto ciò soddisfaceva il dominante puritanesimo protestante, ma erodendo il vero cristianesimo.
Dato, però, che le società hanno bisogno di una fede assoluta e che alle fedi è legato un culto, s'instaurò il culto della democrazia assoluta in sostituzione della dea ragione onorata sugli altari rivoluzionari.
Tale culto diveniva così modello d'esportazione, e gli USA divenivano il vettore messianico della «fede democratica» che da più di un secolo s'impianta in ogni luogo.


Dove ci sono conflitti nel mondo gli USA appaiono per brucciare i vecchi ordini e in seguito spegnere l'incendio con le benemerenze del suo «nuovo ordine» globale.
La forza di tali imprese viene dalla semplificazione mentale ereditata dalla cultura inglese, sospettosa del pensiero teorico.
Si pensi ai filosofi, veri sofisti concentrati a provare che la logica, compreso il sillogismo aristotelico (Stuart Mill), non ha un senso intrinseco e che la filosofia non è che un gioco di parole, da non prendere sul serio.
Il pragmatismo americano completa quest'opera.
Basti pensare alla filosofia di Emerson e di William James, secondo il cui pragmatismo la verità ha per criterio, nell'ordine del credere, la fecondità, nell'ordine dell'azione, il successo.
Mentre in Europa il liberalismo, il naturalismo e il modernismo erano i pensieri ispiratori del motto «libertà, uguaglianza e fraternità», negli USA, più pratici sul piano intellettuale, tale motto esprimeva la «praxis» per placare anche le dispute religiose ordinate al nuovo precetto: cercate il modello democratico-«ecumenista» americano e tutto il bene vi sarà dato in aggiunta!
Il programma del «pluralismo religioso» s'identifica, pertanto, con l'emericanismo, che «designa una dottrina e un movimento religioso d'ispirazione liberale e naturalistica maturato negli Stati Uniti d'America in seno al cattolicesimo sul finire del secolo XIX. Esso mirava ad intensificare e ad agevolare le conversioni alla fede, attraverso una vasta opera di conciliazione e di sintesi fra l'antica tradizione cattolica e il nuovo pensiero e le nuove aspirazioni della religiosità moderna» (Enciclopedia Cattolica).
Si trattava, sostanzialmente, di «stabilire una sintesi religiosa» di stampo modernistico, diretta a quanti erano in attesa che la Chiesa universale si convertisse ai compromessi gnostici di parvenza cattolica. L'estensione del danno che essa ha procurato alla Chiesa può essere misurato solo esaminando il baratro aperto dal Vaticano II, messo in luce dal moltiplicarsi delle crisi e delle sette nelle varie nazioni. La causa?
L'appiattimento d'ogni fede rivolta al vero.
La fede immolata al moloc del pluralismo… che «è stato uno dei mezzi più efficaci di repressione nel corso della storia; reprime tollerando tutto fino alla morte, come nota Marcuse» (John Rao, «Americanism», St Paul, pagina 27).
Può esistere una «cultura del pluralismo»?
Non è proprio in questo campo che il plurale fagocita il singolare e il generale il particolare?
Il fatto è che tale «cultura» è oggi egemone nel mondo, al punto da neutralizzare ogni altra.
Diviene un «bene» in se stessa, blindata per diritto divino contro ogni errore ed abuso, a tal punto che in America sarebbe una bestemmia dire che l'istruzione pubblica fondata sul pluralismo, cardine della democrazia liberale, sia manipolata da un'intellighentia faziosa: il pluralismo democratico nella libertà, uguaglianza e fraternità sarebbe la fonte di ogni cultura.
Stiamo cercando di rendere evidente il filo che lega le idee dei seguaci della gnosi e della Massoneria con quelle dei pastori della religiosità americanista e modernista, che si allaccia all' «idea ecumenista massonica».
Per approfondire questi legami si deve seguire la storia degli Stati Uniti, dei suoi padri fondatori, nonché quella della Chiesa in America.


L'origine della Rivoluzione americana
La rivoluzione americana del 1776 aveva gli ideali civici di quella francese del 1789: lo stesso «spirito» illuminista di Rousseau, Voltaire, ecc.
Si tratta del pensiero che fa sorgere un nuovo ordine, fondato sul neo-umanesimo di una gnosi vagamente panteista, ispiratrice dell'evoluzione e del progresso illimitato della conoscenza.
Era la visione massonica e massoni erano molti padri fondatori, come George Washington e Benjamin Franklin.
Franklin era un rivoluzionario non violento di formazione puritana, ma autodidatta influenzato dai filosofi inglesi, che ben presto passò al deismo.
Nel 1734, a 28 anni d'età, fu eletto gran maestro nella loggia della Pennsylvania e pubblicò il primo libro massonico in America: le «Costituzioni dei Massoni di Anderson».
Più tardi, in Francia, fu eletto Venerabile della loggia delle Nove Sorelle.
Con i suoi scritti predicò una morale e una religione delle virtù borghesi  e utilitaristiche, del filantropismo e dell'umanitarismo, ispiratori del modo di vivere e della filosofia pragmatica americana. Nell'ordine «filosofico», dunque, l'americanismo e il pensiero americano sono radicalmente pragmatici. «Mancando criteri intellettuali per conoscere verità trascendenti, ricorre al criterio pratico dell'utilità. «E' vero ciò che è utile».
E' la filosofia dell'utilitarismo che risente dello spirito pratico e positivo del popolo americano in mezzo al quale è nata (James, ecc.) e fu chiamata dal Gutberlet: La filosofia del dollaro.
Gli stessi principi sono applicabili alla morale e alla religione: «Sono veri e buoni certi principi di morale perché utili alla salute, è vera e buona la religione perché utile all'individuo e alla società» (Filosofia, padre Paolo Dezza UG, Roma, 1993).
Franklin si dedicò anche alla scienza, inventando il parafulmine.
Divenuto molto popolare e stimato in patria, si dedicò, nella seconda metà del secolo, alla politica.
Fu uno dei firmatari della Dichiarazione d'indipendenza (1776).
Inviato in Francia, fu accolto trionfalmente, come personificazione dell'uomo nuovo della rivoluzione illuminista.
John Carroll, il primo vescovo cattolico in America, appartenente ad una delle prime grandi famiglie americane, di origine irlandese, di cui Franklin era amico, studiava allora in Francia.
Non deve sorprendere perciò che il suo entusiasmo verso un'America di anima liberale derivasse, oltre che dalle idee di questo massone deista, dalle idee gallicate e gianseniste assorbite alla Sorbona.
Chiamato il padre della Chiesa cattolica in Nord America, perché fu il primo arcivescovo di Baltimora, Carroll, trovando quella Chiesa povera, poco organizzata e perseguitata dall' intolleranza delle sètte protestanti, alla sua morte la lasciò fiorente con vescovi, clero, seminari, case religiose, scuole e collegi. Inoltre, ha il merito di aver superato una situazione virtualmente scismatica, a causa di una tendenza autonomista che ha portato al tentativo di fondare una chiesa cattolica americana, libera da ogni legame con Roma, tendenza favorita dal particolare momento storico e dalle idee repubblicane del clero recentemente giunto dall'Irlanda.
Si noti che è di quell'epoca la dottrina Monroe (1823) per cui il continente americano doveva appartenere solo agli americani.
Non si può pensare che essa estendeva il suo nazionalismo anche alla religione?
Era il dilemma politico che in USA ha inficiato la fedeltà del cattolico alla suprema autorità romana. L'americanismo ha sempre mostrato, infatti, un potenziale legame col pensiero gallicano, massonico e modernista, molto affine a quello dell'attuale «pastorale ecumenista».


Il sigillo episcopale del vescovo John Carroll aveva 13 stelle attorno alla Madonna per rappresentare i 13 stati dell'Unione, invece delle 12 usuali.
Riguardo l'amministrazione dei Sacramenti usando l'inglese, arrivò al punto di disturbare le migliaia di immigranti non irlandesi.
Quanto alla Massoneria, ritardò la comunicazione sulla sua condanna da parte della Chiesa il più possibile.
Si noti però che Carrol fu un buon vescovo malgrado il suo pensiero fosse attratto, da una parte dalla universalità della Chiesa, dall'altra dal «patriottismo americanista», la cui utopia è niente meno che la liberazione e l'unione globale dell' umanità, guidata dall'esemplare democrazia americana.
L'americanismo ebbe la piena fioritura col cardinale Gibbons, come si evince dalla sua lettera condivisa con i vescovi Ireland, O'Connell e Keane.
Ma da quel momento questa eresia fu percepita da Roma.
«Il gran dilemma dei prelati americani era quello della 'doppia fedeltà' al Vicario di Cristo e all'autorità civile». Il «popolare» Gibbons, noto per la sua fedeltà senza riserve allo Stato, anche quando la politica democratica di questo favoriva la Massoneria e nutriva l'indifferentismo religioso, ne è d'esempio. (vedi Luigi Bruti Liberati, «Santa Sede e Stati Uniti», BXV).
Mirava, invece, all'unità, vantandosi che «il suo catechismo non aveva una sola riga che urtasse il Protestantesimo.»
Nel 1893, in occasione della «Esposizione mondiale» a Chicago, i suoi direttori decisero di indire un «Congresso Internazionale di Religioni», in cui ai rappresentanti delle varie religioni spettava spiegare quello che ciascuna di esse faceva per il bene dell'umanità.
Per più di due settimane, a richiesta del cardinale Gibbons, i preti si mescolarono coi ministri protestanti, musulmani e buddisti, in vista di «giungere ad un accordo su un terreno comune di princìpi morali e religiosi per un'azione concertata contro nemici comuni».
Roma allora ha mantenuto silenzio.
Quando, però, un simile congresso fu proposto per Parigi, nel 1900, Leone XIII si pronunciò con un sereno, ma fermo «No.»
Si noti che, come per la rivoluzione, anche riguardo a tali congressi ecumenici, l'iniziativa americana ha preceduto quella francese.
Nel 1895 gli americanisti protestarono per l'invio di una Delegazione Apostolica in America, ma Papa Leone XIII insistette con la lettera conosciuta come «Longinque Oceani» sui pericoli dell'americanismo.
Era il primo avvertimento.
Dopo aver lodato il lavoro fatto dalla Chiesa in America il Papa scriveva, «La Chiesa... produrrebbe più abbondanti frutti se, oltre la libertà, avesse il favore delle leggi e il patronato dell'autorità pubblica».
Ai nostri giorni, come si vedrà, il padre Johm Courtney-Murray avrebbe usato ogni mezzo per cancellare tale affermazione e sostituirla con la sua dottrina sulla separazione tra Chiesa e Stato, incredibilmente approvata e fatta propria dalla nuova Chiesa del Vaticano II, di cui Murray era stato nominato «perito», essendogli affidata la stesura della dichiarazione «Dignitatis humanae» sulla «libertà religiosa».


Il vescovo John Carroll


Una condanna dell'Americanismo giunse al cardinale Gibbons con la lettera di Leone XIII, «Testem benevolentiae» (sigla TB), del 22 gennaio 1899, che ristabiliva la missione del prete cattolico, falsata nella biografia di padre Hecker, sacerdote di dottrina malferma.
Proprio negli anni della crisi tra Stato e Chiesa in Francia, la voce che arrivava dal clero americano suggeriva che il pluralismo e la separazione di Chiesa e Stato americano dovevano fungere da modello anche per gli affari europei, opinione ormai condivisa da molti cattolici d'America.
Lo vedremo parlando di Alexis di Tocqueville, acuto studioso della democrazia americana.
Gli americanisti, nonostante l'intento della massima diffusione del cattolicesimo in America, ponevano in dubbio l'universalità della Chiesa romana.
Leone XIII intervenne tempestivamente, biasimando l'errore con la Lettera al cardinale Gibbons, ammiratore dei Polisti di padre Hecker.
Essa non aveva il tono di un'enciclica, ma di una lettera amichevole, perché tutto fa credere che Roma dubitasse della consapevolezza di quei gerarchi della gravità dei problemi concernenti il sistema religioso e filosofico americano.
A causa degli errori capitali trattati, l'esame in essa contenuto dell'americanismo, pare scritto per protestanti e modernisti e, perchè no, anche per i futuri conciliaristi.
Ecco una sintesi dei suoi errori:
per ottenere conversioni la Chiesa avrebbe dovuto adattarsi alla civiltà moderna, accondiscendendo alla sua mentalità e ai bisogni dei popoli, secondo la nuova disciplina di vita, riguardante anche la fede; ma ciò va contro la dottrina cattolica (confronta Concilio Vaticano I, Cost. De Fide cath. Cap. 4) che ha un solo e stesso Autore e Maestro di verità adatte a tutte le età e a tutte le genti.
Niente perciò può essere eliminato dalla dottrina ricevuta da Dio o da essa trascurato per qualsiasi fine; chi lo facesse, anziché ricondurre i dissidenti alla Chiesa, allontanerebbe dalla fede gli stessi cattolici. Quanto alla norma del vivere prescritta ai cattolici, la Chiesa non esclude qualche mitigazione, secondo i tempi e i luoghi.
La Chiesa solitamente ha sempre moderato la disciplina, salvo il diritto divino, in modo da non trascurare mai i costumi e le esigenze connesse con la diversità di popoli, che essa abbraccia, se la salute delle anime lo richiede.
Il pericolo più grande per la dottrina cattolica è il disegno secondo cui i novatori pensano che si debba introdurre nella Chiesa una 1ibertà dei fedeli che si accordi alle iniziative personali.
Immenso è il divario fra questa mentalità, propria delle società che esistono per volontà degli uomini, e la Chiesa che esiste per diritto divino.
La Chiesa non ripudia le conquiste recenti, che accrescono il patrimonio della scienza e dilatano i confini della pubblica prosperità, ma lo sviluppo deve avvenire nel rispetto della sua autorità e sapienza per evitare gli effetti del degrado spirituale, perché la modernità porta a rigettare come superfluo ogni esterno magistero.
Lo Spirito Santo, dicono, effonde ora, meglio che nei tempi trascorsi, carismi sui fedeli, senza alcun intermediario: questa è la temeraria confusione tra Magistero consacrato da Dio e libero giudizio.
Così è nata la nuova apologetica americanista che finge di rimuovere gli ostacoli che avrebbero potuto trattenere l'uomo moderno dall'abbracciare la fede cattolica e impedire il prestigio del cattolicesimo di fronte alla civiltà contemporanea.


Il cardinal Gibbons


Tale apologetica dovrebbe, quindi, indurre la Chiesa a passare sotto silenzio certe verità troppo avverse alla mentalità moderna e insistendo maggiormente sulle verità che avvicinano anziché sugli errori che allontanano.
Inoltre, l'istruzione del Vangelo dovrebbe essere presentata sotto una luce più simpatica e resa più adatta all'intendimento moderno.
Per seguire questa necessità d'adattamento, la Chiesa dovrebbe limitare l'esercizio della sua autorità e lasciare agli individui la possibilità di sviluppare le proprie iniziative, lasciando i singoli fedeli più liberi, anche se in contrasto con la dottrina cattolica, per la quale le verità di fede sono immutabili, derivando tutte da Dio.
L'americanismo tende inoltre alla pratica delle virtù naturali e all'esplicazione di una grande attività esterna, volta al bene della società; le virtù naturali dovono essere preferite a quelle soprannaturali, come quelle attive alle passive.
Queste ultime, obbedienza, umiltà, ecc., erano buone e necessarie più nel passato, perché le condizioni sono cambiate.
E' facile intuire l'incompatibilità di queste opinioni con l'insegnamento evangelico, per cui l'americanismo, non del tutto estraneo al dominio teorico delle idee, nonostante pretenda di affermarsi soprattutto sul terreno pratico dell'azione, incorre in deformazioni dogmatiche.
«C'è, in fondo agli atteggiamenti e ai programmi di questi promotori di opinioni innovatrici, un larvato naturalismo, che è in verità l'idea fondamentale, il motivo dominante dall'Americanismo; naturalismo sopravvalutante le possibilità dell'uomo, fino al punto da dimenticare lo squilibrio intellettuale, morale e soprattutto passionale causato in lui dal peccato, nonché la conseguente necessità della grazia» (Enciclopedia Cattolica).
L'americanismo intende umanizzare il cristianesimo col suo liberalismo, in cui scorge il manifesto ritorno alle dottrine protestanti circa l'ispirazione personale.
In complesso l'americanismo presenta in germe molti errori che furono poi condannati da san Pio X sotto il generale appellativo di modernismo; esso è l'eresia che adatta la dottrina cattolica al modello di vita americano, esaltando le virtù naturali sulle soprannaturali.
Paolo VI, da convinto modernista, non pensava diversamente, invitando le suore ad operare fuori dei conventi.
L'ortodossia e la fedeltà di padre Hecker alla Santa Sede vennero largamente rivendicate dai vescovi americani e da altri; resta però da vedere se questi non fossero americanisti mistificati.
La buona fede dei promotori delle nuove teorie pare assodata dalla loro sottomissione al Papa, ma questa comunione con la Cattedra di Pietro è provata dalla fedeltà ai dettati della Chiesa cattolica, che è una, per unità di dottrina e per unità di regime, perché il suo fondamento fu stabilito da Dio nella Sede Romana, non americana.


Alexis de Tocqueville e la democrazia in America
Questo noto storico e uomo politico (1805-1859) era un liberale in equilibrio tra rivoluzione e reazione per difendere l'idea di libertà, cui associava una religiosità generica.
Egli, infatti, riteneva che ogni sentimento e moralità religiosa fossero garanzia di libertà.
In tal senso, riconosceva la religione cattolica come la più vicina a quanto per lui era il valore principale: l'eguaglianza tra i cittadini.
Sosteneva, comunque, l'importanza della separazione tra Chiesa e Stato; come si può constatare il suo pensiero concorda con quello americanista e le sue parole hanno quasi un valore di autoanalisi erudita, utile a capire i limiti razionali dell'americanismo.
Vediamo come egli considera il modo di pensare americano («La Democrazia in America», Utet, 1968, pagina 491):
«Credo che non esista nel mondo civile un Paese in cui ci si occupi meno di filosofia che negli Stati Uniti. Gli americani non hanno una scuola filosofica loro propria, e non si danno soverchio pensiero di tutte quelle che pullulano in Europa: a malapena ne conoscono i nomi. E' facile accorgersi però, che quasi tutti gli abitanti degli Stati Uniti seguono uno stesso indirizzo di pensiero che tiene conto delle stesse norme: il che significa che essi posseggono, senza che si siano mai preoccupati di definirne le regole, un certo metodo filosofico, che è comune a tutti. Sfuggire allo spirito di sistema, al giogo delle abitudini, alle regole familiari, alle opinioni di classe e, fino a un certo punto, ai pregiudizi nazionali; non prendere la tradizione se non come informazione e i fatti presenti se non come uno studio utile per fare diversamente e meglio; cercare attraverso se stessi, e in se stessi soltanto, la ragione delle cose, tendere al risultato senza rimanere prigionieri del mezzo, e mirare alla sostanza attraverso la forma: ecco le caratteristiche salienti di quello che chiamerò il metodo filosofico degli americani. Se poi mi spingo ancora più avanti, e ricerco tra tutte queste caratteristiche diverse quella fondamentale, quella cioè capace di riassumere in sé quasi tutte le altre, m'avvedo che, nella maggior parte delle operazioni dello spirito, l'americano calcola soltanto sullo sforzo individuale della propria ragione. L'America é dunque uno dei Paesi del mondo ove si studiano meno e si seguono di più gli insegnamenti di Descartes. Questo non deve destare meraviglia».
Il cattolico americano dottor John Rao, studioso dell'americanismo, fa notare il fatto che il problema per Roma era quello di farsi intendere, perché una delle caratteristiche dell'americanismo è data dall'ignoranza della propria posizione di fronte alla fede.
Negli USA infatti il modernismo, simile all'americanismo in molti punti, non ha assunto alcuna importanza allora.
Le idee di queste due eresie saranno associate solo molto tempo dopo da padre Courtney Murray, S.J., che diverrà importate «peritus» del Vaticano II.
Dal 1950 le dispute riguardo il rapporto tra Chiesa e Stato erano rinate proprio a causa del suddetto gesuita, divenuto noto, giudicando i rapporti tra Chiesa e Stato, in America, più conformi alla dottrina della Chiesa di quelli da essa rivendicati in ogni tempo.
Seguì la censura di Roma inviata al Superiore Generale dei Gesuiti in America, che limitò i suoi interventi dal 1957 finché tutto cambiò e Murray fu solennemente reinserito tra i «grandi teologhi» e invitato come esperto dei vescovi americani, nel Vaticano II.
A lui, noto per le sue idee liberali, fu affidata la stesura finale della Dichiarazione sulla Libertà religiosa, di cui bastarono leggeri ritocchi per sollevare il suo sdegno!
Per l'americansimo di Murray: «Come cristiani si deve vedere la democrazia come una richiesta naturale imposta dalla ragione stessa di cui è la più perfetta espressione in politica, economia e vita sociale che è stata presente nella democrazia in America».
Le sue ultime parole confermano il suo americanismo: «D'ora in avanti la Chiesa definisce la sua missione nell'ordine temporale nei termini della realizzazione della dignità umana, della promozione dei diritti dell'uomo, la crescita della famiglia umana verso l'unità, e la santificazione delle attività secolari del mondo».


Benjamin Franklin


Il magistero cattolico sui rapporti tra Chiesa e Stato
Data l'importanza di questo rapporto per un'autentica civiltà e le confusioni sollevate intorno ad esso dall'americanismo modernista conciliare, rivediamo ora come si presenta secondo il pensiero cattolico.
Esso è illustrato, nella versione più genuina, dall'esposizione di san Roberto Bellarmino, seguace di san Tommaso d'Aquino.
Entrambi parlano di quanto è chiamato «potere indiretto» della Chiesa sullo Stato.
San Tommaso scrive: «Il potere secolare non è soggetto al potere spirituale universalmente e sotto ogni punto di vista... se però qualcosa negli affari temporali costituisce un ostacolo alla salvezza eterna dei suoi soggetti, il vescovo che interviene con un comando o un divieto agisce secondo il diritto che ha la sua autorità divinamente costituita. Dove la salvazione umana è in causa, ogni potere secolare è soggetto al potere spirituale».
Questa dottrina definisce un'ovvia conclusione: Chiesa e Stato sono entrambi vincolati alla Legge Divina.
Riguardo alla tolleranza verso le altre religioni, la norma è che «l'errore non ha diritti», ma, per evitare un male più grande, gli altri culti possono svolgersi, sempre che il bene comune della Società non venga leso.
La dottrina sul male derivante dalla separazione tra Chiesa e Stato è stata chiaramente espressa dal Papa san Pio X nel documento «Vehementer» dell'11 febbraio 1906.
Dopo aver accennato al dolore che gli straziava l'anima per la legge iniqua, con la quale «si è preteso di spezzare i vincoli secolari che legavano la Francia alla Sede Apostolica», il Santo Padre confutava le ragioni invocate per giustificare la rivoluzionaria legge proprio della separazione tra Chiesa e Stato: «Affermazione falsa, falsissima, piena d'ingiuria verso Dio; contraria al dovere che incombe allo Stato di aiutare i sudditi a conseguire la loro eterna salvezza; contraria all'armonia che deve unire le due società; contraria allo stesso ordine civile».
Quanto il Papa proclamò falso e ingiurioso dinanzi a Dio, per il Vaticano II, per il modernismo e per l'americanismo, è invece la dottrina da applicare e seguire.
In tal modo, oggi, gli Stati moderni, a forza di voler democraticamente pensare come si vive, hanno perso l'anima, che troppi dei loro cittadini ignorano ormai di possedere.
Inutile, quindi, parlare di America, di Europa e di mondo senz'anima; ciò è il risultato dell'applicazione delle leggi rivoluzionarie.


La rivoluzione americanista come «revival» religioso
Lo storico Christopher Dawson («The Gods of revolution») riportando che Arthur Young, testimone del clima festivo e liberista che ha preceduto la rivoluzione francese del 1789, era rimasto sorpreso dall'impotenza del governo di fronte a tale clima, spiega: «La verità è che il governo aveva a che fare non con l'opposizione di un partito, ma con un immenso movimento di idealismo sociale con i connotati di un 'revival' religioso. Infatti, dagli scritti di Paine e di Franklin, spunta una sorta di religione, con un semplice ma definito corpo dogmatico che aspirava superare un'idea tradizionale di cristianesimo col credo di una nuova era («new age»). Né questa nuova unità religiosa era un puro ideale. Esso già possedeva la sua gerarchia ecclesiastica e organizzazione nell'ordine dei massoni, che è arrivato al climax del suo sviluppo nelle due decadi precedenti alla Rivoluzione». (Gods of revolution, pagina 58).
Tale Massoneria era inspirata pure da una «mistica» per la «salvezza dell'umanità», assumendo forme a volte fantastiche, su cui aleggiava la promessa della super rivoluzione americana con la sua dichiarazione dei Diritti dell'Uomo.
Il solenne e maestoso spettacolo di una nazione che stabiliva un governo inaugurato sotto gli auspici del Creatore, una scena tanto nuova e trascendente da essere senza pari nel mondo europeo, al tal punto che nominarla Rivoluzione e non «Rigenerazione dell'Uomo», o governo edificato su una nuova teoria morale, sarebbe riduttivo! La rivoluzione americana metterebbe in atto la «religione» divina!
La nazione messianica dei «British-israelites» finalmente realizzata! (2)


Dall'Americanismo alla religione mondiale
Quest'ora storica è segnata di certo da un solo grave evento, dalla fine del tempo delle nazioni; dalla resa spirituale e mentale a cui è stato avviato l'Occidente dal regime ecumenista derivato dal crollo cattolico operato dal Vaticano II e sorretto dal braccio armato di un regime tanto occulto quanto planetario: l'americanismo militante.
Per tutto ciò si può dire che il potere americano, se non sta portando esattamente alla «fine della storia», porta ad un nuovo «regime» nato sotto il segno di una sorta d'omologazione unitarista: la prima verità, che precede ogni altra, è quella per cui va sostenuto quanto unisce i cittadini, rinsaldando la nazione, e ripudiato quanto li divide, fiaccandola.
Ecco l'unità che è un valore per gli Stati, ma non è un principio assoluto; è una norma che può essere onorevole, ma anche letale.
Così la civiltà fondata sul vero fu alienata in America e oggi lo è, per imitazione o imposizione, in quasi tutto il mondo.
Ecco allora la nuova «civiltà» fondata sul modo di vita moderno.
In essa non si vive come si pensa; si pensa come si vive.
Saranno le idee eletrizzanti, di successo, a dettare la «verità»!
Una «civiltà» articolata su un presente fugace, che compromette ogni futuro, perché se non è il pensiero a guidare la vita e controllare il potere materiale, è il fugace presente a indicare l'uso del potere e a scandire ogni pensiero.
Tutto ciò non edifica ma dissipa le basi della civiltà.
Come si poteva dedurre riguardo alla democrazia americana, le cui radici rivoluzionarie non sono diverse da quelle protestanti e pure sovietiche.


La Costituzione americana: una Bibbia laica
Per la maggioranza degli americani, la Costituzione, più che stabilire norme di governo, sarebbe un perfetto regalo politico e sociale di Dio agli uomini.
In tal senso, niente di quanto regola, dalla pubblica istruzione al rapporto dello Stato con le religioni, può essere nocivo.
Perciò i cattolici non dovrebbero temere tale «Bibbia laica», la cui democrazia andrebbe predicata nel mondo quale forma di dialogo per erigere il «parlamento delle religioni».
La missione dell'America, dunque, consisterebbe nel sostenere l'unione e la secolarizzazione delle religione in ambito globale, al pari della Massoneria che auspica un governo mondiale.
Il piano è favorito dal fatto che lo spirito che guida la vita americana porta i più a rifiutare che il soprannaturale interferisca negli affari terreni.
Roma aveva già difficoltà a insegnare la dottrina cattolica sul rapporto Chiesa-Stato; nell'America di oggi sempre più opulenta, consumistica, e pure ecumenista, è addirittura impossibile.
Da una parte il modernismo, dall'altra l'americanismo hanno reso a tal punto inestricabile l'intera questione, che alla fine è subentrata la completa inversione della dottrina cattolica operata dal Vaticano II: l'americanismo come il protestantesimo e la stessa Massoneria avevano ragione perché nessuno Stato deve essere cattolico; anzi, se lo era deve convertirsi al pluralismo.
Oggi, «essere religiosi vuol dire essere inter-religiosi» (Etchegaray). 
Quest'inganno fa dire a Rao: «Purtroppo Roma non si è accorta che il 'pratico' e 'pragmatico' americanismo poteva risucchiare intere nazioni in quel che è in effetti un tunnel del vento del naturalismo e del modernismo».
Qui si dovrebbe aggiungere che la Roma conciliare, col Vaticano II e i suoi capi ecumenisti, è ormai il motore di un processo che ha risucchiato un'intera generazione di cattolici in questi errori.
L'altra causa per cui il pericolo dell'americanismo fu trascurato procede dall' insorgere dello spettro sovietico, l'impero del male assoluto e dalla violenta opposizione del comunismo alla Chiesa.
Ciò oscurò il fatto che esisteva una estromissione della fede dalla vita dei popoli anche in America.
I risultati anticattolici furono i medesimi, nonostante le pressioni contro Roma sembrassero opposte. L'anticomunismo, però, rinforzò ancora di più l'idea del patriottismo americanista, detto cattolico, che con la vittoria alleata è salito alle stelle: criticare quella fede patriottica sarebbe parso un tradimento.
La convivenza sociale delle diverse religioni in America ha fatto il resto a favore del pluralismo.
Era l'ora del dialogo e della partecipazione ad oltranza a tutto, il pluralismo univa nelle cerimonie sociali e nelle lotte comuni; era una solidarietà sociale che portava ad accomunare le liturgie, l'educazione scolastica, l'istruzione filosofica e teologica a favore del Puritanismo secolarizzato.
La vittoria mondiale e il dominio americano in terra, lì dove domina il  modello di prosperità americana, è infine un segno della valenza del credo (calvinista) nel progresso materiale, lo stesso credo che ha indotto la nuova Europa ad estendere il pluralismo democratico a tutto.
Per tutte queste ragioni «periferiche» l'americanismo s'è rafforzato a dismisura.
L'influenza americana in Europa si era manifestata anche attraverso l'aiuto materiale del piano Marshall che imponeva già allora, soluzioni unitarie, pluraliste e democratiche, che, in campo religioso, si traducono in un mondialismo ecumenista.
Era il prezzo della protezione.


Sull'allargamento di un velato dominio americano sull'Europa c'è una vasta letteratura.
Per esempio «Made in USA, le origini americane della Repubblica Italiana», di E. Carreto e B. Marolo (Rizzoli, 1996), e i «Complotti» di Maurizio Blondet, (Minotauro, 2002).
Di quest'ultimo ci basti ricordare il brano che riguarda il piano per l'Europa, modello Yalta, che il presidente Roosevelt confidò nel 1943 al cardinale Spellman.
Entra in scena anche il generale Douglas MacArthur, uno dei sottoscrittori del «Tempio per i cittadini del mondo» per lo sviluppo della «Comprensione Universale» in luogo delle sue limitazioni nazionaliste, sostenuto dalla «first lady» Eleanor Roosevelt (della «Loggia Unita dei Teosofi di New York City»); anche se egli appoggiava il «Tempio», «simbolo della fraternità umana», di cui un'ala è dedicata a sei religioni: induismo, giudaismo, confucionesimo buddismo, islam e cristianità (Enciclopedia cattolica, pagina 472), provò vergogna per il fatto che in queste torri di Babele si decidesse sulla sorte del mondo.
Era troppo, «e volle farlo sapere a De Gaulle. A Casablanca - dove gli alleati stavano decidendo il destino d'Europa - disse a un ufficiale francese: «Come americano e come soldato, ho vergogna del modo in cui taluni nel mio Paese trattano il vostro capo».
Ma nemmeno MacArthur poteva contrastare l'immenso potere di coloro che agivano nell'ombra di Roosevelt.
Solo De Gaulle ne ebbe il coraggio. «Sono al lavoro i sinarchisti che sognano un impero multinazionale», gridò nel 1954, «Essi hanno concepito nell'ombra, negoziato nell'oscurità, firmato in segreto... per creare un governo apatride su misura della tecnocrazia. Un mostro artificiale, un robot, una creatura di Frankenstein».
E non si limitò a gridare: scese in campo contro il fiduciario dei cartelli e dei poteri finanziari che stava attuando il progetto, contro l'uomo che chiamava «l'Ispiratore».
Si trattava di Jean Monnet che per conto delle oligarchie transnazionali, fornite di mezzi illimitati, attuava quel progetto europeo, già allora in fase avanzata.


E' vero che a partire dal 1968 il fascino americano è cominciato a declinare in Europa, ma il lavoro «culturale» e «religioso» dei «sinarchisti che sognano un impero multinazionale» era fatto, specialmente col supporto del Vaticano II, e l'America non ha smesso di rafforzarsi.
«Si dovrebbe chiudere gli occhi per non vedere quanti dei concetti 'americanisti' hanno giocato un ruolo nelle sue procedure e interpretazioni. L'idea di evitare questioni dottrinali in vista di un pura visione 'pastorale', è qualcosa a cui gli americanisti, sospettosi dei concetti astratti, miravano. La trasformazione subdola di un sinodo non-dogmatico in una forza per produrre un'istituzione clericale democratica, pluralista e oppressiva, era quanto uno studioso dell'americanismo avrebbe potuto prevedere, insieme all'insistenza sulla separazione tra Chiesa e Stato. Con gli sforzi successivi al Vaticano II per sminuire il cattolicesimo, che sarebbe da integrare col marxismo, col femminismo, con l'omosessualismo, abbiamo avuto un chiaro segno della pressione 'americanista'». (Rao, pagine 49, 50).
Cosa dire sul fatto che l'egemonia americana negli affari del mondo attuale inverte il concetto di civiltà, fondata sulla verità, come fu intesa dagli albori della storia?
Non si può negare che ci sia un potere mondiale che appare come un regime alla rovescia, perché ammette tutto, meno che non si ammetta tutto, e ciò non solo in materia politica, ma anche religiosa; anzi, religiosa, perché «ecumenista», e politica perché vuole libertà di religione, senza ammettere il Credo nell'unica Rivelazione divina.
E' l'implicita negazione del principio religioso secondo il quale la verità procede dall'alto verso il basso, da Dio agli uomini; essa, quindi, non dipendendo da scelte democratiche e n